Node – Il Cammino e le sue Lezioni
Il 02/10/2024, di Dario Cattaneo.
Cosa serve per portare una band avanti per trenta e passa anni, in una scena multisfaccettata e anche controversa come quella italiana? Duro lavoro? Dedizione? ‘Culo’ possiamo permetterci di dire, un po’ provocatoriamente? Ogni tanto, guardando il ricco parco di volti, personaggi e band che affollano la scena italiana, pensiamo che non ci sia una vera risposta a questa domanda, e che per ogni pezzo di questo complicato mosaico che è la scena metal italiana la realtà sia unica e diversa. Però, capita anche per parlando con vecchie volpi dell’ambiente, come lo è Gary D’Eramo dei Node, anche domande un po’ pretenziose come questa ti possono far scoprire qualcosa di nuovo o che non ti aspettavi. E’ da queste nemmeno tante poche righe che ci accingiamo a proporvi, emerge forte l’impressione che la scena serve… viverla. Un’evidenza semplice, senza fronzoli, che esce lampante da queste righe, incentrate forse non tanto solo sul nuovo album dei Nostri quanto proprio sulla carriera della band, e su come avere proprio vissuto i momenti importanti. I bivi dove scegliere se tornare indietro, se scegliere il porto sicuro, o se – guidati dall’estro artistico – imboccare la via sconosciuta e andare avanti. Tra pensieri sulla situazione attuali, ricordi di grandi tour nel periodo di ‘Das Kapital’ e una vena di divertimento e sfida sempre presente, ecco quanto Dario Cattaneo ha discusso con il vulcanico leader dei Node.
Ciao Gary, il nuovo, potente, ‘Canto VII’ è uscito da un po’. Come ti sembra sia stato recepito dai vari fan e della critica in generale?
“Ciao Dario e grazie per averci concesso questo spazio, l’album è stato accolto benissimo nella maggior parte dei casi da critica e pubblico abbiamo collezionato recensioni molto più che positive con voti altissimi tranne in un paio di casi dove invece qualche “purista del metallo” ha sollevato dubbi storcendo il naso nei confronti della nostra scelta di inserire una vena progressive atmosferica e tecnica nel nostro stile, a discapito a detta loro dell’aggressività e della potenza. La cosa invece – a mio parere – ha solo portato una ventata di freschezza e di ulteriore qualità alla nostra proposta, anzi… direi che aggressività e violenza nel disco ci sono, e forse anche molto più’ di prima! Ma come sempre si tratta di punti di vista opinabili e io li rispetto in pieno”.
Rimanendo sull’album, già dal nome si intuisce che ci troviamo in ambito dantesco. Però i Node sono una band concreta, e non ci aspettiamo una cronistoria o revisione dello scritto del Sommo Poeta, ma piuttosto qualcosa di legato alla sfera personale. Quali sono i punti di contatto che vedete tra il lavoro e la Divina Commedia?
“Hai centrato in pieno… ‘Canto VII’ è un concept album nato da un’analisi profonda della società’ nella quale viviamo oggi, partendo proprio dalla moderna tecnologia di “comunicazione” che ci tiene sotto controllo quotidianamente e che ci detta le direzioni da seguire e quali comportamenti da adottare, il tutto a discapito della spontaneità proveniente dall’istinto. Questo ci costringe a correre come dei forsennati in un mondo che non ci da più tempo per riflettere, per analizzarci dentro… un mondo dove il primeggiare e il vincere a tutti i costi sembra essere la priorità assoluta. Uno status symbol che prioritizza l’ostentazione sfrenata del denaro e del benessere. Sai, il quarto girone infernale nella Divina Commedia è proprio quello degli avari e dei prodighi, oltre che quello degli iracondi. Parlando di ira invece… beh prova a guardarti intorno, esistono scontri all’interno di qualsiasi contesto, invece che dialogo e confronto. Tutti pretendono la ragione a priori, tutti vogliono l’ultima parola ad ogni costo. Questo è il risultato dell’allontanamento di ognuno di noi da una forma di socialità sana, fatta di sguardi, di toni di voce e di contatto umano. Ogni giorno ci svegliamo la mattina e abbracciamo serenamente un inferno addolcito da prodigi tecnologici sempre nuovi che hanno brutalmente svuotato le coscienze dalla nostra essenza primaria di esseri viventi ed intelligenti; svuotandole della condivisione, dell’empatia, della compassione ma soprattutto del dialogo, quello sano, quello che ci aiuta a crescere. Ci svuota anche della predisposizione al dialogo stesso, generando l’annullamento duella umiltà di imparare qualcosa di nuovo da coloro che abbiamo davanti; e viceversa facendoci perdere l’impareggiabile virtù di arricchirsi apprendendo di qualcosa di nuovo”.
E’ cosa nota che l’humus che ha generato questo lavoro è un periodo molto difficile, le cui radici affondano nel 2019 addirittura… puoi raccontarci un po’ di eventi e stati d’animo che hanno contribuito alla formazione di un lavoro così personale e sentito?
“’Canto VII’ è figlio della determinazione e della caparbietà che tutti noi abbiamo messo in campo contro le varie problematiche – gravi e meno gravi – che hanno segnato il nostro percorso negli ultimi anni; insieme alla crescita dettata dalle mie esperienze personali. Vivendo più’ di metà della mia vita praticamente in simbiosi parallela con i Node, ho imparato in entrambe le situazioni a combattere sempre, per un motivo o per l’altro. Fino a due anni fa, per quasi sei anni ho attraversato problemi familiari seri, che mi hanno costretto ad abbandonare la vita sociale per occuparmi di mia mamma e di conseguenza a rallentare in maniera significativa la mia attività con la band. Tutto questo l’ho affrontato completamente da solo, con l’intero sostegno economico per le cure necessarie completamente sulle mie spalle, senza avere l’aiuto di nessuno. Tutto ciò è andato a sommarsi al periodo Covid, all’abbandono di Giancarlo e Sid e alla situazione economica di tutti, cosa che ha pesato in maniera significativa. La musica in questo frangente per noi della band è stata la medicina; ci siamo concentrati sul lavoro con quella vena “leggera” e terapeutica che allo stesso tempo ha lenito le ferite causate da tutti questi incidenti e alimentato in maniera sfrenata la creatività di ognuno. Sicuramente l’abbandono di Sid per problemi di salute è stato l’evento più pesante, dato che tra di noi – dopo dieci anni assieme – si era instaurato un legame affettivo davvero molto forte; che vive tuttora. Purtroppo ad Agosto 2022 gli è stata diagnosticata una nevralgia cronica che non gli permetteva più di cantare e sopportare volumi oltre una certa soglia; diagnosi arrivata dopo alcuni problemi sorti proprio durante i lavori di preproduzione di ‘Canto VII’. L’abbiamo aspettato fino a novembre nella speranza che trovasse una adeguata terapia , ma lui stesso ci ha esortato a cercare un’altra persona perchè le cose andavano prolungandosi. A malincuore quindi abbiamo dovuto prendere quella decisione”.
E’ così che è arrivato Arri?
“Esatto. Dopo avere provato un’altra persona, abbiamo preso la decisione di chiedere a Dave, il frontman dei savonesi Last Rites, se fosse stato disponibile a prendere il suo posto. Beh, il resto è storia, come si dice… Dave ha portato una sferzata di entusiasmo e di professionalità che ci ha letteralmente travolto, dandoci una spinta non indifferente a continuare. Inoltre la qualità e la personalità nella voce sono uniche, credo non ci sia mai stata un livello tale in tutta la nostra storia. Sono convinto che tutte queste emozioni si sentano davvero nell’album, in maniera non indifferente e diciamolo pure… quando incanali la rabbia e la frustrazione generate dagli episodi avversi che la vita ti mette davanti e lo trasformi in qualcosa di positivo; il risultato è sempre notevole. Siamo orgogliosi di questo album, a mio personale parere è il migliore e più completo di tutta la nostra discografia, sia a livello concettuale che tecnico ed emotivo”.
I Node hanno subito negli anni innumerevoli cambi di line-up. Guardando adesso la formazione attuale, ti sembra quella adatta per questa fase dei Node?
“Te lo dicevo prima, assolutamente sì, anzi io credo che questa sia la migliore formazione di sempre. Nell’arco degli anni ho sempre avuto la fortuna di avere al mio fianco per la maggior parte delle volte persone meravigliose, oltre che dei musicisti fantastici; ma a questo giro credo di avere avuto veramente il meglio di entrambe le cose. Anche per quanto riguarda simbiosi, preparazione, impegno e disponibilità, i Node mark.2024 hanno davvero una marcia in più. Ognuno di noi vuole sempre dare il meglio in ogni ambito. Gabriele ad esempio, pur mantenendo il sound aggressivo e potente di sempre, ha messo sul tavolo oltre che la sua dote compositiva anche soprattutto belle idee di arrangiamento, ricche di una vena atmosferica votata al prog e al sound dei ’70. Questa vena è presente in alcuni contesti dell’album, e tutti l’abbiamo abbracciata con un entusiasmo incredibile. Si è trattato di una vera e propria reazione a catena, che ci ha portato a indirizzare il nostro stile verso territori che la band non aveva mai attraversato prima in trenta anni di carriera. Da un certo punto di vista… è stato come rinascere! Io stesso mi sono messo ad arrangiare parti di tastiera con diversi synth, hammond e mellotron, allo scopo di far risaltare ancora di più’ queste atmosfere. Siamo magari usciti dalla nostra corsia, ma dando un input al divertimento veramente straordinario! Nell’album tutto ciò si sente, possiamo ben dire che queste cose non siano mai successe dal 1994 a oggi. Altra grande lode va a Pietro, che nei quasi tredici anni insieme è migliorato tecnicamente in maniera incredibile, arrivando a livelli fantastici grazie ad abnegazione e ad un impegno costante, frutto di fatica e lavoro che non ha conosciuto sosta. Dave infine ha portato esperienza, freschezza, e padronanza della voce; frutto di anni di studio e di preparazione; senza contare la padronanza della chitarra, che con i Last Rites suona da più’ di vent’anni. Questo suo essere anche chitarrista ha davvero dato una marcia in più ad arrangiamenti e composizioni. Siamo solo in quattro, ma che lavorano con la testa al 100% su tutti brani. e questo non era mai successo finora”.
Sono in tante le band che con una formazione molto diversa ‘rileggono’ un album del passato, figlio di altre mani, e lo ripropongono con nuovo sound e nuovo approccio… ti attira questa idea su qualcuno dei vecchi album?
“No, non ci penso minimamente, e proprio per rispetto nei confronti di coloro che hanno suonato con me prima. Ogni album dei Node è frutto di vite diverse, e ha una storia dentro di se. Quelle operazioni di cui parli le vedo un po’ come un rinnegare una parte di te stesso e di coloro che hanno lavorato con te. Inoltre, si rischia di snaturare il sound degli anni durante il quale il lavoro è stato creato! Diciamo che sarebbe un po’ come rifarsi le tette o trapiantarsi i capelli a 50/60 anni… almeno per come la vedo io, non è proprio una cosa che prenderemo mai in considerazione”.
Parlando dell’attuale come di un momento particolarmente difficile; trovi ci sia invece una fase della carriera dei Node in cui tutto sembrava andare come un treno, che quasi ti trovavi a rincorrere un successo che non ti aspettavi?
“E’ sempre stato difficile in realtà, anche se ci sono state fasi più serene nella nostra storia. Diciamo che più che rincorrere il successo abbiamo sempre rincorso il treno; visto che alla fine siamo rimasti una band underground anche dopo trent’anni di carriera. E’ comunque un bene probabilmente, perché ogni chilometro di corsa percorso ci ha donato esperienza, sia nella musica che nella vita. E questo vale soprattutto quando il treno di cui parli è stato proprio perso di vista, ma noi siamo andati avanti a correre, perché col tempo ci era salita la curiosità’ di sapere dove avrebbero portato i binari. E nel farlo, abbiamo imparato anche a goderci il paesaggio intorno! Credo che fermarsi, sia se si trovi il successo sia che non lo si trovi, sia la cosa peggiore: toglie in entrambi i casi la possibilità di scoprire e imparare qualcosa di nuovo, una cosa molto triste a mio avviso”.
Il tour 2004 con i Lacuna Coil viene spesso citato su pagine dedicate a voi e sui riassunti di vostre biografie… vedi quegli anni, tra ‘Das Kapital’ e ‘As God Kills’, come particolarmente importanti per la vostra carriera? Erano anche gli anni di transizione Scarlet– Massacre… come era interfacciarsi con queste realtà discografiche?
“In quegli anni eravamo forti per aspetti diversi rispetto ad oggi. In primis una formazione stabile da anni ci rendeva solidi, poi c’era una situazione live molto più accessibile di adesso; nel senso che c’erano molti più locali che ti davano la possibilità’ di esibirti senza per forza passare da agenzie e magheggi vari: Inoltre a quei tempi la promozione era affidata a Scarlet Records, e veniva curata direttamente da Daniel (il nostro ex cantante). Dato che lavorava in etichetta come responsabile della promozione, eravamo sicuramente avvantaggiati per quanto riguarda interviste, proposte per i festival e date; avendo contatti diretti con le venue o con chi organizzava. Non c’era la diffusione Internet di adesso, i magazines come il vostro erano in realtà quattro o cinque più’ tre webzine in croce, per cui la visibilità della band era garantita su ogni fronte avendo noi contatti con tutti. In Scarlet la nostra fortuna è stata proprio che Daniel lavorasse lì, e che avesse un occhio di riguardo per la propria band; lo dico perché l’interesse dei boss nei nostri confronti era invece appena sufficiente rispetto ad altre band presenti nel roster ai tempi. I tour con i Lacuna Coil del 2004 e del 2006 nacquero invece per caso, grazie soprattutto all’amicizia che coltivo tuttora con l’ex chitarrista Cristiano Migliore, e con tutti loro. La band on-stage rendeva benissimo, e considerato il successo che avevano avuto ‘Das Kapital’ ed ‘As God Kills’ , era inevitabile che si creasse un nutrito seguito per noi. Diciamo però che sia Scarlet che Massacre non hanno mai nutrito troppo interesse nei nostri confronti e non si sono mai esposte più’ di tanto… diciamo che in entrambi i casi la fiducia sembrava non esserci o meglio… riponevano le speranze altrove, non certo in noi! Ripeto, con Scarlet è andata meglio, ma solo perché uno di noi ci lavorava e ha avuto un occhio di riguardo, altrimenti no non so come sarebbe andata a finire. E te lo dico in tutta onestà!”.
A proposito di biografia, esce quest’anno ‘As Book Kills’, libro scritto dall’amico Massimo Villa, ma cui avete collaborato se non sbaglio. Come è stato lavorare a un libro su se stessi? Come si è svolta questa collaborazione?
“Io e Massimo ci siamo conosciuti per caso a settembre dell’anno scorso, a un festival che si tenne in provincia di Genova. Io lo conoscevo già per le biografie di Sadist e Necrodeath… il giorno dopo, su un social, un nostro amico comune ha chiesto per scherzo quando sarebbe stata fatta una bio dei Node… lui ha risposto che se ero d’accordo, avrebbe iniziato anche subito. E infatti la settimana dopo abbiamo iniziato! E’ stato un lavoro che ci ha tenuto impegnati per ben sei mesi, raccogliendo testimonianze davvero di tutti, membri ed ex membri, nonché foto, memorabilia e molto altro. Una volta a settimana tenevamo una videoconferenza per raccontarci tutto, ed è stato come tornare a ritroso nel tempo, incontrare vecchi amici, ripercorrere strade che sembravano perdute e rivivere tutto con gli occhi di persone più mature e consce, contenti di essere però ancora in cammino. E’ stato come ritrovare una grande famiglia allargata, rivivendo gioie e delusioni ma soprattutto raccogliendo quei ricordi di un periodo importante per il nostro genere. Una testimonianza insomma per i più’ giovani o per coloro che non hanno potuto vivere quel magico periodo. ‘As Book Kills’ non è solo la biografia dei Node, e nemmeno è l’autocelebrazione della band, ma piuttosto la storia di trent’anni di scena metal italiana, raccontata da chi ne ha fatto parte. Non a caso la prefazione (di cui siamo onoratissimi) è stata curata nientemeno che da Peso dei Necrodeath… Il libro sta andando benissimo, giusto in questi giorni si trova nella top 10 dei bestseller di Amazon nella sezione rock e metal!”
Nel corso degli anni, cosa hai sempre trovato importante come valore per fare parte della band? Dedizione, duro lavoro, attitudine, mentalità…
“Tutte e quattro in realtà, ma la più’ importante è sicuramente il divertimento e lo stare bene assieme. Senza questi, senza poter staccare la testa dai problemi dallo stress e da ciò che rende la vita pesante, tutto quando andrebbe inesorabilmente a farsi fottere. Fare musica deve fare principalmente stare bene te, chi suona con te e – Dio volendo – anche coloro che ti ascoltano. Negli anni ho visto un sacco di gente chiudere i battenti per non avere raggiunto i risultati prefissati, facendosi un sacco di menate e di seghe mentali… un tuo collega su un’altra testata in una intervista addirittura mi chiedeva cosa fosse mancato per fare il salto di qualità per non avere raggiunto palchi importanti, come se il successo fosse stata una mancanza o un difetto… Io credo piuttosto che chi di base si fa menate assurde come queste, poi nei risultati, ha già perso un buon 50 percento della componente divertimento e serenità… cosa grave, perché significa tirare su una generazione di frustrati e di mentalmente esauriti. Impegno, dedizione, duro lavoro e tutto ciò che ne segue devono esserci, ma devono necessariamente partire da una componente e da un humus di benessere e serenità, altrimenti sarebbe come andare in fabbrica, e lì ci vado già tutti i giorni… anche se fortunatamente posso dire che il lavoro che faccio mi piaccia”.
A conti fatti, se incontrassi un te stesso più giovane nel 1994… ti autoconsiglieresti di buttarti in questa avventura?
“Assolutamente sì, del mio viaggio fino ad oggi non rimpiango nulla, anzi lo rifarei altre mille volte ancora solo per il fatto di essere cresciuto da ragazzino a uomo facendo ciò che mi piaceva. Essere arrivato a cinquantatré anni senza mai perdere entusiasmo, dignità, e senza mai perdere di vista l’importanza di crescere migliorare e maturare come persona è la cosa migliore cha abbia fatto. La band è stata la mia scuola di vita, una esperienza educativa che mi ha preso per mano poco più che ventenne e mi ha portato fino ad adesso, facendomi diventare la persona che sono. Un percorso importante che credo per certi versi mi abbia anche salvato la vita”.