Prima di cedere il microfono ad Agghiastru, burattinaio unico dietro il sipario del progetto Inchiuvatu, da sempre cuore nero della Scena Mediterranea, la dovuta premessa è che quest’intervista ha avuto luogo dopo il live del 18 ottobre al Defrag di Roma, vale a dire dopo quasi tre ore di performance (di cui potete leggere il live report qui su Metal Hammer Italia). Dato l’orario, considerata la stanchezza che puoi immaginare dopo uno spettacolo così impegnativo a partire dall’allestimento fino ai numerosi movimenti scenografici sul palco, ho proposto di rimandare l’intervista (concordata per quella sera), all’occorrenza tramite telefono o videocall. Eppure Agghiastru, con disponibilità assoluta, ha preferito restare per oltre un’ora/un’ ora e mezza di conversazione sino alle due passate, su temi che spaziano dal passato al futuro degli Inchiuvatu, passando dallo stato di salute della scena Black, fino al declino del mondo occidentale…
Per prima cosa mi piacerebbe che presentassi lo spettacolo che in questi mesi ha fatto tappa a Torino, Modena e stasera, dopo oltre 25 anni, a Roma.
FotoReporter X /INCH Productions
“Lo show che stiamo portando in giro è la rappresentazione del debut album Addisiu del 1997 in forma di Teatrino. Il titolo del disco tradotto suona con “Desiderio” o meglio ‘’Io desidero!’’ e ora ti spiego la copertina. Vestiti i panni del viandante e divelta la testa della madre, “Agghiastru” (ulivo selvatico), desidera andare incontro a se stesso, all’Uomo che è o dovrebbe essere, trovando in questo peregrinare il fallimento dell’Uomo Occidentale. Ecco che m’inventai un Teatrino dei Pupi, in linea con la tradizione greca siceliota, dove mettere in scena il dramma miserabile dell’esistenza nel quale il viandante si ostina a cercare la propria identità in questo Teatrino dell’Assurdo. Tutto lo spettacolo ruota, più o meno, sul concetto pirandelliano (per fare un esempio comprensibile ai più) di “Uno, Nessuno, Centomila”, nonché sull’impossibilità di conoscere noi stessi.”
Rispetto a quanto dicevi sul tema della ricerca dell’identità attraverso le nostre molte maschere possiamo dire che, in qualche modo gli Inchiuvatu hanno precorso i tempi nello spostare le tematiche, in ambito Black, dall’opposizione alla filosofia Giudaico-Cristiana ad aspetti che hanno più a che fare con le angosce esistenziali, che oggi sono per lo più sdoganate nei sottogeneri Depressive e Blackgaze?
“Inchiuvatu è sempre stato un progetto esistenziale e misantropico che oscilla tra la massima conoscenza di sé, data dalla grandezza degli Antichi Greci, fino all’annichilimento di questo sé da parte di una filosofia giudaico-cristiana con la loro visione antropocentrica. Inoltre, se si vuol capire questo “essere precursori”, o il nostro percepire la musica degli anni 90, un fenomeno poco tangibile da Roma in su, è necessario comprendere che il nostro movimento era ubicato in un contesto di assoluta lontananza geografica. Non sentivamo di ‘’esistere’’. Eravamo isolati da tutto e tutti, quindi la percezione del black metal, come nuova filosofia, era davvero una risposta attesa e diretta ad un modello di vita che vivevamo e non ci piaceva, e che volevamo rigettare. In quegli anni 90 venivo a vedere dei concerti a Roma e con i ragazzi si andava a questi eventi metal estremi e si dibatteva di Nietzsche o Camus. Per me, che venivo da una landa remota come la Sicilia di fronte l’Africa, venire a Roma, in via S. Sebastianello, ritrovo abituale di metallari e goths, era stimolante trovare questa bella percezione culturale di questa musica nuova, differente dal death metal americano di Tampa o da quello svedese di Stoccolma, le quali scene ci apparivano un po’ più rozze. Per cui volevamo immaginare che questo nuovo metal estremo potesse darci quella rivalsa ulteriore nell’affermare: “metallaro sì, ma senza esser parte di quella massa omologata che della vita prenderà tutto calato da un fantomatico cielo (famiglie, lavori, mutui, figli, riunioni condominiali), no!”. Altra cosa importante, aver capito quella speculazione straordinaria data dalla teologia negativa in opposizione a quel modello di vita di cui sopra. Eravamo immersi in questa atmosfera frizzante, (probabilmente per questa mia deformazione mentale che vive e ragiona come se fossi un ventenne negli anni 70) per cui a 15/20 anni non sai chi sei, non sai cosa vuoi dalla vita, non sai nemmeno quali domande devi farti, ma capii subito che il nesso giusto era sapere chi non volevo essere, e la musica metal estrema mi sembrava un’alleata determinante. Ad avallare tutto ciò però non c’era solo la musica, ma anche letture, edizioni Newton a buon mercato, storia dell’Arte, vite dei pittori, giornali musicali, suoni, vibrazioni. Tutte cose pre-internet che accendevano un faro nelle nostre vite affamate. Ora ti voglio ricordare i Fauves (N.D. espressionisti francesi) in un’ analogia alla quale ricorro per far comprendere come percepivo il primo movimento black metal. I Fauves erano dei disgraziati che, ospitati dal fotografo Marat che organizzò loro una prima esposizione, misero in mostra tutto il loro terrorismo pittorico. I critici guardavano i loro quadri pensando “Ma queste sono secchiate di colore sulla tela” tanto che, poiché alla mostra campeggiava una riproduzione di una scultura di Donatello, scrissero nelle recensioni “Donatello in mezzo alle bestie”. Fauves, per l’ appunto. Furono dei rivoluzionari rispetto a tutta l’ arte precedente, così come il black metal lo fu rispetto alle produzioni death-americane o svedesi. Perché ti dico queste cose? Perché, quando arrivarono i primi dischi di Darkthrone, Immortal o Emperor, dove non si capiva molto, data la cacofonia assoluta, io guardai i miei amici e dissi loro: Ragazzi “Donatello par mi les Fauves”. Quei suoni violenti, grezzi, stridenti, di quei primi album, così ANTI, non erano tanto diversi dalle secchiate sulle tele dei Fauves. Cominciavamo a credere che questo nuovo metal estremo ci potesse elevare o riportare ad un sentire più illuminato della musica, ma questo perché venivamo dal prog italiano degli anni 70, e lì lo è stato veramente. Eravamo abituati al Museo Rosenbach di Zarathustra, Quella Vecchia Locanda, il Balletto di Bronzo. Noi l’abbiamo vissuta così, come se questo rinascimento cacofonico del Black Metal, che mi cita i Fauves (pensavo), ci potesse elevare, potesse essere uno strumento di emancipazione anti-sistema. Prendendo una cantonata micidiale!”
Ciò che dici mi porta a questa domanda. Tu mi paragoni il black metal proprio in virtù del fatto che l’assetto espressivo prevale sulla tecnica allo stile pittorico dei Fauves. Eppure io ci ho sempre visto più i Die Brucke che erano gli omologhi tedeschi dei Fauves, con la loro ossessione per figure deformi ai limiti del grottesco e fatti di cronaca nera.
“L’espressionismo tedesco, sì. D’accordissimo, per quanto l’espressionismo implica un ulteriore passo in avanti, o meglio, indentro. Però sì, siamo in quell’epoca fenomenale e rivoluzionaria, seguendo questa analogia pittorica.”
All’epoca la loro Mostra dell’Arte Degenerata suscitò l’ indignazione dell’allora nascente Terzo Reich, un po’ perché le loro figure storte si contrapponevano all’ideale di perfezione fisica e un po’ perché quei quadri erano tutte rappresentazioni della disfatta umana in opposizione alle retoriche della vittoria. Però come ti spieghi che quegli stessi gruppi scandinavi, che in qualche modo tu mi paragoni agli espressionisti, per anni hanno flirtato con l’immaginario nazista?
“Ti posso dire che crescendo ho avuto modo di frequentare gente che conosceva i diretti interessati e talora gli stessi artisti scandinavi. Purtroppo, di tutto questo background culturale, non c’era niente. Ma me lo dicevano loro stessi: “No, quali pittori, ti stai facendo un film, eh!”. Ed è poca cosa recuperare nel 2022 un Munch e sbatterlo in copertina. Lì c’erano dei ragazzini alle prime armi, peraltro più o meno benestanti, cosa non da poco anche per possedere un ampli e una chitarrina zanzarosa, che hanno trovato la strada vincente quasi per caso, partendo dai movimenti di Bathory, Venom, Hellhammer, Motorhead, tutto qui. Poi, tra loro, alcuni citavano Nietzsche lì dove fa figo associarlo al nazismo, altri il panteismo di Holderlin e via dicendo. Ma non c’erano tracce di Heidegger o Anders. Sarebbe stato esaltante sentir parlare di Heidegger, se avessimo voluto pensare che il facepainting fosse relative all’annullamento dell’identità. Nell’età della tecnica non possiamo essere che funzionari d’apparato, non siamo più chiamati a rappresentare la nostra soggettività, perché alla società sistemica non interessa le identità delle persone ma la loro funzione, per cui ben venga il mascheramento alla Kiss. Sarebbe stato esaltante citare il nostro Giacometti. Ecco cos’era il facepainting, per noi coi relativi warnames, una dissoluzione dell’IO, dell’identità sociale, ma stiamo di nuovo volando alto. Lì non c’era molto di tutto ciò.
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Hanno shakerato due o tre cose e ne è venuta fuori questa roba dirompente fino a metà anni 90 poi smussata e riciclata all’infinito. Il paganesimo di questi gruppi è rimasto ad un livello superficiale, senza mai andare a fondo. A parte pochi che si sono staccati dalla caricatura, molti sono rimasti dei ragazzini intrappolati nei loro stessi mascheramenti. Se avessero colto Heidegger allora sì che sarebbe stato interessante. Nietzsche ha annunciato la morte di Dio, ma il nuovo Dio che è arrivato, è il mercato con la distruzione dell’identità degli individui. Il black metal sarebbe dovuto essere il vassoio di questi argomenti: il nichilismo, l’ età della tecnica, la morte di Dio. Per portarli ad un livello superiore dal vivo, invece oggi è solo mercato, oggettume da dare in pasto a mo di psicofarmaci a orde di famelici di collezionisti. Se ti metti a fare i soldi dal vivo con dieci canzonette tipo Jukebox, con degli show al limite del ridicolo, con tutto il becero folklore di corna, teschi, sangue al pomodoro, e cazzate varie, va bene una volta o due ma dai, vogliamo dare di più a questo genere, a questa infelice vita riciclata e nostalgica? Non vedo artisti ma disperati aggrappati alla loro immaginetta sacra e consolatoria da emulare. Tutto ciò è pervaso da cristianità, altro che nazismo. Da speranza, consolazione, senso della famiglia. Finché ci sarà il prossimo disco dei Darkthrone annunciato andrà tutto bene, poco conta se quelli validi erano i primi tre o quattro album. I metallari cercheranno sempre la propria dose di consolazione, e dei commercianti gliela daranno, così come un prete da’ l’assoluzione. Aspirano alla salvezza sapendo che arriverà quel disco a dissipare per un attimo la propria disperazione quotidiana, sono degli ottimisti.”
Dicevo appunto, il fatto che magari tu con gli Inchiuvatu hai identificato la problematica sull’identità che gli scandinavi forse subivano, magari perché si sentivano minacciati da migrazione e globalizzazione, ma non l’avevano afferrata. Vedi ad esempio la tendenza a rispolverare le radici folk delle proprie terre.
“Opportunismo, nella parola folk vedo solo opportunismo. Basta cantare in dialetto per essere ‘’folk’’? Personalmente, per farti comprendere il mio approccio al ‘’folk’’ detesto quando sento cantare qualcuno in dialetto, perché è soltanto ornamento. Un esaltare il folklore popolare da souvenir, e oggi il Black Metal è souvenir, anche ieri. Per prima cosa il mio dialetto è Greco-latino, poi sono scesi i normanni a liberarci dagli arabi, riabilitando la lingua indo-europea, e abbiamo così ripreso a parlare latino. Ma io ho scelto il siciliano per essere diverso ed ermetico, mica per le mie radici. Per comprendere il concetto di folk, con tutte le sue tradizioni e mutamenti, dobbiamo andare davvero a fondo anziché prendere solo il folklore da ‘’carretto siciliano’’ o da ‘’gondola veneziana’’ o da fiordo, bosco, montagna innevata. Cos’è il folk nel black, i nomi e le tematiche prese da Tolkien?”
Che c’entra niente col folk…
“Infatti. Se proprio volevano parlare di folk, dovevano riscoprire il dio Pan al massimo, in un’ottica occidentale decadente, e non flirtare con Odino, Zeus, le piramidi, lo Yeti, le renne di Natale, ma è stata più la Sagra del Salmone.”
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Ma queste sono radici arcaiche. Molti gruppi si rifacevano all’immaginario medioevale.
“C’erano delle cose interessanti, non dico di no – pensa alle registrazioni nei boschi degli Ulver o ai lavori dei primi Immortal con il loro originale panteismo – ma non sono germogliate, a mio parere. Infatti, molti di questi, appena hanno fatto i soldi, con le uscite targate Nuclear Blast e Century Media, hanno decretato la fine di tutto. C’è stato un appiattimento del suono e della composizione, ma anche delle tematiche terrificanti. Sono diventati Sistema vendibile, sono diventati omologazione pura. Si fanno più soldi con le t-shirt, bermuda, mutande, calzini, tazze, portachiavi, collanine, che con i dischi. Se a cinquant’anni volevo fare un bancarella per il mercato, sceglievo altre soluzioni anziché andare in giro a suonare. E di fatti, né voglio suonare né vendere al mercato. C’è poi più produzione nei dischi black merdal del 2024 che in quelli di Laura Pausini. È spaventoso, dov’è finito l’efferato suono anti-mosh? Penso che alla fine siano stati solo degli opportunisti, cosa che noi non potevamo certo essere, perché vivevamo nell’italietta del sud, ferma al Dopoguerra. Non c’erano possibilità di suonare in giro e portare quel messaggio rivoluzionario nei locali, né la bancarella. L’Italia è messa male per il suo livello infrastrutturale e sociale. Noi siamo stati davvero “panici” nel senso originario del termine, vale a dire che quando suonavamo in giro per lo stivale, diventavamo la negazione dell’essere umano-civilizzato. La nostra clandestinità era rivoluzionaria. Tu puoi obiettare che anche gli Inchiuvatu fanno superficiali “tarantelle black” e quindi folklore, ma quelle sono ditirambi dionisiaci (N.D. Canti corali dedicati al Dio Pan), vale a dire l’anti-omologazione al pensiero corrente, anglofono e catto-borghese. I testi di Inchiuvatu, in siciliano, come fatto ermetico, chi li ha letti? ma del norvegese sappiamo tutto. I testi di Inchiuvatu sono importanti perché non in inglese, non allieneati, non omologati! Ma quant’è esterofila l’Italietta! In Scandinavia poi i gruppi black erano o sono sovvenzionati dallo Stato, il massimo della contestazione. Si può fare arte e contestazione quando questa è commissionata dal padrone che vuoi abbattere? Mi dicono esserci in Norvegia parchi a tema, guide turistiche che fanno visitare I luoghi oscuri di questi artisti cattivissimi, giusto? Noi non siamo mai stati sovvenzionati da nessuno. Al contrario siamo sempre stati trattati come reietti. Prova a fare un tour lunga la dorsale Salerno-Raggio Calabria, è come andare in Vietnam!”
Nel 2010 c’era questa video intervista in cui raccontavi che all’inizio, quando hai iniziato a muoverti da musicista, eri più interessato alla parte espressiva che alla tecnica. Tu quindi te la rappresenti così, la tecnica, come un elemento che minaccia di inghiottire l’aspetto espressivo? Per citare appunto Nietzsche con l’Apollineo e il Dionisiaco…
“Intanto la tecnica si può acquisire, la follia no, il genio no, l’estro no. È un equilibrismo tra l’Apollineo e il Dionisiaco. Comunque sia sì, la tecnica intesa come controllo di sé è la morte. Esaminiamo il jazzista o il bluesman (figure sconosciute ai metallari): quando questi suonano non pensano alle note che vengono una dopo l’altra, ma sono in un flusso creativo, non presenti a sé stessi, quindi in questa esecuzione tecnica non c’è il pensare. Loro depensano, allora suonano. Ecco che lì la tecnica è ininfluente. Possono sbagliare e riprendersi il giro dopo, perché sono liberi come bambini, non sottoposti ai codici. Con ciò non sto dicendo che bisogna essere bestie prive di conoscenza ma, se studi solo per la tecnica, acquisisci controllo, ma se non lasci andare la bestia sei un elettrodomestico, una calcolatrice, un termos, un phon, uno scaldabagno, non so, scegli tu. Fai ‘’quello’’ per cui sei stato progettato. Non è fare musica. Il metal estremo non è musica, dai! Sono composizioni modello Lego. Non c’è dinamica né suono, è tutto tecnica e processori che creano un suono freddo e artificiale. La mano di Hendrix spremeva una Fender e usciva Hendrix al mille per mille. Cosa vuoi spremere suonando la tecnologia di oggi (plug-in, trigger, daw superlative)? Dai, non chiamiamola musica né costoro musicisti, per carità.”
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Per rimanere in tema di teatro, mi risulta che tu sia all’opera su un lavoro teatrale. Che mi puoi dire?
“Che se tu togli tutta l’infrastruttura musicale di ciò che hai visto stasera, cosa trovi? Quell’antro oscuro. Ma allora stasera ho fatto teatro, ho fatto metal, ho fatto l’acustico ma, alla fine, ho fatto un inferno di cose folli. O meglio, trovi il mio disagio, il mio dramma, il mio spaesamento in una forma teatrale. Metto in scena cose tremende, ma rendendole divertenti, in maniera da poterle affrontare e sopportare, perché ne abbiamo bisogno, perché sono le nostre paure. Ah, quanto abbiamo bisogno del nostro male! Dire che “la vita è la dolce attesa di un cancro”, per esempio. Chi vuole sentirsi dire questo? Invece dobbiamo, in maniera Greca, guardare in faccia la morte e superarla. Io non ho fatto altro che sfidare la morte (di cartapesta, sotto forma di marionette, di medaglie, di teatrino). Rappresentare l’identità falsa e traviatà dalla violenza dell’etica giudaico-cristiana, e da quel tipo di società che ci ha strappati dal ventre della natura. Natura che loro DOMINANO da secoli, ed ecco come ci ripaga la Natura… Poi, appena capito l’inganno, il teatro si illumina e quindi è necessario fare festa inondando il pubblico di fiori. Ecco il punto del teatro. È una distruzione creativa, dove il pubblico diventa partecipe perché non è più un pubblico di un concerto metal ma subisce con scuotimento una trasformazione.”
Infatti l’unicità dell’esperienza dello spettacolo degli Inchiuvatu è la multimodalità, no? il fatto che l’ approccio che ti prende su più aspetti, non solo sensoriali perché alla fine vedi il giochino dell’offertorio? Con la presa interattiva sulla psicologia del pubblico
“Certo. Un pubblico che, ti posso dire, ho visto crescere e maturare. Non è un pubblico con i paraocchi, ma ascolta dai Depeche Mode ai Bauhaus passando dai Deicide a Renato Zero. È un pubblico aperto, colto, non tossico, che ha seguito la Scena Mediterranea con attenzione. Allora sono contento perché vuol dire che stiamo crescendo bene, nel senso che abbiamo possibilità di sperimentazione, allargare i nostri orizzonti. Oggi vengono a vedere gli Inchiuvatu perché sanno che lì accadrà qualcosa di spaventoso e al contempo affascinante, spiazzante. Era forse questo il black metal? Cioè riuscire a creare della musica trasversale perchè abbracciava dal folk all’elettronica, senza essere chiusa come il death? sì, probabilmente, però si è suicidata coi cliché e i soldi.”
Forse lì il problema è che si è esaurito l’estro creativo.
“No, no, io non ci credo, credo che sia più un fatto di soldi. Dunque: “mi devi fare il trentesimo disco uguale al ventinovesimo perché è andato bene…” e tutti sono contenti e consolati. Il calvo con gli ultimi tre capelli lunghi buttati sulla fronte crederà sempe di avere un ciuffo.
Beh, se vale questo paradigma smucinando nell’underground, dove i soldi non girano…
“Ma l’underground ambisce a diventare overground, arde per diventare presto Sistema. Gioca a fare il Sistema. Esiste il pay to play, non potevo crederci. Io sono underground, perché suono al Defrag per centinaia di persone per quasi tre ore di spettacolo senza che ancora mi si riesca a definire e ho un pubblico che mi vuole proprio così, indefinibile. Questo è ‘’black metal’’. Io sono l’underground.”
Dopo Miseria del 2008 la produzione Inchiuvatu si è caratterizzata in maggioranza da EP. Mentre Addiusu, Viogna, Piccatu e Miseria li leggevo come con linearità quasi autobiografica, come me la spieghi tu questa frammentazione?
“Allora, i cinque EP di cui parliamo sono legati a doppio filo alla vita di tale Gesù Cristo, morto a 33 anni, dice la mitologia.”
Infatti il primo ’33’ è uscito per il tuo trentatreesimo…
“Sì, considera anche che in realtà si parla sempre di noi. Il soggetto siamo sempre noi. Che tu legga un libro di viaggi, osservi un quadro, o ti prenda cura di una pianta grassa, il soggetto sei sempre tu. Quando noi andiamo in chiesa a pregare stiamo pregando la nostra volontà che in talune circostanze è manchevole. Ho preso questo cartamodello che ci hanno raccontato fin da bambini e ho parlato di me attraverso quella sagoma, vedi I miei 33 anni, il rapporto di me e mia madre, o del padre. Sono io il Salvatore, almeno per lei. Allora, mi dicono, “ma è la Madonna quella di cui parli?” no, non è la Madonna e la mia ma-donna, perché la madre è bella e brava solo nei presepi, ma è un’assassina se ti ha dato quell’identità che alla fine ti soffoca in un teatrino squallido. Capisci il caos che c’è nelle nostre teste? Quindi questi EP, che poi non sono degli EP perché durano 50/60 minuti (non so perchè li ho chiamati EP) non li ho resi neanche pubblici perché in quel momento non avevo nessun interesse a produrre metal o musica, per cui quei dischi erano pura sperimentazione, distruzione e ri-creazione: nello specifico in ’33’ ho usato la drum machine. ‘Ecce Homo’ fu registrato en plein air. ‘INRI’ tutto in presa diretta, e pensa che ‘Via Matris’ è tutto in acustico, registrato in una improbabile cavea. Come si può fare black in acustico? Ebbene l’ho fatto!”
Ma è l’atmosfera che è black. Umido e buio. In sostanza è black.
“Certo, pesca da quel mondo, lo cita distruggendolo e quindi reinventandolo. Perché le idee che erano contenute nei full length erano ormai codificate. Allora ho sentito il bisogno di dire: “no! devo rivoluzionare ancora? Certo!” Perché sennò divento la caricatura di me stesso. Se divento canone, sono già morto, non ho più nulla da dire. È questa urgenza del ‘’dire’’ che è black, poiché distrugge e distruggendo crea.”
Mentre, per quanto riguarda il prossimo full length degli Inchiuvatu hai anticipato che sarà ispirato dalle figure di Egesia e Falaride?
“Perché il prossimo disco di Inchiuvatu, intendendo un solo disco e non cinque? Perché siamo abituati a pensare che le bands fanno un disco, lo promuovono, lo portano in tour, poi tornano in sala di registrazione e ricomincia tutto daccapo. Cos’ è, la catena di montaggio di McDonald’s? Io lavoro a dieci dischi in contemporanea. In uno c’è un’idea più folk, in un altro una più rock, in uno c’è più blast, ecc. Lavoro a sentimento e su più terreni, tra un caffè e l’altro.”
Allora riformuliamo: ti chiedo l’anticipazione sulla prossima fase creativa…
“Vedi che in questo sei cristiano? Perché, mentre io me ne fotto del domani e sono ancora concentrato sull’oggi, tu mi vuoi portare in un tempo che non c’è. E’ cristiano. Io non ho paura di perderti, ti avrò tra 3 o 5 anni, chi lo sa, sarà un’altra bellissima chiacchierata ma non vivo l’ansia dell’aspettativa di non vedersi più. I più diranno: ‘’ma è tornato a suonare live, adesso arriva il prossimo disco, e poi uno spettacolo a tema’’ ma quel fenomeno lì è come la droga per i tossici, serve a soddisfare I loro vuoti, ma il vuoto permane. Io non sono un tossico, non ho vuoti, e me ne fotto anche del pieno.”
È la dannazione di avere questa corteccia frontale che ci porta a immaginare i dischi che vorremmo. Cerco solo di sbirciare oltre il sipario
“Ti capisco perfettamente, ma non me ne curo. Vivo senza scopo. Non ho suonato dal vivo per dieci anni, e ora l’ho sto facendo. Durerà? Non mi riguarda. Mi piace fare sempre qualcosa di diverso, comunque. Lo spettacolo di Modena era incentrato sulle Moire. Una fila, l’altra stende il filo e Atropo lo recide. No, facciamo il contrario, partiamo subito dal taglio di Atropo. Ecco Egesia.”
Si può annoverare tra i primi cattivi maestri, Egesia, per la sua filosofia ribattezzato ‘Persuasore di Morte’.
“Dipende. Per te era meglio non nascere, dice il fauno Sileno a Re Mida, ma ora che sei nato e sei giovane, meglio morire subito. Perché devi assistere alla decadenza fisica del tuo corpo? Il sistema giudaico cristiano, con quest’ottimismo, ha prolungato malattia e sofferenza.”
Tutti i movimenti pro-life sono di derivazione cristiana. Egesia era antinatalista ante litteram.
“Sì, ho letto anche David Benatar, che consiglio per avere idee più chiare in merito. Ovvio che nascere è disgrazia ma, se io realizzo di vivere questa fase rigogliosa fino ai 25 anni, accettando la vita come un dono naturale, allora sì che rientro in quella specificità greco-romana che abbiamo perso col giudaismo e col cristianesimo. Allora mi dici “ma era meglio morire a 60 anni?” Si, se si è vissuti 60 anni di vita ricca e felice, ma dai 60 in poi noi siamo il popolo più longevo del mondo ma malato. Vogliamo campare davvero vent’anni tra atroci malattie? Accomodatevi. Per quanto mi riguarda la vita è affar mio.”
L’ultima domanda, tanto per lasciare un messaggio di speranza. Prima abbiamo parlato di Egesia, adesso mi chiedevo se, la scelta del personaggio del tiranno di Agrigento Falaride, cosi simile ai politici attuali, è lo specchio di questa fase storica?
“No, sono del tutto autobiografico, nel senso che, parlare di me è raccontarmi e raccontarvi di questo Uomo post Impero Romano snaturato dalle dottrine abramitiche e di tutto il suo fallimento Occidentale. È parlare di un uomo che si maschera attraverso l’arte, l’arte che ci serve come finzione per ambire e pervenire alla presunta verità. Quindi, tutta l’arte e il mio fare l’artistoide, serve solo a disvelare il teatrino che sta lì fuori (ma anche dentro la nostra coscienza). Si risponde sempre alla noia. Falaride l’avevo citato da qualche parte, come essenza dell’Uomo, ossia di una crudeltà creativa assoluta. Personalmente non credo nell’Uomo o nell’umanità.
Ma la società è un sistema di angosce che comunque gocciolano dentro l’uomo. Volente o nolente la sua narrazione ne esce un po’ avvelenata, no?
“E’ tutta mistificazione. La parola è veleno. Il pensiero è illusorio, tutto è avvelenamento. Strutturiamo un quieto vivere nel quale condividere le angosce e ridurre quella voglia di suicidio che ci pervade, un qualsiasi condominio pieno di esseri umani, in pratica. Ma perché curarsene?”