Rainbow @Genting Arena – Birmingham (Inghilterra), 25 giugno 2016
Il 27/06/2016, di Alex Ventriglia.
Alla fine, l’impossibile è diventato possibile. Il Mito si è trasformato nuovamente in qualcosa di tangibile, tingendosi di un intenso color Arcobaleno, virando spesso e volentieri verso un’accesa tonalità Profondo Porpora, alla ricerca della quadratura ideale, dello zenit assoluto. Forse Sua Maestà Ritchie Blackmore, in questo, non sarà riuscito perfettamente, ma come non ringraziarlo per aver incendiato i cuori di tutti noi inguaribili amanti di Rainbow e primi Deep Purple, con una tripletta di date che han forse simboleggiato l’intera stagione concertistica, specie se rivolta ai grandi nomi del tempo che fu, seconda probabilmente solo al Farewell Tour dei Black Sabbath (sempre che i Nostri non ne abbiano in serbo una nuova, delle loro diaboliche trovate…) e che ha obbligato i vacanzieri del rock ad organizzare quelle affascinanti carovane che amiamo tanto, pazienza se a volte la trasferta risulta parecchio impegnativa. Come in parte è stata questa a Birmingham, unica data in Patria dopo le due in Germania, concerto che forse ha visto i Rainbow maggiormente sotto la lente d’ingrandimento, sia perché l’effetto sorpresa era un po’ svanito, ma soprattutto il fatto di suonare in casa ha avuto la sua fondamentale importanza, dentro la stupenda Genting Arena gremita in ogni ordine di posto (16.000 biglietti andati polverizzati in pochi minuti dalla loro messa in vendita, e questo accadeva lo scorso ottobre…). Così, per sottolineare la fremente attesa per lo show di Birmingham, una Birmingham presa d’assalto fin dalle ore del mattino da migliaia di giovanotti forse un po’ attempati, ma dalla tempra di acciaio inossidabile!
Lo spettacolo, partito con una puntualità estrema, ha ribadito in primis la caratura eccelsa di Ronnie Romero, un vocalist migliore di questo Blackmore forse non poteva trovarlo davvero (Joe Lynn Turner si metta definitivamente il cuore in pace, far polemica per mesi evidentemente gli è giovato ben poco), il quale, con grande nonchalance, si permette di aprire con ‘Highway Star’, di enfatizzare a dovere cavalli di battaglia del blasone di ‘Man On The Silver Mountain’, ‘Catch The Rainbow’, ‘Difficult To Cure’, ma soprattutto ‘Stargazer’ (e qui, lo riconosco, ho quasi pianto…) e ‘Long Live Rock’n’Roll’, penetrando nella profondità del Porpora con gli evergreen ‘Black Night’ (da urlo!), ‘Child In Time’, ‘Perfect Strangers’, ‘Burn’, ‘Soldier Of Fortune’ e il sigillo finale ‘Smoke On The Water’. Un singer che probabilmente e, forse suo malgrado, ha tolto visibilità al leggendario Ritchie, certo meno appariscente di una volta, che sembra quasi sulle sue, il quale però se decide di invertire la tendenza, lo fa ancora sfacciatamente bene, in certi punti ha ribadito la sua nomea, il fatto di essere Blackmore. Ragion per cui il suo valore è difficile metterlo in discussione. Quindi tutto perfetto in quel di Birmingham? Direi fondamentalmente di sì, anche se avrei evitato certi virtuosismi (tipo l’assolo del batterista o i cazzeggi alla chitarra) magari tipici del repertorio, ma che forse stonavano dentro una scaletta orfana di ‘Kill The King’, ‘Run With The Wolf’ e, soprattutto, ‘Tarot Woman’. Ecco, a voler proprio essere pignoli, questa mancanza proprio non gliela perdono, al buon, vecchio Ritchie…