Labyrinth – Echi di un addio?

Il 10/02/2025, di .

Labyrinth – Echi di un addio?

Pure questa volta ce l’hanno fatta: con il loro nuovo lavoro in studio ‘In The Vanishing Echoes Of Goodbye’, i Labyrinth hanno nuovamente stupito tutti, consegnando un album che, pur non intaccando il fedele trademark, si rivela versatile, al passo coi tempi e pieno di ottimi spunti per niente banali. Stupito dopo averlo ascoltato e, di conseguenza, averne pubblicato la recensione, il nostro Gianfranco Monese ha avuto la bella idea di raggiungere tramite videochiamata il cantante Roberto Tiranti per farsi svelare tutti i retroscena di questo decimo lavoro del sestetto italiano, oltre a succose novità e curiosità riguardanti i venticinque anni di ‘Sons Of Thunder’, la sua attività lavorativa alla corte di Gianni Morandi, de Il Volo, e tanto altro ancora. Quindi, come sempre, non ci resta altro che augurarvi una buona lettura!
Buongiorno Roberto, grazie della tua disponibilità e benvenuto a Metal Hammer Italia: come stai innanzitutto?
“Io molto bene, sono felice di essere a Metal Hammer Italia, testata che ci sostiene da sempre, quindi per me è un incontro piacevole, anche se tu all’epoca forse eri molto piccolo.”
Si, avevo quindici anni all’epoca di ‘Sons Of Thunder, e come puoi vedere qualcosa avevo acquistato (gli mostro la longsleeve vecchia di venticinque anni di ‘Sons Of Thunder’, che sto indossando).
“Hai una maglia strepitosa, grande, che spettacolo!”
Grazie mille. Passiamo subito a parlare del nuovo disco ‘In The Vanishing Echoes Of Goodbye’. Partiamo da titolo e copertina: dobbiamo preoccuparci, dato questo “goodbye” ed il vostro labirinto che si sta inesorabilmente sfaldando?
“Chi lo sa? Questa è la risposta che io do e che diamo tutti, nel senso che come si evince dai brani all’interno del disco, da quello che abbiamo fatto e da come lo abbiamo fatto, cercando di farlo al meglio delle nostre possibilità, non lo sappiamo, ma è sempre così con i Labyrinth: non sappiamo come andrà esattamente come non sapevamo cosa sarebbe successo dopo il 2008, l’anno dopo l’uscita di ‘6 Days To Nowhere’. Ci fermammo, poi io ripresi i contatti con Olaf, perchè in realtà lui è un amico carissimo, e così era rimasto anche durante lo split, e parlammo assieme a Cantarelli del prosieguo di ‘Return To Heaven Denied’: da lì è un pò ripartito il tutto, dopodichè dopo il 2013 c’è stato nuovamente un momento di stasi, dove ci fu quel pasticcio per cui venne rilasciato impropriamente un comunicato nel quale io lasciavo la band: in realtà non era voluto quel comunicato, come non era voluto il fatto che dovesse entrare Mark Boals. Lui doveva entrare, ma poi per un motivo o per un altro la cosa non successe, per cui per molti io me ne sono andato ma in realtà non è mai successo: sarebbe successo qualora fosse entrato Mark. Quel momento di stasi finì nel 2016, quando avemmo l’opportunità grazie a Frontiers di accettare di pubblicare, ad oggi, con i nostri tempi e con molta calma, questa trilogia che inizia da ‘Architecture Of a God’ pubblicato nel 2017 ma lavorato, scritto e registrato un anno prima, ed arriva ad oggi con questa nuova uscita. Quindi non ti so dire cosa succederà ai Labyrinth: noi siamo una band strana, con strani equilibri, ma mai come oggi contenti di fare quello che facciamo. Abbiamo una line up stupenda e non vediamo particolare intoppi nelle nostre vite se non la vita stessa, quindi il fatto di aver superato la cinquantina e doverci scontrare con la vita di tutti i giorni però, ti ripeto, non lo sappiamo. Di certo questo inizio è molto incoraggiante, perchè univocamente arrivano da tutti ottimi pareri: ieri ho fatto un’intervista con un giornalista che era entusiasta dell’album in maniera assolutamente onesta come lo sei stato tu e tanti altri, quindi questo ci da la spinta per dire che forse non è un album di commiato ma un album che potrebbe portare a qualcos’altro, ma non lo sappiamo.”
A saltare all’orecchio questa volta rispetto al passato, è il lavoro chitarristico aggressivo e torvo di Thorsen e Cantarelli: come mai avete virato in questa direzione? Cosa vi ha portato a lavorare in questo modo, e come vi siete approcciati?
“Come sempre accade, nulla di quello che i Labyrinth fanno è premeditato. Non è stato premeditato il passaggio a ‘Freeman’, criticato nel 2005 ma rivalutato in seguito, o il passaggio a ‘6 Days To Nowhere’, album differente da ‘Freeman’, e neanche in questo caso c’è stato qualcosa di premeditato. Se posso permettermi, devo dire che siamo quasi metereopatici: ci rapportiamo fondamentalmente ai tempi in cui viviamo, e questi tempi, spiace dirlo, li vediamo con questo tipo di oscurità, non a caso il primo singolo estratto si chiama ‘Welcome Twilight’, ma lo si vede anche nella copertina, seppur sulla destra ci sia ancora spazio per un pò di luce. Quindi Olaf e Andrea hanno volutamente tirato giù dei riff oscuri non perchè lo abbiano deciso a tavolino, ma perchè evidentemente sono figli del periodo storico in cui viviamo. Fondamentalmente, queste sono le ragioni: ci guardiamo intorno e sia musicalmente che, per quanto mi riguarda, nella scrittura dei testi, ci facciamo trasportare da ciò che accade.”

Hai quasi anticipato la mia domanda successiva, perchè ora ti chiedo: questa violenza in primis chitarristica trova riscontro anche nei testi? Di cosa canti questa volta?
“Canto esattamente quello che ti dicevo poco fa, canto del marasma che ci sta capitando intorno. Come canto in ‘Welcome Twilight’: “si vis pacem, para bellum” (se vuoi la pace, prepara la guerra, ndr.). Questa opener parte dicendo che dopo che il circo dell’assurdo ha lasciato la città, ha lasciato solo sporcizia e dolore: il circo dell’assurdo era il periodo del Covid, ed in tutta onestà ti posso dire che negli anni ho rivisto le mie posizioni riguardo a tutto quello che è ruotato sulla gestione di quel periodo, rendendomi conto che non ne siamo usciti migliori, ma nettamente peggiorati da un punto di vista sociale. E ‘Welcome Twilight’ parla proprio del fatto che dopo una pandemia è scoppiata, guarda caso, una guerra che coinvolge tutto il mondo, cioè quella tra Russia ed Ucraina, quindi siamo messi male dal punto di vista storico, tuttavia non la voglio vedere totalmente drammatica: credo ci possa essere un cambiamento che deve partire da noi, e non necessariamente dai potenti.”
Come da recensione, personalmente trovo incredibile che nonostante il passare degli anni, e dei dischi, scriviate sempre materiale all’avanguardia, magari virando leggermente le vostre coordinate, ma senza perdere la rotta. Come te lo spieghi? Sta forse aiutando una line up che, batterista a parte, è stabile da una decina di anni?
“Si, sicuramente siamo in una condizione per cui andare a suonare, scrivere dei dischi e registrarli è diventato piacevolissimo. Questa, per me, è la line up definitiva, e posso dirlo senza essere smentito: siamo un branco di deficienti che si divertono tra di loro e che come scopo principale portano tutti l’acqua nella stessa direzione. La direzione è la band, i Labyrinth, che ha comunque un trademark da rispettare, dato dal suono delle chitarre, dalle melodie che si scrivono, dai suoni stessi sia della mia voce che da determinati riff e da certe direzioni musicali anche quando non sembra che siamo sulla direzione giusta, ed invece lo siamo, che ci piace fare: questo è lo stimolo per scrivere la giusta musica e oltretutto, per questo album, abbiamo deciso di trovarci tutti in sala prove per scrivere insieme le canzoni, quindi la voglia c’è perchè umanamente la situazione nel gruppo è all’altezza di ogni aspettativa.”
Con ‘In The Vanishing Echoes Of Goodbye’ siete arrivati in doppia cifra: questo è il vostro decimo disco. Hai mai pensato tempo addietro, anche prima di ‘Return To Heaven Denied’, a come avresti voluto che fosse il decimo disco dei Labyrinth? Te lo immaginavi proprio così?
“Partiamo dall’epoca, ovvero esattamente da quando ero nei Vanexa e, nel febbaio del ’97, mi arrivò la telefonata di Olaf nella quale mi chiese se potevo andare a fare un provino a Lucca, in quanto avevano necessità di trovare un cantante. Lui aveva già sentito il disco dei Vanexa, perchè glielo aveva dato Wild Steel (voce degli Shadows Of Steel, ndr.), un caro amico di Savona che in quel periodo stava registrando nei loro studi e, saputo che loro erano senza cantante, disse che poteva avere una soluzione; diede il CD ai ragazzi, aggiungendo che se volevano già farmi un provino, gli sarebbe bastato accendere la TV la sera successiva, in quanto mi sarei esibito a Sanremo con i New Trolls (ride, ndr.). Quindi in pratica metà del provino lo feci a Sanremo, dopodichè a marzo scesi a Lucca, feci quello vero e proprio, ed il resto è storia. Accettai innanzitutto perchè mi piacque la cassetta contenente i demo di ‘State Of Grace’ e ‘Night Of Dreams’, canzoni cantate tra l’altro da un cantante strepitoso che però non fece parte del gruppo, che loro chiamavano Giaccò (spero di aver scritto giusto, ndr.), tant’è vero che non capivo cosa volessero da me, dato che avevano già un cantante meraviglioso, ma che a quanto pare non poteva prendersi quell’impegno fisso per vari motivi, dopodichè una volta fatto il provino entrai nei Labyrinth per gioco, non per sfiducia nei loro confronti, ci mancherebbe, ma per sfiducia nei confronti della difficoltà che già nel ’97 io vedevo nel fare un disco Metal in Italia, da parte di un gruppo italiano. Tuttavia mi prodigai, trovai ‘Return To Heaven Denied’ quasi pronto, aggiunsi le melodie di ‘Falling Rain’, ‘Die For Freedom’ e ‘New Horizon’, e mai avrei pensato che pochi mesi dopo, tra fine dicembre ’97 e inizio gennaio ’98, la Metal Blade si sarebbe accaparrata questo disco, e mai avrei pensato che avrei girato il mondo grazie a questa band. Quindi non pensavo neanche al primo di disco, figuriamoci se pensavo al decimo, e invece nel frattempo i Labyrinth sono diventati decisamente la realtà più importante della mia vita, la realtà che ci portò al diciannovesimo posto delle classifiche nazionali con la maglietta che hai tu, ovvero con ‘Sons Of Thunder’. Al diciannovesimo perchè non tutti sanno che il dato ufficiale, ovvero il ventiseiesimo, è dovuto a problemi editoriali, che hanno fatto si che quella settimana si decise di mettere in classifica anche le compilation, e quelle compilation ci hanno spostato al numero ventisei, tuttavia mai avrei pensato che saremmo entrati in un classifica nazionale e che avrei ascoltato un nostro pezzo su Radio2, perchè questo accadde a settembre del 2000, e per me fu una delle più grandi emozioni della mia vita assieme al primo Gods Of Metal, quindi pensare al decimo album era fantascienza.”

…e se oggigiorno siete usciti con il vostro decimo album, il terzo ‘Sons Of Thunder’ quest’anno compirà venticinque anni: studierete qualcosa prossimamente per festeggiarlo? Magari un’uscita in vinile a tiratura limitata? Inoltre, che ricordi hai di quel disco?
“Non so se faremo qualcosa per ‘Sons Of Thunder’, credo che lo tributeremo probabilmente non ri-registrandolo tutto, ma ri-registrando un paio di brani con la formazione attuale. Quello è stato un album assolutamente complicato, controverso e difficile, è stato il momento in cui nonostante fosse entrato in classifica e nonostante siano state vendute diecimila copie solo in Italia, un numero enorme per un disco Metal, si incrinarono un sacco di equilibri all’interno della band già in fase di registrazione. E’ stato il primo e unico album in cui abbiamo avuto un produttore, Neil Kernon, un super professionista che di musica ne sa veramente tanto. Forse, detto fra me e te, un pò lui non ha capito gli equilibri della band, un pò noi non eravamo sufficientemente maturi per la gestione di una produzione come quella, quindi a ciascuno le proprie responsabilità. Da lì sono nati i primi problemi: il primo mix è stato disastroso, tant’è che abbiamo dovuto remixare totalmente l’album, e nonostante ciò non suona come avremmo voluto, quindi ci sta che noi oggi si ri-registri un paio di brani da quel disco, facendolo suonare come avremmo voluto suonasse all’epoca. Ripeto: è stato un disco molto complicato che ci ha tuttavia dato tanto, che ci ha portato ancor di più ad onor del merito, ma se te la devo dire tutta quelli di ‘Sons Of Thunder’ sono stati momenti piuttosto dolorosi e complicati, che non a caso hanno portato nel 2002 allo split da Olaf. Poi noi si è continuato senza di lui, e quello fu un periodo che io ricordo con grande amore, come ad esempio l’omonimo disco, nonostante il dispiacere di non avere Olaf nella band. Poi, alla fine della fiera, è ovvio che il nome Labyrinth vuol dire Olaf, non c’è storia: per me i Labyrinth sono Olaf, Andrea e me, perchè alla fine noi tre siamo probabilmente quelli che per quanto riguarda il nome Labyrinth continuano ad avere ciò che al fan piace di più. Questo non certo per sminuire il resto della line up, anzi chi c’è ora ha reso gli ultimi dischi stupendi e meravigliosi: parlo della storicità del marchio.”
Sempre a proposito di dischi, qual’è il tuo lavoro preferito dei Labyrinth? Non per forza il migliore, magari uno che hai “vissuto” in un bel periodo della tua vita… E quale, secondo te, alla lunga è stato sottovalutato e meriterebbe più considerazione?
“Ogni album ha una propria storia. Certamente ‘Return To Heaven Denied’ continua ad essere al primo posto perchè ha dato una svolta non solo alla mia esistenza, ma anche a quella degli altri, quindi al primo posto sicuramente metterei lui; dopodichè metto l’omonimo disco del 2003, perchè come mi hai chiesto tu più che da un punto di vista musicale, che comunque mi piace moltissimo, fa parte di un periodo della mia vita particolarmente intenso e piacevole, e poi ‘Return To Heaven Denied Pt. II: A Midnight Autumn’s Dream’. Potrei dirti anche il nuovo disco, ma risulterei banale: sicuramente dell’ultima trilogia ‘In The Vanishing Echoes Of Goodbye’ è quello che più porto nel cuore, però se devo scegliere va al quarto posto dietro ai tre che ti ho menzionato. Per quanto concerne l’album sottovalutato, invece di ‘Freeman’ che, come ho già detto prima è stato capito nel tempo, per tanti motivi continua ad essere ‘6 Days To Nowhere’ perchè credo che al suo interno abbia alcuni brani davvero molto interessanti e notevoli, per quanto capisco sia sottovalutato perchè non gradito dall'”utente Labyrinth” che vuole invece altro.”
Bene Roberto, ora andiamo un po’ “oltre”: ultimamente sei andato in tour con Gianni Morandi, e nel programma ‘Tutti Per Uno’ de Il Volo all’Arena di Verona hai fatto parte dei coristi: ti va di dirci cosa combina Roberto Tiranti quando è “out of Labyrinth”?
(Ride, ndr.) “Guarda, io da sempre combino un sacco di cose, infatti per molti metallari duri e puri sono un “outsider”: non è mai stato un mistero, non a caso come ti dicevo poco fa i Labyrinth mi hanno preso che ero a Sanremo con i New Trolls, quindi  non è che io sono entrato nella band e poi sono improvvisamente impazzito e diventato qualcos’altro. E’ da tutta la vita che credo fermamente che la musica sia un territorio estremamente vasto, pieno di bellissime esperienze da fare, ed amo tantissimi generi musicali: ovviamente la mia musica preferita nasce dall’Hard Rock, dal Blues degli anni Settanta, dalla prima ondata storica del Metal fino ad arrivare ad Iron Maiden, Judas Priest e Queensryche, poi però adoro anche Stevie Wonder, Gino Vannelli, insomma tantissimi artisti diversi, di diversa fòggia. Quindi quando sono fuori dai Labyrinth continuo a fare il mestiere del cantante e del corista: sono stato con Gianni Morandi, con cui probabilmente riprenderò, attualmente sto lavorando con Riccardo Cocciante, con cui ci saranno un pò di date a marzo, aprile, maggio e giugno, poi da due anni collaboro come corista per Il Volo, sono stato corista a Sanremo l’anno scorso, insomma non mi faccio mancare nulla perchè è il mio mestiere, dopodichè ho questa parte importantissima della mia vita che non rinnegherò mai e che porto in palmo di mano, che si chiama Labyrinth.”

Una sera, facendo zapping ho beccato proprio Gianni Morandi ospite da Fabio Fazio a ‘Che Tempo Che Fa’. Ad un certo punto lui ha ammesso di aver visto gente anche più brava non aver avuto la sua stessa fortuna, e che dopotutto la carriera è una questione di occasioni e di fortuna, la quale ha un ruolo importante nelle nostre vite: guardando alla tua carriera, cosa ti senti di dire? La pensi come lui, o forse un pò di fortuna in più avresti avuto il piacere di averla?
“Gianni ha espresso dei concetti assolutamente cristallini. Diciamo che io ho avuto tutto ciò che non avrei mai immaginato di avere quando, a cinque/sei anni, accendevo lo stereo e già sognavo di farlo. Per me il successo è arrivato, poi è ovvio che molti mi hanno detto che avrei meritato di più: sinceramente non lo so, può darsi ma non lo so, non ne sono sicuro e non sono io che devo giudicare. Ovviamente ci sono un sacco di elementi che influiscono in tutto ciò, io ad esempio non so vendermi. Io sono il cantante dei Labyrinth ma non sono il frotman capo che decide: io sono uno strumento all’interno di un gruppo, stop. Poi fatalità è quello strumento che sta davanti, ma il mio problema non è mai stato l’ego, a me dell’ego non interessa: io preferisco stare due passi indietro anzichè mezzo avanti, quindi questo ha fatto si che io non mi esponessi mai fino in fondo. Ho avuto la fortuna di essere sempre scelto: quando sono entrato nei New Trolls ci entrai perchè il loro manager venne a sentirmi in un localino in quanto con me cantava la sua compagna, e da questo localino fece la spiata ai New Trolls che nel ’95 avevano bisogno di un elemento, e da lì a gennaio ’96 feci un’audizione con loro. I Labyrinth, come ti ho già detto, mi chiamarono perchè il mio amico Wild Steel diede loro un CD. Da ragazzino, a quindici anni, ero molto più spregiudicato: con i Vanexa accadde infatti che andavo spesso a sentire le loro prove, e non c’era mai il cantante; un bel giorno, fatto raro, li beccai tutti insieme, ovvero chitarrista, batterista e bassista, a suonare i brani del loro disco datato ’83 (l’omonimo debutto, ndr.), e con la mia faccia da culo dissi loro che se volevano io i loro pezzi li conoscevo, chiedendo di poterli cantare. Il chitarrista Roberto Merlone, pace all’anima sua dato che purtroppo è mancato sei anni fa, con fare scettico mi fece provare: cantai, lui ci rimase in senso positivo e pochi mesi dopo entrai nel gruppo, e questa è forse l’unica situazione che mi sono procacciato da solo. Per il resto sono sempre stato chiamato: per Gianni Morandi sono stato contattato dal grande Luca Colombo, con cui tra l’altro condivido una band, e pure per Il Volo sono stato contattato, l’unico aspetto “negativo” è che non sono capace di vendermi, promuovermi e sponsorizzarmi, e alle volte non ti nego di aver fatto delle scelte sbagliate, perchè non mi piaceva quanto proposto. Tuttavia, se si vuol parlare di successo, quanto mi è capitato è stato un gran successo: non sono ricco nè tantomeno famoso, ma sto facendo quello che volevo fare nella vita ed a grandi livelli, quindi va benissimo così.”
Adoro questa tua umiltà, non a caso ci tengo a dirti che nelle tante volte che ho visto dal vivo gli Iron Maiden, la data di Codroipo del 17 agosto 2010 mi rimarrà sempre impressa per un semplice fatto: voi siete stati una delle migliori band di supporto alla Vergine di Ferro, molto meglio di altri nomi ben più in auge, eppure siete stai l’unico gruppo che, poco prima di iniziare (durante l’intro di ‘Chapter 1′), è salito sul palco con le copie della setlist in mano da poggiare a terra, un po’ come si faceva agli inizi, quando si suonava nel bar sotto casa o alla festa di fine anno scolastico…
“Perchè noi siamo quella roba lì, e sono felicissimo che tu l’abbia notato. Anche in quel caso ci siamo divertiti: quando sono arrivato sul palco e ho visto quel mare di gente, non mi sono spaventato, anzi dicendomi “ma che meraviglia” mi è partita una botta di adrenalina, ed alla fine è stato uno dei concerti più belli della nostra vita. Inoltre, sul finale, girandoci verso la parte posteriore dell’ingresso del palco, vedemmo Nicko McBrain che ci faceva “ok” con la mano. Che dire?! Quelle sono le grandi soddisfazioni della vita, quelle che magari non hai mai raccontato ma che ti ripagano di tanti sforzi. Noi facciamo musica, ma non la facciamo solo per noi, la facciamo per chi ci viene ad ascoltare, quindi sarebbe stupito fare gli arroganti, a che pro? Non ha nessun senso e non fa parte di noi, anche se a volte me lo sento dire. Può capitare che ci siano degli atteggiamenti mal interpretati, ma non è mai nostra intenzione trattare male nessuno, anzi avere grande rispetto della gente che ci segue, perchè alla fine è grazie ai fan se siamo dove siamo.”
Ottimo, Roberto, l’intervista è giunta al termine: ringraziandoti ancora per la tua disponibilità, se c’è qualcosa che vuoi aggiungere ai lettori di Metal Hammer Italia, quest’ultimo spazio è tutto tuo!
“Finisco come ho iniziato: ringrazio Metal Hammer, che fa parte della mia vita. All’epoca, con Alex Ventriglia e Fabio Magliano sono stati momenti indimenticabili, quindi grazie a Metal Hammer e grazie a tutti coloro che, nonostante il passare degli anni, continuano a seguire i Labyrinth e questa testata. Noi ce la mettiamo tutta, e se riusciamo a fare qualcosa di buono è soprattutto grazie a voi ed ai fan.”

 

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