Never Obey Again – L’evoluzione del credo

Il 18/10/2024, di .

Never Obey Again – L’evoluzione del credo

A distanza di appena un anno, esattamente il diciotto ottobre il quintetto di Voghera dei Never Obey Again ha dato un seguito al debutto ‘The End Of An Era’ pubblicando ‘Trust’, un disco sicuramente figlio di una maturazione che sorprende, se si pensa al poco tempo di distanza tra le due release, spostando decisamente le coordinate musicali della band verso lidi più Metalcore. Ascoltato l’album, il nostro Gianfranco Monese non si è certo girato i pollici, raggiungendo immediatamente tramite videochiamata la cantante Carolina Bertelegni, il chitarrista Alessandro Tuvo e la new entry dietro le pelli, ovvero Marco Binda, desideroso di sapere molto su questo nuovo album, ma anche su quanto fatto negli ultimi dodici mesi. Buona lettura!
Buongiorno Never Obey Again, grazie della vostra disponibilità e bentornati a Metal Hammer Italia: come state innanzitutto?
“(Marco Binda) Benissimo, grazie!”
“(Alessandro Tuvo) Alla grande!”
“(Carolina Bertelegni) Molto bene, grazie per averci voluti ancora con voi, nonostante tutto!” (Ridono, ndr.)
Ci mancherebbe! Prima di fiondarci sul nuovo disco vorrei fare un passo indietro, e gradirei mi diceste com’è andata la promozione del vostro album di debutto ‘The End Of An Era’, sia in Italia che all’estero: se non erro avete intrapreso anche un piccolo tour…
“(CB) Devo dire che siamo abbastanza felici di com’è andata per ‘The End Of An Era’, perchè comunque con il primo disco non sai mai cosa aspettarti, e sinceramente c’è stato un bel ritorno anche in Italia, cosa che magari ti aspetti un po’ meno visto il genere. Tuttavia per le poche date che siamo riusciti a fare devo dire che sono venuti in tanti a supportarci bene, anche con il merch, e quindi ne approfitto per ringraziare chiunque perchè non ci aspettavamo niente di tutto questo. All’estero siamo andati in tour in Belgio e Olanda: è stata un’esperienza bellissima, il riscontro è stato positivo, e tutto questo è stata la giusta carica che ci ha spinto a proseguire e scrivere il secondo disco.”
“(AT) Se posso inserirmi, una cosa che ci ha fatto molto piacere oltre al supporto di un’etichetta come Scarlet Records che ci ha spinto su un canale più digital, qualcosa di più complesso per noi che siamo più abituati a stare e dimostrare sul palco, è stato bello vedere sul campo questi numeri che si trasformavano in realtà: tanti numeri presenti sui social poi non si traducono in maniera reale, e parlando proprio poco tempo fa con Angelo Mora di Scarlet Records, fa piacere ci sia stato dell’hype dietro a questo progetto, e quindi le fondamenta per far bene con questo secondo lavoro.”

Quindi, a un anno di distanza, come considerate ‘The End Of An Era’? Cosa ne rimane?
“(AT) Ne rimane un bellissimo primo mattoncino, nonchè una bellissima lezione, nel senso che è stato uno sbattere la faccia sulla realtà, rendendoci poi conto di quanto stesse accadendo nelle retrovie, quindi via social, e quanto si stesse costruendo a livello di fanbase, la quale è stata molto leale e reale. Al momento rimane un disco di cui siamo contenti,  ma di cui siamo molto contenti di poterci spingere un po’ più in là, in quanto è un lavoro un po’ per chiunque, nè carne nè pesce, ed è giusto che sia stato così perchè era stato scritto abbastanza di getto, non come il secondo che è più pensato, meditabondo, anche nel tentativo di cercare di essere un po’ più specifici, avere un sound più distinto e una personalità più forte. ‘The End Of An Era’ è un bellissimo disco, ma potrebbe essere un disco di chiunque.”
“(CB) ‘The End Of An Era’ è una “new era” perchè ci ha aperto le porte, però sono d’accordo: questo secondo disco è molto più pensato e più cucito addosso a quello che più ci piace ascoltare.”

…ed infatti ‘Trust’, vostro nuovo lavoro, non è un album immediato: arriva dopo…
“(AT) Al di là degli scenari sonori, cioè di settare un mood per tutto l’album, cosa su cui il nostro chitarrista Alex Pedrotti ha lavorato molto, c’è stato molto lavoro sulle linee vocali e sui testi, i quali sappiamo essere sempre un po’ travisati, dato che a pochi interessano i testi. La realtà è che, però, il fan dell’hardcore viene colpito anche da un testo in cui possa immedesimarsi, in qualcosa che combacia con la sua personalità.”
“(CB) Per noi ‘Trust’ a livello compositivo e di testi è come se ci fossimo squarciati a metà e vi dicessimo: “eccoci qua, guardateci dentro.” E’ molto deep.”
Passiamo al titolo…
“(AT) E’ venuto di getto, nel senso che dopo quanto fatto, visto ed ottenuto con il primo disco, ci siamo resi conto di avere il controllo su determinate cose, come può essere lo scrivere della bella musica che ci piaccia, che sia autentica, quindi che ci rappresenti senza forzature alcune ma essendo onesti con noi stessi, e conseguentemente il divertirci mentre la si suona nel raggiungimento di un obiettivo. Ovviamente, ci sono un miliardo di variabili che fanno parte di questa equazione, sulle quali non abbiamo il controllo: il fatto che tutto ciò piaccia, che abbia successo, che i numeri crescano, che lo si possa fare di lavoro, ecc… Ma l’unico fattore sul quale possiamo aggrapparci è la fiducia, quindi ‘Trust’ è l’unico pezzo del puzzle al quale dobbiamo abbandonarci: noi possiamo arrivare fino ad un certo punto, oltre il quale bisogna avere fede nel processo, e ‘Trust’ suona veramente d’impatto per noi.”
Personalmente quello che si nota subito è la chiara evoluzione ottenuta, data in primis dagli scream di Carolina ma anche da un’elettronica che prende un po’ più piede rispetto a prima. Se infatti l’anno scorso, come da vostra stessa ammissione, vi consideravate una band alternative/modern Metal, ora virate decisamente sul Metalcore. Sbaglio?!
“(CB) Diciamo che siamo in primis dei fan sfegatati del metalcore: sono proprio quelli i brani che necessitiamo di ascoltare. Per quanto mi riguarda, dato che hai citato gli scream, è stato un qualcosa che mi sono imposta, perchè non mi sentivo una cantante completa senza quella caratteristica. E’ un qualcosa che ha creato più interesse in me, e quando musicalmente parlando ti spingi un po’ più su quel genere poi lo scream viene in automatico. Rispetto al primo album, dove ho cantato e basta, qui ho voluto cercare più a fondo e sono contenta se tutto ciò è venuto fuori.”
“(AT) Riguardo al Metalcore siamo consapevoli che è un’arma a doppio taglio: avevamo un po’ paura che questo termine venisse fuori, dato che è un genere ascoltato da chi lo ama, ma sul quale viene gettata molta immondizia. Ma nonostante la preoccupazione, data da una potenziale perdita di clientela che non ti ascolterà solo perchè si verrà classificati come Metalcore, ti dico anche che se questo è quello che viene fuori senza paletti, così sia, va benissimo: l’importante è fare in modo che questi brani vengano messi davanti a più orecchie possibili e che chiunque possa giudicarli senza catalogarli, anche perchè credo che il nostro sia un genere un pò più aperto e possa abbracciare, o essere incluso, in playlist con Evanescence, Spiritbox, Asking Alexandria… Se proprio devo fare un paragone, sia come vocalità, scream, elettronica e struttura dei brani, ti direi i Thirty Seconds To Mars del periodo di ‘The Kill’ o ‘From Yesterday’: la stesura è molto Pop, se ci fai caso non ci sono cose particolarmente strane, come un breakdown inserito a caso, il tutto è molto strofa/ritornello/strofa/ponte/ritornello. Chiaro, io ci ho messo qualche assolo di chitarra, ma ripeto niente di sconvolgente.”

Rispetto al suo predecessore ed ai suoi singoli veramente d’impatto, complice la maturazione attuata ‘Trust’ sembra essere più studiato, meno diretto, nonostante i brani durino poco e cerchino di restare impressi dopo pochi ascolti. Siete d’accordo, o lo ritenete altrettanto accessibile?
“(CB) Sono d’accordo con quello che hai detto, nel senso che ci sono alcuni ritornelli che secondo me, come nel primo disco, posso arrivare subito, ma come hai affermato te questo è un album più maturo e probabilmente ci vuole un po’ di più per immergersi nel suo mondo: non è immediato, non arriva subito a tutti.”
“(AT) Secondo me ciò dipende anche da come è stato “vestito”: da compositore solitamente tutto si riduce nel prendere un brano, eseguirlo con il pianoforte o la chitarra acustica e cantare le linee vocali su una progressione di accordi. Se io lo vesto così, allora ti dico che questo disco è più Pop del precedente, ma per com’è stato poi vestito e arrangiato sicuramente si colloca in una tipologia di ascolto molto più specifico. Ti faccio un esempio: il giorno prima dell’uscita di ‘The End Of An Era’ abbiamo tenuto un pre release party nel quale abbiamo suonato l’intero disco in acustico; se adesso noi suonassimo per intero ‘Trust’ in acustico, le linee vocali sarebbero ancora più catchy di quelle del suo predecessore, ma inserite nella totalità di questo sound risultano più di nicchia, e onestamente mi fa anche piacere.”
Passiamo ai testi: cosa avete deciso di affrontare questa volta?
“(AT) Personalmente vengono fuori dei bei testi e brani se stai passando un brutto periodo, e purtroppo o per fortuna lo scorso anno ce ne sono stati alcuni, quindi tendenzialmente è stato più semplice scriverli, addirittura arrivando al punto di musicarne alcuni: ci sono state situazioni in cui c’era un tal bisogno di “vomitare”, che mettevo giù frasi forzandomi poi di musicare il testo intero, e questo non è mai stato una forzatura perchè è venuto in maniera abbastanza naturale, quindi da quel punto di vista si vede che era un periodo di buona ispirazione. Principalmente i testi di questo disco sono molto personali, introspettivi, sociali, generazionali per noi trentenni: tanti parlano di pressione sociale, solitudine, sopraffazione…”
“(CB) Si parla di questa mancanza di supporto da parte della società, quindi volevamo far si che l’ascoltatore nei nostri testi alle volte possa trovare un qualcosa per potersi sfogare oppure per capire che non è l’unico a vivere queste situazioni, quindi ‘Trust’ vuole essere una spalla su cui piangere alle volte, su cui sfogarsi in altre: è un album molto introspettivo.”
“(AT) Un fatto che io trovo carino e che spero possa essere capito, è che tante volte i testi sono un po’ in balìa delle emozioni. Per esempio, ‘G.O.D. (Given Or Denied)’ nella sua violenza affronta la tematica di quanto si sia diventati individualisti, egoisti ed egocentrici in questa società moderna, e contemporaneamente c’è ‘I Wish’ che parla di una persona che sta facendo fatica ad avere un contatto, una comunicazione con i propri genitori, e di come questo venga affrontato con tristezza e depressione: lo stesso tema vissuto in preda ad emozioni diverse.”
“(CB) Ti dico solo, Gianfranco, che a differenza del primo album qui Alessandro mi ha letto talmente dentro a livello di testi, che alcuni brani faccio fatica a cantarli a livello emotivo: sono veramente molto deep.”

‘Trust’ è il primo disco che vede alla batteria Marco Binda, che mi piacerebbe conoscere: Marco, ti va di presentarti e, perchè no, dirci qualcosa di te sul tuo passato e il tuo background? Che tipo di batterista ti ritieni di essere, quali sono i tuoi idoli?
“(MB) Dunque, riassumere tutto in poche parole è difficile: parto col dire che sicuramente sono un batterista dal background Rock/Metal e che per gran parte della mia vita musicale ho suonato questo genere, facendo esperienza con molte band locali e non, anche come session. Dal 2012 al 2019 ho fatto parte dei Mortuary Drape e dal 2016 sono nella formazione ufficiale dei Dark Lunacy, anche se siamo fermi da alcuni anni. L’anno scorso, in occasione di una sostituzione nella cover band di Carolina e Alessandro, ho avuto modo di tornare in contatto con i Never Obey Again, che già conoscevo avendo suonato in alcuni progetti passati, e ci siamo subito trovati alla grande, motivo per cui ora sono qua. Non ho “idoli” in particolare ma solo molte influenze che hanno formato indirettamente il mio modo di suonare: per rimanere nel mondo del Metal ti posso citare Mike Portnoy e Hellhammer, anche se, soprattutto negli ultimi anni, mi sono avvicinato a molti altri generi, appassionandomi al mondo dei Gospel Chops (Justin Tyson e Devon Taylor i miei preferiti).”
Cosa ti auguri per il futuro dei Never Obey Again? Quali sono le tue motivazioni?
“(MB) Le mie motivazioni sono nate nel momento in cui ho ascoltato i brani nuovi e ho sentito che quella roba spaccava davvero, ma soprattutto quando ho visto la costanza e la fame con cui lavorano quotidianamente i membri di questa band. Quindi con questi presupposti, per tornare alla tua prima domanda, mi auguro che potremo toglierci molte soddisfazioni.”
Con l’evoluzione di ‘Trust’, nonostante ci siano dei chiari richiami al disco precedente, credete di aver iniziato a prenderne le distanze, che forse saranno più delineate con il vostro terzo disco?
“(CB) Personalmente, mi sento un po’ più distante da ‘The End Of An Era’: con ‘Trust’ mi sento nel mio habitat, questo è quello che mi piace fare e cantare. Non disdegno ovviamente ‘The End Of An Era’, però a dirti la verità non lo ascolto più; il nuovo disco, invece, nonostante siano i miei brani e non ami sentire la mia voce, sento il bisogno di ascoltarlo, ne necessito perchè è esattamente quello che andrei ad ascoltare in alcuni momenti, e sono molto felice da questo punto di vista. Quindi io le distanze le ho prese.”
“(AT) Bisogna prendere dei rischi: ‘The End Of An Era’ è un disco piacione, che funziona, un pò per tutti. Poi però arriva quel momento in cui se vuoi funzionare come band devi essere te stesso il più possibile e senza compromessi, ed in questo siamo contenti di ‘Trust’, ma d’altro canto bisogna anche chiedersi come poter essere riconoscibili in qualche modo. Ogni band viene riconosciuta dal pubblico come “quella che”, come ad esempio i The White Stripes che vengono riconosciuti come un duo con la batterista donna. Noi, come facciamo ad essere unici? Ecco, in ‘Trust’ abbiamo cercato di prendere una nostra via, anche in termini di cantanti italiane che utilizzano lo scream: non te ne saprei dire molte. Non a caso l’abbigliamento sarà diverso da prima, estetica e video avranno un restyling adeguato… Quindi ‘The End Of An Era’ per me rimane un bel disco, ma un disco generico che per quanto bello non mi fa affezionare alla band perchè non ha qualcosa che la separa completamente dalle altre. Con ‘Trust’, invece, ci sono le basi per costruire una fanbase sostenibile negli anni.”
E’ un’evoluzione, questa, che abbraccia maggiormente i vostri gusti musicali?
“(AT) Assolutamente si, è un’evoluzione figlia dei nostri gusti musicali. Mentre il disco precedente è stato fatto di corsa anche perchè Alex (Pedrotti, chitarrista, ndr.) è entrato a processo avviato, per far funzionare le cose in ‘Trust’ ci siamo suddivisi i compiti. Quindi, ad esempio, Alex ci ha inviato delle tracce strumentali, per le quali io ho mandato dei riff di chitarra che lui ha implementato su queste tracce, fatte e finite data la sua bravura di fonico e produttore, avendo anche un backgroud di musica elettronica, EDM, ecc… Da lì io mi sono occupato delle linee vocali, dei testi, mi sono scaricato tutte le progressioni di accordi, mettendomi a comporre, quindi sono stati tutti lavori eseguiti separatamente. Quindi questo è un disco vittima, in positivo, dei nostri ascolti perchè è venuto fuori esattamente come conseguenza naturale di quello che ascoltavamo tempo fa, dato anche che non ci siamo molto confrontati su cosa fare e cosa no: si è proceduto naturalmente. Chiaro, poi, che si è cercato di evitare il brano totalmente in maggiore per non sembrare Punk, dato il contesto, però avere ‘Trust’ e ‘G.O.D. (Given Or Denied)’ nella stessa tracklist ti fa capire che c’è un taglio bello ampio di materiale.”
“(CB) Siamo un casino, abbiamo troppe cose da dire, qua è un vulcano!” (Ride, ndr.)

Certo, avete tante cose da dire, ma nonostante una promessa nell’intervista di un anno fa, questa volta niente cover: ci avevate promesso ‘All The Things She Said’ delle t.A.T.u….
“(AT) Vorrà dire che la faremo dal vivo!”
“(CB) Tu stai sempre pronto, che con noi tutto è possibile!” (Ridono, ndr.)
“(AT) Il fatto è che poi non vorremmo diventare famosi per quello: ci sono purtroppo delle band che rimangono ancorate ad una cover con cui hanno avuto successo, e non riescono a togliersela di dosso…”
“(CB) Le cover non fanno per noi: quando dovevamo suonare ‘Zombie’ ci guardavamo promettendoci di toglierla dalla scaletta.” (Ride, ndr.)
“(AT) Poi per ‘Zombie’ impazziscono tutti: ti assicuro che dal vivo è assurda. L’anno scorso dovevamo farla per forza, avendo un solo disco da promuovere e una setlist che magari doveva durare circa un’ora, ma adesso che di dischi alle spalle ne abbiamo due, non serve.”
Bene Never Obey Again, l’intervista è giunta al termine: ringraziandovi ancora per la vostra disponibilità, se c’è qualcosa che volete aggiungere per i lettori di Metal Hammer Italia, questo spazio è tutto vostro!
“(MB) Niente in particolare da aggiungere, un saluto a tutti e mi raccomando, date una chance al nostro nuovo album: non ve ne pentirete!”
“(AT) Venite ai concerti, che sono gli unici momenti in cui si può ancora avere un senso di unione e smettere di vederci soltanto dagli schermi degli smartphone. Il novanta percento delle band che si fanno un mazzo così, lo fanno perchè poi non vedono l’ora di salire su di un palco a suonare: supportate con un like in meno e con un biglietto in più.”
“(CB) Sono assolutamente d’accordo: siamo assetati ed affamati di emozioni vere, questa era degli smartphone ci sta un po’ stretta.”
“(AT) A me non interessa che ci siano cinquanta storie il giorno dopo un concerto da parte delle uniche cinquanta persone presenti, a me piacerebbe ci fossero zero storie ma dopo un’esibizione di fronte a trecento persone: in quel momento la scena cambia completamente. Un po’ retorico, ma va bene così.” (Ride, ndr.)

 

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