Jane’s Addiction @Fabrique – Milano (MI), 15 giugno 2016
Il 16/06/2016, di Alex Ventriglia.
Foto di Elena Arzani e Alex Ventriglia
Un tempo trasgressivi e forse anche un po’ scomodi, ora più di maniera e compassati al punto giusto, mentre è impossibile non ritrovare nei californiani la stessa, purissima essenza live che mai ha fatto loro difetto – già alla metà degli Eighties, risale all’epoca il primissimo embrione dei Jane’s Addiction, la band guidata dal frontman Perry Farrell era un tutt’uno con il palcoscenico, selvaggia e dirompente tanto basta per rivoluzionare anche le remore più ottuse e recalcitranti, con uno stile musicale che amava sì le depressioni cosmiche di Joy Division e Velvet Underground, ma senza scordarsi di rendere il tutto frizzante con un piglio sfrontato e strafottente, dall’istinto tagliente e punky. Questi erano i Jane’s Addiction che con un live-album d’esordio e due memorabili dischi, l’innovativo e più radicale ‘Nothing’s Shocking’ e il maggiormente definito ‘Ritual De Lo Habitual’, seppero ricontestualizzare una scena rock losangelena ancora molto aperta e disinvolta, per poi espandersi a livello internazionale. Bruciandosi però istantaneamente, sull’onda di un successo clamoroso ed inaspettato, ma per colpa anche di una pressione forse non gestibile, per un gruppo che quasi viveva di espedienti e che veniva dal ghetto di Los Angeles. Chi scrive fu tra quei fortunati giornalisti che appunto all’epoca incontrarono la band, in tour in Europa per promozionare ‘Ritual…’, il quale ricorda quattro elementi poco a loro agio nello star sotto i riflettori della ribalta (a parte Farrell, istrionico e provocatore, uno che forse aveva già individuato bene la portata storica della propria band e del valore della sua musica), ma sensazionali per carica eversiva e una dimestichezza non indifferente con il palco – che, nell’occasione, fu quello del City Square, storico club di Milano oggi conosciuto come Lime Light, parliamo dell’ottobre del 1990.
Un quarto di secolo dopo, i Jane’s Addiction fanno il loro ritorno nel capoluogo lombardo, con in pratica la line-up originaria (eccezion fatta per il bassista Eric Avery, rimpiazzato da Chris Chaney), gli scazzi di un tempo definitivamente seppelliti e più che mai fieri di una reunion ormai in piedi da anni, ma oggi chiamata alla prova del nove, alla celebrazione del venticinquennale di quello storico album, un assoluto capolavoro di eccentrica versatilità musicale che, a ben vedere, ha cambiato la vita a parecchi degli avventori del Fabrique, locale bello pulsante di gente e di entusiasmo che, entro breve, si farà incandescente. E se l’opener risponde al nome di ‘Stop!’ con tanto di intro in spagnolo, facile che a materializzarsi sia il caos puro, con la bolgia dantesca che scoppia sotto il palco e i primi temerari a volar per aria… I quattro californiani suonano sferzanti e granitici, ma quella lucida classe che li ha sempre contraddistinti straborda e conquista fin dalle primissime avvisaglie, se poi si mettono in fila classici come ‘No One’s Leaving’, ‘Ain’t No Right’e ‘Obvious’, la sensazione che sarà una gran serata si fa netta! Come detto, si festeggiano i venticinque (ventisei, per la precisione) di ‘Ritual…’ e i brani suonati secondo il suo preciso ordine, ragion per cui, a scuotere il club milanese, ci pensa ora ‘Been Caught Stealing’, che col suo latrare di cani è uno dei pezzi più caratteristici e dinamici dell’album, con la platea che quasi non si tiene, tenuta in pugno da un Perry Farrell carismatico come sempre e un Dave Navarro che, anagraficamente, pare aver fatto il patto col diavolo. Lo spettacolo è un autentico piacere, forse con il tempo c’eravamo scordati della botta di adrenalina griffata Jane’s Addiction, i quali si fanno finalmente perdonare di una latitanza durata più di vent’anni, poco importa se comunque segnata dai vari, notevolissimi progetti di Farrell e Navarro, con in testa Porno For Pyros e Red Hot Chili Peppers, senza dimenticarsi del Lollapalooza Festival del quale il cantante è stato brillante fondatore. La sublime, leggiadra ‘Three Days’, ‘Then She Did’ e ‘Of Course’ introducono al commiato, tra bellissime danzatrici supertatuate che richiamano il burlesque più spinto e rapiscono tutta l’attenzione del Fabrique, e il four-piece autore di una struggente, dilatata versione ‘Classic Girl’, canzone che chiude l’album e, di conseguenza, suggella la prima parte dello show. E’ la volta quindi degli encore: si parte con ‘Rebel Rebel’ omaggio a David Bowie, niente di che a dire il vero, poi sono ‘Mountain Song’ (tra i miei pezzi preferiti in assoluto, possente brano cardine di ‘Nothing’s Shocking’) e ‘Just Because’ a scuotere l’audience, che non si aspetta minimamente il successivo spettacolo di body suspension con le modelle sospese in aria agganciate a dei ferri che le fanno volteggiare al ritmo di ‘Ted, Just Admit…’, per un colpo d’occhio inquietante e al tempo stesso intrigante! Ultimo break, prima dello sprint finale, con i quattro ad interpretare una ‘Jane Says’ quasi veemente, tribale nei suoni, umorale nella sua essenza più spirituale, un atto d’amore questo, nei confronti di un pubblico incredulo e forse spiazzato da tanta e tale bellezza evocativa.
Questi sono i Jane’s Addiction. Prendere o lasciare.