Accept – Radici nel passato e sguardo al presente
Il 14/06/2024, di Dario Cattaneo.
Gli Accept sono una band storica per la scena heavy, senza dubbio. Però bisogna anche riconoscergli di essere sempre stati in qualche modo al passo con i tempi, con un approccio interessante e attuale alle liriche (spesso incentrate su problematiche sociali o politiche) e con un approccio musicale sì ben riconoscibile ma che non disdegna di abbracciare produzioni più moderne o leggeri cambi di sound. Quindi la proposta offertaci dai promoter di poter parlare per una mezzoretta col cantante Mark Tornillo proprio di questi temi è stata da Metal Hammer ben accettata… nelle righe qui sotto trovate cosa Dario Cattaneo ha tirato fuori al simpatico vocalist una piovosa serata di inizi maggio.
Ciao Mark, è un piacere parlare con te! Senti, partiamo subito con i lavori per il nuovo album… Potrebbe essere stato un album con una lavorazione un po’ diversa perché quello prima, ‘Too Mean To Die’, fu lavorato appunto in piena pandemia e quindi con diverse limitazioni. Come è andata per ‘Humanoid’? Siete tornati al vostro vecchio modo di lavorare o qualcosa del periodo 2020 vi è rimasto?
“Siamo tornati alle vecchie maniere, come l’hai detta tu. Con ‘Too Mean To Die’ eravamo in effetti stati costretti a fare tutto in remoto, non c’era altra scelta, altrimenti avremmo dovuto fermare la produzione e non volevamo davvero farlo. Ma quando la pandemia colpì stavamo appunto tutti lavorando assieme… siamo dovuti tornare a casa nostra finchè potevamo e continuare da li. In effetti è stato strano. Per ‘Humanoid’ abbiamo fatto delle parti in remoto, si chiama ‘comodità’ quella, ma le registrazioni e buona parte della produzione siamo tornati di nuovo tutti in studio. Tutta la band con anche Andy (Sneap, il produttore e ingegnere, ndR). Ovviamente qualcosa dalla lezione della pandemia l’abbiamo appresa, ma un intero nuovo modo di lavorare non faceva per noi, quindi siamo tornati a fare le cose come ci riesce meglio, ecco tutto”.
Parliamo di un processo di creazione molto naturale per ‘Humanoid’ quindi?
“Esatto, molto naturale. Siamo un gruppo piuttosto unito, soprattutto sotto la guida di Andy. E’ il sesto album con lui, e riprendere a lavorare in studio con lui di fianco è stato come salire in bicicletta. Una volta tornati tutti in studio, ognuno sapeva il proprio ruolo e cosa doveva fare”
Andy Sneap sembra davvero importante per questo album!
“Lo è, lo è. E’ ovviamente un grande produttore e un grandissimo ingegnere del suono, ma soprattutto ha grandi orecchie. Quindi centra sempre il punto, ha sempre una buona idea, per dire. E’ una persona molto critica di suo, ma ha sempre un rimedio o un suggerimento sulla critica che muove. Questa è la sua caratteristica che preferisco, è facile dire che qualcosa non va bene e poi non spiegare perché o non suggerire niente. Lui non fa cosi, se una roba non gli piace, ti dice perché e ti dice come fare lui”.
Non è assolutamente uno ‘Yes man’!
“No, no! Assolutamente! (ride, ndR)”.
Dai, andiamo avanti con il nuovo lavoro. ‘Humanoid’ suona fresco e al passo con i tempi, ma al contempo presenta al 100% il classico Accept sound, che sono una band Anni ’80. Qual è il segreto per bilanciare una personalità di quasi quarant’anni e un’anima più moderna?
“Segreto? Chi parla di segreti? Scherzi a parte, partiamo dal presupposto che non vogliamo assolutamente cambiare il nostro sound, sai come si dice… se non è rotto, non aggiustarlo, no? Comunque è indubbio che gli Accept abbiano un suono ben definito, e ciò ha tutto a che vedere con il modo di suonare di Wolf, davvero personale e riconoscibile, anche come timbro della chitarra in se. Però noi altri, quando proponiamo delle idee… una linea vocale, una soluzione ritmica, un groove di batteria… cerchiamo di essere il più freschi e moderni possibile, pur rimanendo legati all’identità della band. Forse è li che il suono diciamo ‘classico’ e distintivo di Wolf si mischia con altri input e creano una canzone ‘fresca’, come dici tu. In effetti credo che per questo album questa spiegazione sia molto azzeccata”.
Come sempre il comparto lirico è interessante e legato a temi odierni, personali o sociali. Vorrei partire dalla title-track, che si concentra su un tema di attualità come le I.A. e il loro utilizzo. A parte l’immaginario della canzone con robot malvagi e unità schiavizzata, cosa ne pensi tu personalmente di questo tema e dell’avanzamento tecnologico in generale nel campo delle intelligenze artificiali?
“Ho risposto questa cosa a tanti altri giornalisti… l’intelligenza artificiale per ora è uno strumento. Né più né meno che quello. E’ stata creata dagli uomini e come tale può essere usata per il bene, di sicuro quando viene sviluppata, è pensata per questo. Ma può essere usata anche in modo sbagliato. E’ come un martello: è uno strumento, puoi colpirci un chiodo o spaccarci la testa a qualcuno. Quindi? Come sempre la questione non è lo strumento, ma chi lo usa. Programmare un AI e usarla per lo scopo per cui è stata pensata non mi spaventa, è vedere cosa la gente penserà di poterci fare. Alcuni suoi aspetti ci sono già, e portano beneficio a lavoratori e utilizzatori, ma tendo a essere sospettoso. Chi lo sa che succederà? Non sono a dire che alla fine una A.I. avanzata deciderà che l’umanità non è più utile, anzi dannosa, ma è il bello di parlare di questo tema, no? E’ un tema oscuro, si apre a tante interpretazioni e storie interessanti”.
Sicuramente è tutto molto interessante, davvero. Non siete gente da testi scontati e lo dimostrate anche con la canzone su Frankenstein.. Ci parleresti del testo di questa particolare canzone?
“Ah beh, in realtà ‘Frankenstein’ era un working title. E’ nato prima il titolo della canzone. La canzone è stata scritta da Uwe (Lulis, chiattara, ndR) e Wolf, e quando mi hanno passato il pezzo composto dovevo scriverci qualcosa su altri temi. Ho lavorato a due o tre varianti di testo per quel pezzo, ma nessuno sembrava avere l’impatto che aveva quel ‘Frankenstein’. A quel punto mi sono chiesto se non valeva la pena di parlare sì di quello, ma da un altro punto di vista. Non di quello del narratore, non di quello dell’eroe o dell’abitante spaventato del villaggio; ma piuttosto narrare qualcosa dal punto di vista del mostro. Per lui immagino resuscitare su un tavolo operatorio con pezzi di corpo non suoi attaccati alla rinfusa immagino sia stato un bello shock! Alla fine, non l’ha chiesto lui di fare questi esperimenti. Probabilmente era pieno di domande… Chi sono io? Chi siete voi? Perché tutti mi odiano? Quindi alla fine è venuto fuori questo testo con un approccio un po’ diverso a un tema classico. Vi ho fornito non il mostro classico delle storie, ma un altro mostro completamente nuovo: l’umano e i suoi esperimenti”.
Bella idea! E su ‘No One Gets Out Alive’ che mi dici? Il tema della morte è caro all’heavy metal…
“Già, ma la canzone dice solo che ne usciamo tutti allo stesso modo. Sei, ricco, sei povero, sei giovane, sei vecchio… apprezza il tuo giorno attuale, perché potrebbe essere l’ultimo. E ti dice anche che alla fine siamo tutti sulla stessa barca. Si litiga di tutto, non potremo mai cambiare il fatto che siamo venuti dal niente e una volta morti lì torniamo. Questo è quanto”.
Una visione molto decisa! Senti, vista quest’ultima nota un po’ pessimistica, ti chiedo se non abbiamo tutti un po’ ragione ad essere pessimisti, in fondo. Il mondo in effetti fa un po’ schifo: guerre, pandemie, politica… diciamo che il mondo è cambiato tanto dagli Anni ’80 in cui eri magari a inizi carriera, e non sempre possiamo dire ‘cambiato in meglio’. Tu ti senti uno scrittore diverso rispetto a quando avevi iniziato? Tutti gli accadimenti del mondo fuori influenzano in qualche modo il tuo modo di approcciare un testo?
“Si, ti posso rispondere senza alcun dubbio. Certo. L’impatto di ciò che avviene fuori influenza sempre l’arte di una persona, in un modo o nell’altro. Ti dirò una cosa, ‘Blood Of The Nation’, il mio debutto con gli Accept era il primo album su cui scrivevo un testo da quando sono avvenuti i fatti dell’11 Settembre. Già, quel giorno ha cambiato totalmente il modo in cui scrivo. Un tempo ero felice, i miei testi erano del tipo “party, rock’n’roll”, cose del genere. Mi ritengo ancora una persona felice, ma quell’evento ha oscurato di molto il modo in cui esprimo ciò che penso della vita e del mondo in generale. Non per forza della mia. Non chiamarlo pregiudizio o pessimistico, ma semplicemente mi sono accorto di quanto può essere dura la realtà. Certo, il mondo ha ancora tante cose belle, ma non posso più fare finta che quella parte di male non ci sia, e finisco per scrivere di quella. Ecco, quell’evento ha avuto un grande impatto su quello che voglio esprimere, più che su quello che sono io come persona”.
Parlando della vostra carriera, siete di sicuro una band pioneristica, da nominare tra quelle che hanno fondato un genere, o quantomeno hanno contribuito a dargli forma. Ti riconosci – anche solo personalmente – in questa descrizione?
“Gli Accept originali ricadono certo nella descrizione che hai dato tu. E’ una band storica, che ha scritto dischi storici per l’heavy metal”.
‘Metal Heart’?
“Non solo. Anzi, io mi riferivo a prima ancora. ‘Fast As A Shark’ ha avuto un grosso impatto sul thrash metal. Era thrash prima ancora che il thrash esistesse. E il bello è che gli Accept non sono mininamente indicabili come una thrash band. La band di adesso suona lo stesso genere di prima? Si, la cosa non è cambiata, quindi non siamo più ‘pionieri’. Siamo una heavy band che fa quello che sa fare bene”.
Hai parlato di album importanti… è facile indicare un album come ‘Ball to the Wall’ come tra i più importanti per la band, così come ‘Blood of the Nations’, che ha segnato il vostro ritorno dopo una grossa instabilità di line-up. Ma quali, secondo te, sono gli album cardine della carriera della band?
“L’album più importante per me l’hai già citato ed è ‘Blood’. E’ quello on cui sono entrato a far parte della band, e comunque è diventato annoverabile trai classici della band, cosa di cui vado fiero. E’ stato una album coraggioso, la band era in una situazione di ‘nuota o affonda’. Con anche me, abbiamo nuotato ed è nato quest’album. Di sicuro è un momento cardine per la mia carriera e quella degli altri. Nel resto della discografia direi ‘Restless And Wild’, che ha aperto le porta al successo di ‘Balls’, e poi ‘Breaker’ che è stato l’album con cui li ho conosciuti. Certo, ‘Balls to the Wal’’ è stato quello ai tempi più trasmesso su MTV e sulle altre trasmissioni, quindi risulta il più famoso”.
Che ne pensi dalla scena heavy di adesso? Si dice sempre che il metal è sopravvissuto agli Anni ’90 e all’avvento del grunge, ma la vedo più grigia adesso, con i servizi di streaming, la crisi delle vendite e tutto il resto…
“Bah, il metal non morirà mai. (La risposta cosi manowariana mi ha sinceramente stupito, ndR) Siamo sempre stati una sorta di underground. Anche quando MTV pompava le band più famose, di metal sui canali ne girava tanto, ma si capiva che era una cosa appunto più da underground, non per forza da grossi palcoscenici. E’ così. Però, questa caratteristica fa sì che il fan ci tenga, che non se ne vada. Molta gente che ascolta il pezzo più mainstream del momento, tra qualche mese ascolterà il prossimo e si dimenticherà del primo. Se ascolti il metal perché non è mainstream, ti piace e ti piacerà anche domani. Non so te, ma io ancora adesso ascolto metal. E’ quello che metto nella mia macchina quando libero il cervello: ho gli AC/DC, i Sabbath e anche band nuove. Io questo ascolto, e pure i miei amici lo fanno. Alla fine, se lo hai fatto per 40 anni, continuerai a farlo finchè puoi. Magari non arrivano nuovi fan? Boh, non lo so. L’heavy ora potrebbe vendere di più? Si, certo, saremmo tutti felici di ciò, ma anche se non lo fa, non vuol dire che il metal stia morendo. Per me è così”.
Questa musica però ti ha cambiato in questi quarant’anni? Ascolti ancora metal, ma credi di essere diverso, o quanto meno un tipo diverso di fan?
“NO, penso di essere sempre la stessa persona. A parte la questione sullo scrivere di cui abbiamo parlato prima, la mia personalità si è definita da teenager, e quella è rimasta. Ho più esperienza, quello sì. In tutto. Ho girato il mondo, ho visto realtà che non conoscevo e mi sento più ricco, non diverso. Ho scritto tante canzoni che parlano di ciò, e di quello che vedo, ma se penso a Mark Tornillo persona, credo che sia la stessa persona da tanti, tanti anni. Comunque sono convinto che tutte le esperienze che ho fatto mi abbiano reso migliore, quello sì”.
Il metal però è cambiato. Una domanda che faccio spesso agli artisti con una certa età (sorry! ndR) è se il metal mantiene ancora adesso alcune delle caratteristiche che lo rendevano cosi seducente negli Anni ’80. I Guns, i Motley… distruggevano hotel; Ozzy mangiava pipistrelli e le band black facevano parlare di loro sulle pagine di cronaca nera. Tutto questo ora non c’è; e se c’è sembra artefatto, uno scimmiottamento. Che ne pensi di queste mie affermazioni?
“Hai parlato di metal, ma è sbagliato. Non per forza, metal; o – meglio – dipende dal genere di cui parli. Ci sono diverse scene, adesso, e non condividono per forza attitudine e modi di fare, e questo vale anche per ribellione e nichilismo. Cosa ricade sotto il cappello di ‘estremo’ se mi vuoi parlare di attitudine estrema nel rock? Boh, volendo anche una band death di oggi è estrema, fa questo genere di musica, senza per forza doversi comportare in un certo modo o fare cose così appariscenti. E poi anche Jimi Hendrix bruciava la chitarra. E Pete Townshend dei The Who distruggevano ogni notte gli strumenti, non l’hanno mica inventato dopo. Tutto ciò era veramente estremo, e non facevano nemmeno metal! Secondo me non si deve parlare di scena, è l’artista a fare o meno certe cose. Quindi non porrei la domanda come l’hai posta tu, ecco”.
Grazie per avermi detto il tuo parere. Ultima domanda: qual è la cosa più bella che questi anni di carriera ti hanno regalato?
“Il divertimento. Solo questo. Sono fortunato perché la mia carriera mi ha donato la cosa a cui do più importante: stare bene con me stesso e con gli altri”.