Steven Wilson – A Cosmic Perspective

Il 15/03/2025, di .

Steven Wilson – A Cosmic Perspective

Con ‘The Overview’, Steven Wilson non si limita a realizzare un disco, ma costruisce un’esperienza multisensoriale. Non è un album da ascoltare distrattamente o da frammentare in playlist: è un viaggio sonoro da vivere nella sua interezza, con cuffie di qualità e una mente aperta. Quello che rende ‘The Overview’ un lavoro così straordinario non è solo la sua architettura sonora, ma la sua capacità di trasmettere una visione filosofica e concettuale attraverso la musica. Il concetto alla base dell’album, l’idea che la prospettiva della Terra dallo spazio possa provocare uno shift percettivo radicale, si riflette nelle scelte compositive: la musica alterna momenti di intimità quasi claustrofobica a sequenze di pura vastità sonora, creando un senso di espansione e introspezione simultanea.
Wilson descrive il tema come un confronto tra meraviglia e disillusione: alcuni astronauti, vedendo la Terra dallo spazio, provano un profondo senso di connessione e unità con il pianeta, mentre altri ne percepiscono l’isolamento e l’insignificanza nel cosmo. Questo dualismo si traduce perfettamente nelle due tracce dell’album, che sembrano dialogare tra loro come due prospettive contrastanti di una stessa verità.
Per comprendere a fondo tutti gli aspetti che hanno portato alla nascita di ‘The Overview’ ne abbiamo discusso con
Mr. Steven Wilson in persona.

Grazie per essere con me oggi per questa intervista per Metal Hammer Italia, Steven!
“Anche per me è un piacere.”
Il tuo lavoro va ben oltre il semplice fare musica. Integra elementi di arte e cultura, creando qualcosa che sembra più una dichiarazione artistica completa, un progresso piuttosto che un semplice album. Ti avvicini consapevolmente alla tua musica come a un’opera d’arte?
“Certamente penso alla musica come a qualcosa di più della semplice musica. Spesso penso in termini cinematografici. Molte delle mie influenze provengono dal cinema, in particolare da film come “2001: Odissea nello spazio”, “Solaris”, “Interstellar”, più che da altra musica. Ho sempre amato questa combinazione di musica e cinema, ma anche la letteratura. Da bambino ero appassionato di cinema, letteratura e musica; per me erano tutti collegati. Una delle cose che amo nel fare musica è la possibilità di creare qualcosa che sia quasi analogo alla visione di un film. Non stai solo ascoltando una canzone pop di tre minuti; stai quasi ascoltando un pezzo di cinema per le orecchie, se ha senso.”

Pensi che musica e immagini stiano diventando inseparabili nell’espressione artistica moderna?
“Non credo siano inseparabili. Molte persone ascoltano ancora la musica in streaming, in sottofondo mentre fanno altre cose. Ma credo che stiamo vivendo in un mondo in cui ci aspettiamo esperienze artistiche più coinvolgenti, specialmente negli spettacoli dal vivo. Quando si va a un concerto, ci si aspetta che sembri un evento. Abbiamo l’audio Dolby Atmos, dove la musica arriva da tutte le direzioni. Nei videogiochi abbiamo ambienti tridimensionali; nel cinema, immagini a 360 gradi. Siamo più interessati a queste esperienze tridimensionali coinvolgenti quando usciamo, e a me piace molto.”
Prenderesti mai in considerazione l’idea di dirigere un lungometraggio?
“Ho dedicato la mia vita alla musica. Non sono sicuro di saper dirigere un film, ma mi piacerebbe collaborare con un regista davvero bravo e creare una colonna sonora per un film, cosa che non ho mai fatto. La mia musica è spesso descritta come cinematografica, e sono d’accordo, ma non ho mai avuto l’opportunità di creare una colonna sonora. Ho fatto il contrario: ho scritto la musica e poi ho commissionato a un regista la realizzazione di un film basato su di essa. Fare il contrario sarebbe una sfida affascinante che spero, un giorno, di affrontare.”
Come hai lavorato con il regista? Come hai trasmesso la tua visione?
“In parte l’ho fatto, ma una delle cose più belle della collaborazione è lasciarsi sorprendere. Questo vale anche per quando invito altri musicisti nei miei album: voglio che portino il loro contributo e mi stupiscano.
In questo caso, avevo un concetto forte e avevo scritto i testi. Mi sono seduto con il regista e abbiamo parlato di ciò che il testo significava per me, di ciò che immaginavo mentre creavo la musica. Perché io immagino sempre il film nella mia testa.”
Scommetto che visualizzi il suono. È qualcosa che mi viene sempre in mente sin da quando ascolto i Porcupine Tree e i successivi album solisti.
“Assolutamente, sì. Credo di vedere sempre la musica nella mia testa, oltre a sentirla. È una sorta di sinestesia. Ma quando commissiono un regista o un videomaker, voglio che portino le loro idee e la loro personalità. Altrimenti, che senso ha? Voglio che abbiano una propria espressione artistica. È sempre una bella sorpresa vedere come interpretano ciò che ho scritto o detto loro, ed è stato così in questo caso. Ho detto a Miles, il regista, cosa intendevo con i testi e cosa avevo immaginato, ma poi lui è tornato con una visione e un’interpretazione molto diverse. Ho riconosciuto parti della mia interpretazione, ma anche parti nuove che lui ha apportato.
E questo mi piace. Lo adoro.”
L’ascolto di ‘The Overview’ è un’esperienza coinvolgente. Pensi che ci sia un modo corretto per l’ascoltatore di avvicinarsi a questo album? Una certa impostazione?
“Mi piace l’idea di non sottovalutare l’ascoltatore. Uno dei problemi di molta musica moderna è che si sottovaluta la capacità dell’ascoltatore di impegnarsi a un livello più profondo. Molta musica è banale e generica; sembra di averla già sentita molte volte e segue troppe regole, quasi al punto che potrebbe essere creata dall’intelligenza artificiale. Io voglio essere l’opposto: creare qualcosa che non obbedisca alle regole, che sfidi l’ascoltatore, che lo spinga a impegnarsi a un livello più profondo, a concentrarsi per più di 15 secondi, ad ascoltare qualcosa per 40 minuti dall’inizio alla fine, che non sottovaluti la sua intelligenza e che parli di grandi idee con testi complessi rappresentati attraverso la musica. Per me, questo è essere alternativi, l’alternativa a ciò che è mainstream in questo momento.”
Uno studio recente ha rilevato che ogni giorno vengono caricate sulle piattaforme più di 100.000 canzoni. Non credi che sia diventato molto più difficile avere un impatto reale in un panorama così saturo?
“Assolutamente, completamente. La crisi più grande che l’industria musicale deve affrontare non è l’intelligenza artificiale. So che tutti pensano che lo sia, ma non è così. È la pura e semplice proliferazione.”
L’ho pensato anch’io, per questo volevo conoscere la tua opinione in merito.
“Troppa roba, e molta di essa è molto generica e intercambiabile. Una delle cose belle della musica oggi è che è più facile da fare che mai. Puoi comprare un computer portatile, scaricare GarageBand e fare un album che suona bene come quello di chiunque altro. Questo è un bene, ma il lato negativo è che l’impulso umano naturale è quello di voler vedere la propria musica riflessa, qualunque cosa si faccia, vedere la propria creazione riflessa da altre persone. Così oggi abbiamo un’incredibile proliferazione di persone che mettono la loro musica su Bandcamp, Spotify, Apple Music, SoundCloud, YouTube, e così via. E onestamente, credo che la reazione della maggior parte degli ascoltatori sia quella di dire: “C’è troppa roba. Non posso essere disturbato. Non ho tempo e non ho voglia di ascoltare tutta questa musica, quindi torno a quello che già conosco e che già mi piace, e torno indietro. Andrò a comprare la decima ristampa di ‘Sgt. Pepper’ o la quindicesima di ‘Dark Side of the Moon’.
Perché non posso negoziare questa proliferazione di nuova musica”. E questo è un peccato, è davvero un peccato.
E non so se c’è una risposta semplice a questo problema.”
È anche vero che non tutti hanno talento…
“Sì, credo che sia vero. Non tutti hanno talento, ma soprattutto non tutti hanno qualcosa di unico da apportare. Tanta musica è molto generica: pop molto generico, metal molto generico, jazz molto generico, cover, qualunque sia il genere, il 99,9% è musica così generica che non aggiunge niente di nuovo. E cercare di trovare musica con personalità, che ti metta alla prova e che ti faccia dire: “Wow, è qualcosa che non ho mai sentito prima” è davvero molto difficile.”
E tu come scopri nuova musica o nuovi artisti emergenti?
“Spesso sono gli amici a consigliarmi nuova musica. È interessante notare che, nelle ultime due settimane, durante le interviste per ‘The Overview’, diversi giornalisti mi hanno suggerito artisti da ascoltare. Questa settimana, grazie ai loro consigli, ho scoperto un paio di nuovi artisti. La raccomandazione personale rimane, a mio avviso, il metodo migliore per scoprire nuova musica.”
Hai qualche chicca per noi?
“Dipende dai vostri gusti musicali. Se siete appassionati di musica più orientata alla chitarra o più pesante, vi consiglio i finlandesi Oranssi Pazuzu. Li ho scoperti di recente e li trovo davvero unici.”
Conosci i Gösta Berlings Saga dalla Svezia?
“No, non li conosco, aspetta che me lo segno!”
Dovresti ascoltarli, penso che ti piaceranno.
“Grazie per il suggerimento, li ascolterò sicuramente.”

Tornando alla tuo lavoro, la composizione si è naturalmente evoluta in questa forma estesa fin dall’inizio del tuo processo creativo? Quando hai iniziato a comporre l’album, queste due lunghe tracce hanno preso spontaneamente questa struttura espansiva?
“Sì. Ancora prima di scrivere una sola nota di musica o una sola riga di testo, sapevo già che questo sarebbe stato un pezzo lungo, suddiviso in due lati. Un unico viaggio musicale.
A quel punto, tutto ciò che sapevo era che sarei andato da A a B in un determinato arco di tempo. Per il resto, tutto era possibile. Ovviamente mi piace che le cose abbiano un flusso logico, che il viaggio musicale abbia senso e sia coinvolgente. Deve essere un’esperienza soddisfacente da vivere.
Ma al di là di questo, non mi sono imposto regole. Non ero particolarmente autoconsapevole mentre realizzavo questo disco: ho lasciato che la musica scorresse liberamente. Se emergevano influenze elettroniche, riff metal, sonorità cantautorali, ambient o qualsiasi altro elemento, li accoglievo senza analizzarli troppo.
E credo di non aver lavorato così da molto tempo. I giorni in cui ero iper-consapevole di ciò che facevo sono ormai lontani. Ora mi affido al fatto che ho un suono riconoscibile, immediatamente identificabile come mio. E all’interno di quel contesto, posso permettermi di esplorare liberamente. Spero che, alla fine, suoni come un album di Steven Wilson.”
Perfetto. Quindi in qualche modo vuoi ridefinire il concetto di prog ai giorni nostri. Pensi che debba essere continuamente reinventato?
“Beh, credo che, se vogliamo continuare a chiamare qualcosa “progressive”, allora deve necessariamente evolversi. C’è una sorta di dissonanza cognitiva tra il vero significato della parola progressive e il fatto che molte persone appassionate di musica prog pensano che debba suonare come qualcosa registrato nel 1972 dai Genesis o dagli Yes, per esempio. Questa contraddizione, per me, non ha senso.
Sono sempre molto interessato al vero significato della parola: non sottovalutare l’ascoltatore, accompagnarlo in un viaggio, offrirgli qualcosa che stimoli la sua intelligenza e la sua capacità di ascolto, ed essere veramente progressive. Si tratta di cercare nuovi ibridi sonori, di utilizzare le tecnologie più recenti.
In questo album, per esempio, ci sono molti strumenti vintage, ma anche le più avanzate tecnologie digitali. È un disco che potrebbe esistere solo nel 2025, e per me questo è lo spirito del progressive: non dovrebbe mai essere nostalgico. Almeno per me, non dovrebbe mai esserlo.”
Dato che ‘The Overview’ è composto da due lunghe tracce, alcuni ascoltatori potrebbero vederlo come un lato A e un lato B. Ti infastidisce quando le persone sezionano il tuo album in parti preferite invece di viverlo come un’unica esperienza?
“È un po’ strano, vero? Ma in fondo è naturale. Anche chi guarda un film ha sempre una scena preferita, no? Non credo che le due cose si escludano a vicenda.
Si può apprezzare un’opera nella sua interezza e, allo stesso tempo, avere delle parti che risuonano di più a livello personale. Fa parte del piacere della musica, così come accade nel cinema: puoi amare un film, ma avere una scena in particolare che ti colpisce più delle altre.
Quindi non mi disturba. L’importante è che le persone non si limitino ad ascoltare l’album a pezzi, ma si godano il viaggio, il suo flusso e la struttura complessiva. Se poi vogliono soffermarsi su alcune parti in particolare, per me va benissimo.”
Quando l’album uscirà in vinile, ci sarà quindi un lato A e un lato B, come ai vecchi tempi?
“Sì, esatto. Fin dall’inizio l’ho sempre immaginato come un disco in vinile, perché è con quelli che sono cresciuto.
Ho sempre pensato agli album in termini di come sarebbero stati suddivisi su un vinile. Perciò ho concepito questo disco come una sorta di “due tracce” in vinile, con un lato lungo per ciascuna.”
Mi è sempre piaciuto girare il vinile e scoprire il lato B. C’era qualcosa di emozionante in quel momento.
“Sì, era un vero e proprio rituale. È qualcosa che i giovani di oggi, purtroppo, non possono comprendere ed è un peccato.”
Alla fine di questa esplorazione dal cosmo, cosa pensi dell’umanità?
“Credo che sia una domanda piuttosto complessa. Ma per me, dietro quest’album, c’è un messaggio importante: la necessità di avere una prospettiva più ampia.
La prospettiva che cerco di trasmettere attraverso il disco è che, su scala universale, siamo incredibilmente insignificanti. Il nostro pianeta, la nostra specie, non significano nulla nell’immensità del cosmo. Siamo solo uno dei trilioni di pianeti in trilioni di galassie.
E la specie umana? È solo una delle tante che abitano questo splendido pianeta. E per di più, siamo qui da pochissimo tempo: la Terra esiste da circa 4 miliardi di anni, e noi esseri umani siamo arrivati appena “cinque minuti fa”, in termini cosmici. Eppure, ci comportiamo come se fossimo i padroni di tutto. Nulla potrebbe essere più lontano dalla verità.
Quello che voglio trasmettere è proprio questa consapevolezza. Ma non deve essere vista come qualcosa di negativo, anzi, dovrebbe essere una rivelazione positiva.
Rendersi conto che la nostra vita è solo un piccolo lampo nell’infinità del tempo dovrebbe spingerci ad apprezzarla ancora di più. Dovremmo abbracciare questa consapevolezza, riconoscere il dono che ci è stato dato e goderci il viaggio.
Questo è il messaggio che voglio che il disco trasmetta: non un senso di sconforto, ma una sensazione di meraviglia. Sì, siamo minuscoli nel grande schema delle cose, ma siamo anche capaci di creare qualcosa di straordinario. Allo stesso tempo, però, siamo anche capaci di incredibile stupidità.
E credo che sia importante ricordare entrambi gli aspetti.”

Leggi di più su: Steven Wilson.