Black Sabbath and more… @ British Summer Time – Hyde Park Londra, 4 luglio 2014
Il 05/07/2014, di Alice Ferrero.
“L’ultimo concerto della storia dei Black Sabbath”. La trovata di marketing è banalotta e neppure troppo originale, però è dannatamente efficace. Al punto da calamitarci nel pieno centro di Londra, ad Hyde Park, per prendere parte ad un concerto in un modo o in un altro destinato a divenire un vero e proprio evento. Inserito nel cartellone del British Summer Time (ma subito ribattezzato Black Sabbath Time), una serie di concerti dedicati ad un pubblico decisamente vasto (si va dagli Arcade Fire a Neil Young, dai Backstreet Boys a Tom Jones) che ha nella giornata del 4 luglio la sua declinazione metal, il BST colpisce subito per la sua capacità di attirare una folla vastissima (si parla di 55.000 persone) ed estremamente varia, dal metallaro oltranzista al punkabbestia dalla famigliola con prole al seguito all’amabile vecchina in estasi durante ‘Snowblind’, intrattenuta dagli show tutti di grande spessore ospitati da un main stage altamente suggestivo, mimetizzato tra due mastodontici alberi, e da quelli di band secondarie ma a modo loro ugualmente interessanti chiamate ad esibirsi nel The Theater una sorta di saloon d’altri tempi, o su piccoli palchi minori dislocati lungo il perimetro del parco, tra banchetti pronti a sfornare tonnellate di fish&chips e altri a versare fiumi di birra. Entriamo nell’area che i Soulfly stanno prendendo posto sul palco per dare il là alla festa, e quando un imbolsito Max Cavalera attacca ‘Prophecy’ sono già molti quelli che, incuranti del sole battente, ondeggiano e saltellano ai piedi del palco. Solo sei i brani a disposizione del combo carioca per aizzare i presenti, ma la loro natura monocorde impedisce allo show di decollare realmente, tanto che il punto esclamativo viene posto durante ‘Roots Bloody Roots’ quando, dietro le pelli, appare avvolto in un imbarazzante camiciotto a fiori Igor Cavalera, pronto a dar battaglia ancora una volta al fianco del fratello. La prova non è memorabile, ma il contesto è tale, per imponenza e ricchezza, da sopperire a performance sottotono. Come quella dei Motorhead, che fanno stringere il cuore quando salgono sul palco facendo sorgere il pensiero che il capolinea (facendo i debiti scongiuri) sia ormai vicino. Si vociferava del cagionevole stato di salute di Lemmy, la conferma è servita quando lo si scorge salire sul palco dal backstage aiutandosi con un bastone, per dare vita a un concerto sofferente, affidandosi a minimi movimenti sul palco e a un filo di voce che tratteggia con poca convinzione le varie ‘Damage Clear’, ‘Lost Woman Blues’, ‘Doctor Rock’, prima che un infinito assolo di batteria intervenga per dargli fiato e energia per portare a termine lo show con ‘Killed By Death’ aiutato da Whitfield Crane degli Ugly Kid Joe e le intramontabili ‘Ace Of Spades’ e ‘Overkill’. Quando iniziano a spuntare fiori da ogni dove sino a ricoprire per intero l’immenso palco la sensazione di trovarsi davanti ad un piccolo evento nell’evento è forte, ed infatti da li a poco i Faith No More daranno vita alla loro unica data mondiale…evento da celebrare in pompa magna, ed infatti tutti i membri del gruppo si presentano sul palco vestiti…da sacerdoti, sulle inquietanti note de l’Esorcista. E proprio Padre Merrin sarebbe indicato per esorcizzare un Mike Patton tutto bestemmie e benedizioni, arrivato sul palco londinese in forma strepitosa, pronto a lanciarsi in una scaletta da evoluzioni tra i brani più complessi della sua band, concedendo una tregua al pubblico giusto con ‘Easy’, prima di ricominciare a schiaffeggiarlo con le varie ‘Zombie Eaters’ , ‘Caffeine’, ‘King For A Day’…e addirittura omaggiarlo con due nuovi brani, ‘Motherfucker’ e ‘Leader Of Men’, due brani in perfetto stile FNM che ben sperare fanno per il futuro. Con l’arrivo dei Soundgarden guidati da un Chris Cornell in versione hollywoodiana si assiste ad una parata di successi, con i singoloni ‘Black Hole Sun’, ‘Spoonman’, ‘Feel On Black Days’ e ‘Superunknown’ impreziosita dalla comparsata di Mike McCready dei Pearl Jam… sciorinati in rapida successione per la gioia di un pubblico sempre più imponente, deliziato da una band che forse ha detto ormai tutto in studio ma che, dal vivo è ancora in grado di sfornare emozioni a raffica. Il tempo di una sbirciatina nel The Theater dove gli Hell stanno impartendo una autentica lezione di heavy metal classico e altamente teatrale, guidati magistralmente dal carismatico David Bower, e ci rintaniamo nel backstage in attesa dell’evento che verrà. Qui veniamo catapultati in un vero paese delle meraviglie, dove “Mamma Sharon” tra dolci sorrisi e imperiosi diktat controlla che tutto fili per il meglio, mentre la viola crinita Kelly passeggia teneramente ling…hem…mano nella mano con il boyfriend di turno. Incrociamo anche Jimmy Page che, altezzoso, si aggira nel village, mentre membri di Soundgarden e Faith No More, tra un gelato e un bicchiere di vino, confabulano fitti fitti facendo nascere in noi pensieri di side project che mai si concretizzeranno. Quando giunge l’ordine di sgombrare il backstage capiamo che è giunto il momento tanto atteso. Prendiamo posto nel parterre al fianco di Biff dei Saxon mentre una sirena antiaerea annuncia la messa che va a incominciare, e che viene inaugurata da ‘War Pigs’. Ozzy è sempre più comico nelle movenze, eppure l’arte di intrattenere la conosce a menadito trascinando la folla ben supportato da Geezer Butler e Tony Iommi, due per i quali, invece, il tempo pare essersi fermato. “Cu-cu…cu-cu” il richiamo imbarazzante di Ozzy, e poi via con ‘Into The Void’, ‘Snowblind’, Age Of Reason’, ‘Black Sababth’, ‘Behind The Wall Of Sleep’ e ‘N.I.B’. Con ‘Fairies Wear Boots’ l’ex macellaio di Birmingham si ricorda che è il suo anniversario di matrimonio cercando invano di portare l’amata Sharon sul palco, poi dritti con ‘Rat Salad’ allungata in coda da un bell’assolo di batteria che rende onore anche a Tommy Clufetos, ‘Iron Man’, la nuova ‘God Is Dead’ e ‘Children Of The Grave’, ultimo acuto prima del gran finale affidato come da copione a ‘Paranoid’, degna conclusione di uno show che ha visto i Sabbath perfetti maestri di cerimonia e ancora in grande forma. Un bello spreco, se realmente questo è l’ultimo concerto della band, ed infatti il pensiero che quello di cui sopra non sia altro che una banale sparata pubblicitaria, dopo questa sera, è si è fatto ancora più forte…