Artificial Heaven – Gotico capitolino

Il 11/07/2024, di .

Artificial Heaven – Gotico capitolino

La tenacia e la perseveranza sono sicuramente due delle caratteristiche attribuibili a Federico Venditti. Dopo lo scioglimento dei Witches of Doom, vecchia conoscenza di queste pagine, il chitarrista romano ha messo su gli Artificial Heaven, un nuovo quartetto dalle più marcate influenze goth di cui abbiamo intercettato il debut ‘Digital Dreams’ tempo fa su queste pagine. Quella che segue è una chiacchierata resa oltretutto piacevole da un’altra caratteristica del Nostro, l’elevata competenza in ambito musicale…
Doverosamente riprendiamo da dove ci eravamo fermati. Cosa ha portato allo scioglimento dei Witches of Doom, il tuo progetto precedente? C’entra qualcosa il periodo pandemico in cui uscì il vostro terzo e ultimo disco?
“Il motivo per cui ho deciso di terminare l’esperienza con i Witches Of Doom è perché l’ex cantante è sparito per più di sei mesi, cercando di non prendere delle decisioni che avevamo concordato insieme, ma che lui non voleva comunicare a chi di dovere. Ho provato in tutti i modi di salvare la situazione, cercandolo al telefono, di persona, ma lui si è sempre negato per un confronto dirimente. Affermando che aveva problemi personali, cosa assolutamente esagerata e non vera, inoltre a me diceva che era d’accordo con la decisione presa e ad altri affermava il contrario. Comunque, ho provato ad invitarlo a trasferirsi a casa mia sine die finché non avesse risolto i suoi problemi, cercandogli anche appartamenti con affitti abbordabili. Non mi aspettavo un grazie perché lo facevo volentieri, ma nemmeno di essere additato come non empatico, o peggio ancora come presunto nemico via social. Insomma mi devi credere, ho provato in tutti i modi a tendergli una mano, ma come diciamo a Roma: se uno nasce tondo non muore quadrato. Nascondersi dietro mille bugie, non serve a risolvere nulla. Comunque gli auguro il meglio, alla fine è passato tanto tempo e spero che adesso sia felice con i suoi nuovi progetti e che sia più sereno a livello personale. Credo che avevamo raggiunto il massimo artisticamente e io non sono d’accordo con quei musicisti, o pseudo tali, che continuano a perseverare con progetti che non hanno più nessun membro originale o che suonano davanti al solito pubblico di amici. Una band non è come una trattoria, dove cambi personale e il nome del ristorante rimane lo stesso, non ho mai concepito l’arte in questo modo. Se un’esperienza artistica arriva a compimento, bisogna avere il coraggio di mettere un punto ed andare avanti. Si può anche smettere di suonare, non è obbligatorio. Dato che per quasi tutte la band italiane è solo un hobby. Tutto ha un inizio e una fine, gli anni passano e non si rimane giovani per sempre.”
Parliamo invece della genesi degli Artificial Heaven: chi sono i musicisti che ti accompagnano in questa nuova band? Come vi siete “assemblati”, avevate avuto esperienze precedenti?
“Sicuramente, c’è un continuum con la mia esperienza precedente. Eravamo ancora in piena pandemia, alla fine del 2021, e volevo continuare a suonare. Dimostrare a me stesso, ma anche agli altri, che avevo altre cose da dire musicalmente. Quindi presi la decisione di trovare nuovi musicisti per mettere su una band ispirata al goth rock anni ’80 inglese, ma comunque con un suono moderno. Lollo viene dalle esperienza più disparate musicalmente, ma tra le sue incursioni musicali c’è da sottolineare la sua permanenza in diverse band death metal romane. Fabio, il cantante, ha collezionato diverse esperienze in cover band della capitale, mentre il bassista è cambiato proprio di recente. Stiamo provando una nuova persona, speriamo sia il bassista della band in pianta stabile.”
Le primissime note promozionali degli Artificial Heaven vi descrivevano come molto influenzati da The Cult, Litfiba, Bauhaus, Sisters of Mercy, Smashing Pumpkins e Alice in Chains: un lotto sovrapponibile persino ai Witches of Doom. Alla luce dell’uscita di ‘Digital Dreams’, senti che la descrizione è ancora accurata o cambieresti qualcosa?
“Assolutamente si. Il sound dei Witches Of Doom era più stoner metal con degli accenni al goth. Inoltre, con i Witches il sound era più pesante e decisamente più metal, spaziavamo molto di più. Tanto che alcuni ci accusarono di avere troppe influenze, molti ci additavano di avere doom nel nome ma di suonare altro. Questo è accaduto perché molti non sanno che doom significa sventura e non solo un genere musicale. Gli Artificial Heaven sono molto meno metal e molto più goth rock, la band è decisamente più focalizzata su cosa suonare, che piaccia o no. Chiunque abbia ascoltato il nostro debutto, avrà colto i riferimenti alle band elencate sopra.”

Parliamo dei testi che accompagnano il disco: il punto di vista da cui si sviluppano le liriche della title track, di ‘Sleeping Tablets’ o ‘Body Shaming’ è molto particolare e non sempre sembra partire da una narrazione “convenzionale”. Puoi dirci di più?
“’Digital Dreams’ è un vero e proprio concept album sulla digitalizzazione coercitiva della nostra società, non incentrato su una storia univoca ma proprio sul concetto di fondo della solitudine nel 21simo secolo. E cioè sui sogni artificiali indotti da una vita sempre meno umana e sempre più distaccata dalla realtà, tutti i testi sono collegati dalla stessa tematica. Da ‘Log On’, nella quale parliamo dell’alienazione del singolo individuo, fino ad arrivare a ‘Dark Room’, nella quale trattiamo l’essere soli davanti a uno schermo nel buio della propria stanza convincendosi di avere tanti amici, ma che sono tali solo nello spazio di un click. Le canzoni da te menzionate si riferiscono ai problemi di insonnia, nel caso di ‘Sleeping Tablets’, e del body shaming come pratica utilizzata per umiliare una persona via social. Insomma, il nostro non vuole essere un messaggio contro la tecnologia tout court, ma un monito a non premere l’acceleratore della disumanizzazione dell’uomo. Un ossimoro abbastanza esemplificativo.”
Ho un’ulteriore curiosità a livello di scrittura, riguardante la tua attività di romanziere: un titolo come quello del tuo ultimo romanzo, ‘Hotel Paranoia’, che connessione ha con l’omonimo album dei W.O.D.? E cosa bolle in pentola sul fronte della scrittura?
“Bella domanda. Nell’ultimo disco dei Witches c’era un brano con il nome del mio ultimo libro. E il nome Artificial Heaven altro non è che il titolo di un capitolo di Hotel Paranoia. Possiamo dire che il mio ultimo romanzo è stato fonte di ispirazione per la mia musica. Hotel Paranoia ormai è stato pubblicato tre anni fa, adesso ho terminato di scrivere un thriller storico ambientato tra la prima e la seconda guerra mondiale. Tratta della vite parallele di due colonnelli, uno del Regio esercito e l’altro della Milizia fascista, che saltuariamente si incontrano in diversi teatri di battaglia. Ma questo è lo spunto iniziale per un vero e proprio giallo che prenderà forma negli ultimi capitoli del manoscritto. Sicuramente, la particolarità è che il protagonista è una persona che crede ciecamente nel fascismo, in genere questo tipo di romanzi hanno come protagonista i vincitori, non i perdenti. Chi mi conosce bene, sa quali sono le mie convinzioni politiche, non ho bisogno di sottolinearle in questa sede.”
Un titolo come ‘Ennio’ salta subito agli occhi e ancor più alle orecchie: una volta premuto play si ha subito la conferma del tributo al maestro Morricone. Un riferimento di casa nostra all’iconografia “dark west” dei Fields of the Nephelim? Com’è nata l’idea, assieme al coinvolgimento di Riccardo Studer degli Stormlord?
“Si esatto, Ennio è il nostro tributo ad Ennio Morricone e ai suoi film spaghetti western come Per Un Pugno Di Dollari. La cosa incredibile è che tali pellicole al tempo erano percepite come una bestemmia in chiesa, il vero genere western erano i film di John Ford. Quando l’agente di Lee Van Cleef si presentò con la proposta di andare in Italia e girare con Leone, Lee reagì violentemente attaccandolo al muro. Al tempo gli spaghetti western erano recepiti come la pizza hawaiana o la carbonara magrebina, qualcosa di sacrilego e oltraggioso. In realtà, quell’intro era stato concepito per il quarto album dei Witches, ma poi è naufragato tutto come ti raccontavo prima e allora lo abbiamo utilizzato come intro di ‘Automatic Love’. Un brano lento, con un’atmosfera molto western che può ricordare i Fields of the Nephilim del debutto.”
‘Electric Rain’, ‘Lie to Me’, ‘Digital Dreams’, ‘Body Shaming’: una volta le avremmo chiamate singoli, e ora? Come fa un gruppo a non disperdere il potenziale di una possibile hit nel 2024?
“Mah, i singoli esistono esclusivamente per lanciare un album, per creare attesa. Oggi come oggi nell’epoca delle piattaforme digitali, le grandi radio non sono interessate a band underground, non sono nemmeno interessate ai singoli dei gruppi più famosi con una bella storia alle spalle. Ormai, trasmettono solo classici di anni fa, dal momento che il pubblico è molto in là con l’età e non c’è stato ricambio generazionale. I giovani ascoltano tutt’altro, per loro il rock e il metal sono generi che appartengono a una generazione lontana e che non gli appartiene, come noi potevamo vedere la musica degli anni ’50 o ‘40. D’altronde, quando leggi che Mustaine non canta più ‘The Conjuring’ perché inneggia a Satana, comprendi come mai un ragazzo non si potrà mai immedesimare in un vecchio sessantenne multi milionario che gli parla di Gesù bambino e del vino che produce in Italia. Il metal, quando ero piccolo io, parlava di Satana, di Mary fica rotta, di scazzottate del sabato sera, adesso invece è tutto edulcorato e poco appetibile.”
D’altronde la vostra scelta apripista prevedeva ‘Fall Away’, che poi è anche l’opening track. Qual è stato il responso su questo primo estratto, da parte del pubblico?
“Direi positivo. È una traccia molto diretta con chiari rimandi a band come i 69 Eyes, soprattutto per la voce baritonale e cupa. E poi con l’aggiunta di tastiere, suonate dal mio amico Francesco Sosto dei Foreshadowing, che conferiscono un tocco industrial a un brano goth rock molto tirato.”

La scelta di ‘Russian Roulette’ dei Lords of the New Church come cover è molto particolare. Ne avete altre “in canna”? E dal vivo amate suonare cover, tra cui questa?
“Abbiamo scelto questa cover perché è un brano conosciuto dagli estimatori di Stiv Bators e da pochi altri. I Lords sono stati un gruppo veramente forte ed originale, che ha saputo unire il punk e la new wave come pochi altri hanno fatto. Ne abbiamo provate altre, ma questa si sposava bene con la voce di Fabio. Dal vivo suoniamo questa, oltre a ‘La Preda’ dei Litfiba e ‘Cry For Love’ di Iggy Pop.”
Già, i live… avete suonato a Roma al Metal Massacre, in un’occasione molto speciale. Come si svolge un vostro concerto? Con quale scena in particolare avete un rapporto stretto?
“Si, quella è stata una delle nostre serate. Ne abbiamo fatte diverse, tra cui la presentazione del disco al Traffic. Una serata notevole, dove c’era molta gente della scena dark di Roma. Sicuramente, il nostro habitat è la scena goth- dark, ma possiamo piacere anche a chi ascolta rock. Chi ascolta i gruppi che hai elencato sopra, potrà trovare interessante la nostra proposta.”
A proposito, se penso allo scenario cittadino dell’Urbe mi vengono in mente associazioni “temporali” che immagino ti saranno familiari: Banco del Mutuo Soccorso e Rovescio della Medaglia, Raff e Fingernails, Bloody Riot e High Circle, Concrete, Timebomb e Colonna Infame Skinhead, per non parlare degli Stormlord… ma con tutto questo fiorire c’è o c’è mai stata una “scena” a Roma, a tua opinione?
“In linea teorica sì, in pratica no. Ti potrei fare un elenco infinito di band molto valide provenienti da Roma, ma si tratta di piccoli universi talvolta paralleli, che difficilmente si incontrano. Secondo me, oltre alle band, per poter affermare di avere una scena servono due altri elementi: i locali e il pubblico. I locali, eccetto qualche eccezione, durano poco e il pubblico latita. Facendo un discorso più generale, penso che tutta la scena italiana sia in crisi nera nel post pandemia. Sempre meno locali, prezzi esorbitanti e pubblico vecchio e poco ricettivo. Ormai quando vai ai live vedi sempre le stesse facce, l’età media è sui 45-50 anni e purtroppo i giovani ascoltano tutt’altro. Ma di band valide ce ne sono parecchie a Roma, alcune meriterebbero molto di più. Ormai suonano tutti, gente che fino a ieri al massimo suonava il campanello di casa o che faceva la groupie e che oggi si trova in mano un altro tipo di microfono, quindi diventa sempre più complicato scovare band valide in mezzo a tanta mondezza.”
Una distinzione che appartiene alla vulgata delle gang giovanili è quella tra dark e metallari di una quarantina e passa di anni fa. Come siamo arrivati alle varie commistioni, non solo a livello internazionale ma anche “locale”?
“A livello generale sono band come i Motorhead che hanno iniziato a mescolare punk e metal in tempi non sospetti, poi sono venuti i Metallica che hanno preso la velocità dell’hardcore per mischiarla con la NWOBHM. In campo dark, mi vengono in mente i Sisters Of Mercy,i Cult e successivamente i Type O Negative e i Moonspell. Per quanto riguarda il circuito locale italiano, non saprei, diciamo che si è accodato a quello che avveniva nella scena mainstream internazionale, in casi sporadici ha prodotto band che hanno anticipato le mode.”
Torno al vecchio parallelismo con lo stile dei Bronx Casket Co. di cui non avevo parlato nella recensione di ‘Digital Dreams’ ma che emerge a mio parere in una certa affinità tra lo stile vocale di Fabio Oliva e quello di Mike Hydeous, nonché nelle atmosfere costruite dagli Artificial Heaven. Quanto è importante dare un colore, un’intenzione, una sensazione al proprio sound?
“Secondo me, Fabio è un possibile incrocio tra la voce del primo Pelù e quella di Andrew Eldricht dei Sisters e Carl McCoy dei Fields, soprattutto nel registro vocale basso. I Bronx Casket Co. mi sono sempre piaciuti molto. Credo sia fondamentale avere degli elementi distinguibili nel proprio sound. Altrimenti si rischia di passare inosservati ed essere omologati ad altre band. Credo che abbiamo un sound particolare, che magari non tutti digeriscono al primo ascolto. ‘Digital Dreams’ ha bisogno di diversi ascolti per essere apprezzato, non è di facile impatto e non è per tutti i palati, ma per me è un complimento e come dici te, significa che non siamo omologati.“
E a proposito di elementi costitutivi, tra essi c’è sicuramente il tuo stile di chitarra: quali sono le tue influenze storiche e del momento?
“Tra i miei chitarristi preferiti c’è Billy Duffy dei Cult, veramente un chitarrista completo, poi mi piacciono molto Jerry Cantrell degli Alice in Chains e Greg Mackintosh dei Paradise Lost, oltre a Tom Morello e a Vernon Reid dei Living Colour. In generale mi piacciono tutti quei chitarristi che possiedono uno stile particolare e riconoscibile. I virtuosi fine a se stessi mi annoiano, lo considero onanismo musicale.”

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