Kiss @ Arena – Verona, 13 maggio 2008
Il 14/05/2008, di Alex Ventriglia.
Nove anni fa furono un paio di occhialoni bicolore, maxi-schermi posti un po’ ovunque, un nuovo album, ‘Psycho Circus’, da promuovere e l’occasione più unica che rara vedere (si temeva) per l’ultima volta insieme Paul, Gene, Peter e Ace ad accompagnare la nostra marcia di avvicinamento all’universo-Kiss, tra speranze, sensazioni, emozioni indescrivibili figlie di chi sa che andrà ad assistere ad uno show unico nel suo genere, uno spettacolo nello spettacolo che solamente il “Bacio” è in grado di offrire ai suoi afecionados. A questo giro i presupposti sono completamente diversi, la band non ha inciso e mai più inciderà dischi in studio, Ace e Peter sono persi per sempre affogati nei loro demoni personali e le promesse stesse dello spettacolo sono totalmente rivoluzionate, perché riproporre un concerto uguale ad un altro è una cosa banale, non è da rockstar navigate, non è da Kiss. Ma l’attesa e le emozioni continuano ad essere tantissime, perché la voglia di Kiss dopo anni di promesse, dopo tour europei solamente abbozzati e date italiane solamente sfiorate è alle stelle. E poi c’è quello spettro che incombe, quello dello scioglimento dei Kiss al termine di questo tour, e la location, l’Arena di Verona, palcoscenico solo per i più grandi, a far sì che a questa data non si possa proprio mancare. E la gente se ne rende subito conto, facendo spallucce ai prezzi non proprio popolari dei biglietti e rendendo sold-out la data diverse settimane prima del “giorno X”, tanto che alla fine saranno oltre 13.000 gli spettatori presenti. Già, i Kiss-omani. Se i quattro marziani promettono spettacolo, i loro fan non sono da meno. Popolano il piazzale antistante l’Arena sin dalle prime ore del mattino, arrivano da ogni dove, c’è chi è uscito di casa, ha attraversato la strada e si è trovato all’ingresso e chi ha attraversato in lungo e in largo l’Italia pur di non perdersi l’evento. Tutti rigorosamente truccati, qualcuno professionalmente, altri con tratti incerti o solo abbozzati, qualcuno giusto in jeans e maglietta, altri con la divisa di ordinanza. Tanti “sosia” del Demone e del Gatto (i più gettonati), ma si vedono anche alcuni Starchild e diversi Extraterresti aggirarsi per Verona. E poi tanti glamster vecchia maniera, metallari, punk ed intere famiglie a testimoniare come i Kiss siano davvero in grado di abbattere ogni barriera stilistica e generazionale, tutti trepidanti in attesa dell’ora fatidica. Ma prima si deve passare per i gruppi spalla di rito (a quanti interesseranno veramente?) e a questo giro tocca agli americani Cinder Road cercare di intrattenere i presenti. Per farlo utilizzano i brani estratti dal loro ultimo album ‘Superhuman’, disco in grado di riscuotere tiepidi consensi Oltre Oceano passando pressoché inosservato in Europa. Strano, visto che il genere proposto è un rock moderno à la Nickelback, giusto un pelo più ruffiano e dallo smaccato appeal radiofonico ideale per mandare in sollucchero MTV ed affini. I cinque di Lutherville svolgono dignitosamente il loro compito pur sapendo che di loro, questa sera, non resterà traccia nelle menti dei presenti. Perché quando arriveranno i Kiss tutto verrà spazzato via e se un ricordo resterà, sarà quello dei quattro miti mascherati in una location incredibile. Perché come ricordano sempre i Kiss stessi “You wanted the best you got the best!” ed il meglio lo si ha quando si spengono le luci, le prime note di ‘Deuce’ irrompono nell’Arena, e un’esplosione di luci e di suoni ci fa trovare davanti le quattro icone in cerone e zatteroni, pronti a dare fuoco alle polveri. Si prosegue senza sosta con ‘Strutter’, ed il pubblico canta parole che avrà ripetuto migliaia di volte nella sua vita, arrivando in alcuni momenti a sovrastare perfino Paul e Gene, quindi ‘Got To Choose’, ‘Hotter Than Hell’, e quella ‘Nothin’ To Lose’ cantata egregiamente da Eric Singer. Un’ottima occasione, questa, per far rifiatare un Paul Stanley apparso non al meglio della condizione (una bronchite, si scoprirà, ne ha minato l’esibizione tanto da costringere la band a tagliare tre brani originariamente inseriti in scaletta, tra cui ‘Firehouse’, ‘Rock Bottom’ e ‘Watchin’ You’), che ritorna comunque puntuale al suo posto per cantare (e far cantare) ‘C’mon And Love Me’, ‘Parasite’ e ‘She’. Proprio in quest’ultima song Tommy Thayer dimostra che le critiche rivoltegli da chi auspicava un ritorno di Ace Frehley non hanno fondamento, sfoderando un assolo da brividi culminato con il lancio di razzi dalla sua sei corde, che ne mette in luce tutta la sua bravura. Ha modo di mettersi in mostra anche Eric Singer nella successiva ‘100,000 Years’ lanciandosi in un solo mozzafiato, quindi tornano in cattedra Paul’n’Gene con l’attesissima ‘Cold Gin’, ‘Let Me Go, Rock’n’Roll’, la sempre stupenda ‘Black Diamond’ ed il delirio con ‘Rock’n’Roll All Nite’ che, in una pioggia di coriandoli, con Paul che spezza come da tradizione la sua chitarra sul palco, chiude la prima parte del concerto. Ma la sete del “Bacio” è tanta, “Kiss!” invoca tutta l’Arena, ed i quattro si ripresentano presto sul palco sfoggiando un mastodontico quadro, premio simbolico per le 100 milioni di copie vendute in tutto il mondo. Poi si riparte, con la trascinante ‘Shout It Out Loud’ ed un Paul che decanta tutto il suo amore per l’Italia ed i suoi prodotti, quindi la sensuale ‘Lick It Up’. Dopo i fuochi d’artificio d’ordinanza arriva uno dei momenti più attesi della giornata: Gene parte con il suo assolo, dalla sua bocca inizia a fuoriuscire sangue, quindi si libera in volo e va ad atterrare su una pedana posta sopra la batteria facendo da qui partire la celeberrima ‘I Love It Loud’, quindi torna protagonista Stanley che, seppur storpiandola un po’, fa partire quella ‘I Was Made For Lovin’ You’ croce e delizia dei Kiss stessi, lanciando la volata finale che ha nella cantatissima ‘Love Gun’ il penultimo capitolo e in ‘Detroit Rock City’ l’ovvia conclusione, in un tripudio di assoli, fuochi d’artificio, fiammate e con la batteria che prende il volo nell’estasi generale. Alla fine sono solo applausi. Poco importa se la struttura dell’Arena ha impedito ai Kiss di sfruttare tutti i loro trucchi, poco importa se la bronchite ha limitato vocalmente lo Starchild e ha costretto la band a tagliare la scaletta. La forza dei Kiss sta anche in questo, nella capacità di dare sempre e comunque il meglio, anche quando il meglio non è possibile.