Marco Hietala – Back in the Fire
Il 05/02/2025, di Fabio Magliano.
Dopo aver assorbito gli scossoni dal divorzio dai Nightwish, aver messo a posto qualche tassello della propria esistenza, il bassista/cantante Marco Hietala si appresta oggi a ritornare sulle scene con il nuovo album ‘Roses From The Deep’, un disco intenso e vario, ricco di testi dark e introspettivi e paesaggi sonori cinematografici e altisonanti, che va a rappresentare un nuovo inizio per questo possente musicista che grandi cose, da solista o in coppia con la splendida Tarja Turunen, ci ha fatto vedere nel corso degli anni. Una buona occasione per contattarlo e farci trascinare dal suo pungente umorismo alla scoperta del suo nuovo gioiellino.
Ciao Marco, benvenuto su Metal Hammer Italy. Come stai?
“Sto bene, anche se la stanchezza sta iniziando a farsi sentire. Ho fatto cinque spettacoli di fila con i Roskasta Joulua, un progetto natalizio che faccio qui in Finlandia da vent’anni…è una cosa divertente, il pretesto per suonare un po’ con vecchi amici con i quali non ci si vede da tempo, però dopo un po’ la stanchezza inizia a farsi sentire…”
Anche perchè non hai modo di fermarti a riposare, visto che hai un nuovo lavoro da promuovere, un disco davvero interessante, ricco di sfumature, di atmosfere differenti, di sfaccettature affascinanti…
“Ti ringrazio, se hai ravvisato tutto questo significa che abbiamo centrato l’obiettivo. Quando ho fondato questa band ho iniziato a scrivere materiale che avrei voluto presentare con il mio nome, perchè ci ho messo dentro molto di mio, soggetti, pensieri, stati d’animo differenti. Poi ho visto che anche i compagni di band hanno iniziato a farlo. Siamo riusciti a mettere insieme un gruppo di musicisti molto versatili e di mentalità aperta. Tutti amiamo la vecchia scuola, il buon hard rock e l’heavy metal. Quindi c’è una grande varietà di stili già all’interno delle persone che scrivono e arrangiano le canzoni. Inoltre, per quanto mi riguarda, in questo preciso momento mi sembra di non voler seguire alcun tipo di tendenza o comporre ciò che la gente si aspetta da me. Voglio solo mettere insieme qualcosa che sia interessante”.
E’ per questo che nel disco spazi dal rock al blues, dal metal alla musica cinematografica?
“Si, è molto probabile. Voglio dire, le canzoni in sé non hanno l’obiettivo di essere eccessivamente complesse o troppo elaborate per dare una lezione di stile e composizione. Ci sono semplicemente diversi elementi che insieme si sposano bene, quindi perchè non utilizzarli? Io sono piuttosto orgoglioso di me e dei miei ragazzi per come siamo riusciti a fondere molte influenze in modo perfetto e senza sforzo. Alla base di tutto c’è l’una mente aperta alla musica, non sul cercare di fare qualcosa tanto per impressionare chi ci ascolta. E credo che questo atteggiamento rilassato si senta anche nel modo in cui la band suona”.
Pensi che l’artwork di questo album possa spiegare completamente ciò che possiamo ascoltare nell’album? Ci sei tu con la testa che esplode e da essa fuoriesce di tutto, dalle rose ai draghi…
“Sì, è così, anche se detto così non suona benissimo… la testa che esplode mi sa tanto di splatter, suona peggio di quanto sembri (Ride, Nda). In realtà avevamo tanti provini e demo di artisti che avevano tirato giù idee per la copertina, ma questa immagine ha subito catturato l’attenzione di tutti quanti. L’abbiamo trovata interessante…audace… ed è stato naturale sceglierla come cover”.
Questo è il tuo secondo album solista dopo ‘Pyre of the Black Heart’ ma, forse perchè il tuo disco di debutto era uscito in un momento per te particolare della tua carriera, trovo che questo ultimo disco sia molto più focalizzato verso l’obiettivo, molto più personale quasi fosse il tuo vero, primo disco solista…
“Capisco cosa intendi, è normale, perchè per ‘Roses From The Deep’ c’è stato un lavoro mirato all’album, abbiamo composto canzoni e testi appositamente per questo disco, mentre in ‘Pyre of the Black Heart’ erano confluite canzoni che erano rimaste fin troppo tempo in un cassetto. C’erano brani che avevano più di dieci anni, altri che erano stati abbozzati, poi modificati, poi ripresi nel corso degli anni… nel nuovo disco tutto questo non è successo ed è per questo che suona più compatto. Ma c’è anche, naturalmente, il fatto che la band suona molto più spesso insieme. Questo dà anche un’ottima spinta alla fiducia generale che si sente nelle canzoni. Devo ringraziare Tuomas e Vili per l’impegno che hanno messo in questo progetto perché loro, sì, hanno fatto davvero tanto. Hanno collaborato alla stesura dei testi e agli arrangiamenti… c’è molto di loro in questo disco. Io invece tendo a lasciarmi portare dal momento, se trovo qualcosa di bello con la chitarra o con il basso che può funzionare in questo contesto bene, altrimenti lo metto in un cassetto e probabilmente andrà bene nel prossimo album. Io sono così, ma non potrebbe essere diversamente visto che passo la vita con uno strumento in mano!”
Hai passato molti anni a suonare in una band… i Tarot, i Nightwish, i Sinergy…Pensi che suonare come artista solista possa essere una sfida per te?
“E’ una sfida ma è anche vero che, se questo progetto porta il mio nome ma la dimensione è molto vicina a quella di una band, tanto che all’inizio pensavo di darle un nome vero e proprio, però gli altri ragazzi erano dell’idea che fosse meglio usare il mio nome perché è più conosciuto. Ok. Dannazione. Maledetti bastardi (Scoppia a ridere Nda). In ogni caso, si tratta di un lavoro di gruppo. Ripensando alla storia della mia band, a quanto tempo è passato con i Tarot, più di 30 anni, mi rendo conto che tutto questo è ancora relativamente nuovo, ma al momento abbiamo una buona chimica personale, c’è affiatamento, quindi penso che non resterà un progetto a sè stante ma che ci sarà in futuro altro materiale con questo gruppo”
Hai deciso di iniziare l’album con il tuo personale tributo ad Alice Cooper, ‘Frankenstein’s Wife’. E’ un tributo voluto o è qualcosa di inconscio?
“Beh, ovviamente il titolo della canzone è abbastanza eloquente. Poi il caso ha voluto che due di noi hanno avuto l’idea di chiamare alcuni de cantanti più bravi che conoscevano e di creare un buon gruppo di vocalist maschi e femmine. Li abbiamo messi un una bella stanza con un’ottima atmosfera, gli abbiamo dato un microfono e li abbiamo fatti cantare separatamente ma allo stesso tempo in modo armonico, come se fosse un grande coro. Un po’ come fatto da Alice Cooper in ‘Hey Stoopid’. Il risultato mi è piaciuto e ho detto: ho, mettiamolo”
‘Dragon Must Die’… il drago è l’allegoria di qualcosa che ti tormenta e ti affligge?
“No, non proprio. Non è una cosa personale, o meno, ognuno è libero di leggerci cosa crede e di dargli il significato che più gli si addice. Io credo che oggigiorno l’etica sia andata a farsi fottere, e questo ha fatto si che ogni tipo di governo, ideologia, religione, tendenza fisiologica siano arrivati a giustificare il fatto che derubare le persone sfruttando la loro paura e ignoranza sia lecito. Quindi è un mostro a più teste e merita di essere ucciso”.
Sei tu il ‘Rebel of the North’?
“Sì, più o meno. Ma è anche una sorta di dichiarazione che non dovremmo rimanere troppo bloccati nelle nostre abitudini e… Dimenticare cosa significa. Anche avere passione e trovare cose nuove da esplorare”.
In questo lavoro rinsaldi il tuo sodalizio con Tarja. Come ti sei trovato a lavorare nuovamente con lei dopo la felice esperienza con i Nightwish?
“Benissimo, poi adoro ‘Left On Mars’, trovo sia una canzone fantastica. Ci sono dei punti, per lo più le introduzioni che vanno nei ritornelli, dove ci sono solo due voci e c’è un’armonia per entrambi che si apre in grande. Anche a me piacciono quei punti, sono fantastici. Ed è stato tutto molto facile. Ci eravamo già incontrati nel 2017 durante lo stesso tour natalizio che sto facendo di adesso. Abbiamo avuto modo di parlare di alcune cose, abbiamo pensato che tutti i problemi, i media e tutte quelle stronzate fossero ormai alle spalle. È acqua passata. La cosa più triste è stata perdere un’amica. E poi, in un certo senso, ci siamo sentiti a posto. Poi, due estati fa, i nostri gruppi si sono trovati a suonare allo stesso festival in Svizzera e lei mi ha chiesto se mi avesse fatto piacere cantare con lei ‘Phantom Of The Opera’ ed io ho subito accettato con entusiasmo. Quando questa primavera abbiamo iniziato a fare i demo per ‘Roses From The Deep’ con i ragazzi mi sono trovato tra le mani questa canzone che aveva un che di romantico. Parla di…essere alienato dai problemi che ho avuto e che sono finiti. Ho pensato che Tarja sarebbe anche potuta essere su Marte, ma non mi ha mai abbandonato, è stata lei a fare un passo verso di me e a riportarmi indietro. Quando il mio chitarrista mi ha detto che sarebbe potuto essere un gran duetto ho avuto la conferma di ciò che avevo in testa, quindi è bastato cambiare un paio di parole e il brano è stato perfetto, quindi in Svizzera oltre a ‘The Phantom Of The Opera’ ho portato a Tarja anche la chiavetta USB con questo brano. Il risultato penso parli da sé”.
Curiosità mia: cosa si prova a cantare ‘The Phantom Of The Opera’? Ho avuto modo di assistere al musical londinese ed è un pezzo di un’intensità pazzesca…
“E’un brano iconico e io ho bene in mente la sua natura. E’ uno di quei brani da cantare senza pensare troppo a ciò che rappresenta, per evitare di venire schiacciati dal suo peso. Se non ci pensi troppo vai rilassato, puoi usare meglio il tuo corpo e la tua voce, è tutta una questione di concentrazione, infatti per cantarlo ci va una buona preparazione”.
Se ti guardi allo specchio, cosa vedi? Chi è Marco? Sei un uomo realizzato o sei ancora alla ricerca di qualcosa?
“Sono un uomo soddisfatto. Ho visto molte cose, ho ottenuto molto. Ho dei figli e si, sono soddisfatto della mia vita. Supponiamo che tra un secondo un meteorite si abbatta sul tetto e io muoia. Morirò felice. Poi si innesca quel malato meccanismo legato forse all’ego, per il quale pensi che sarebbe bello, in questo strano e caotico mondo della musica, avere successo con il nuovo album, far nascere qualcosa da questo disco, un tour, poterlo suonare dal vivo per le persone che lo amano, tornare a suonare sul palco con i miei amici musicisti… Quindi spero che il meteorite non cada proprio ora e spero di poter continuare a fare a lungo quello che mi piace. E’ il motivo per il quale suono da sempre, poter condividere la mia musica con gli altri, per questo nonostante sia felice e soddisfatto di quello che ho fatto non mi sento realizzato totalmente ma sento ancora il bisogno di continuare a suonare e a comporre”.
Possiamo dire che la musica è per te una sorta di terapia?
“E’ una terapia, uno sfogo. Ma d’altra parte ho una mente e un’immaginazione molto sovraccariche a causa di una vera e propria ADHD e la musica mi sta aiutando a trasformare un problema in qualcosa di positivo”.
In conclusione, se guardi al futuro cosa vedi?
“Beh, a febbraio uscirà l’album, poi suoneremo un po’ in Finlandia quindi andremo in giro per l’Europa dell’Est con due band.. In primavera andremo poi in giro per il resto dell’Europa. Diciamo da febbraio, marzo, aprile e maggio ci saranno periodi di grande impegno ma come ti ho detto prima, è la vita che mi piace e non mi lamento di certo”.