Gong – L’ascesa infinita
Il 25/11/2023, di Francesco Faniello.
Cronaca di una piacevolissima chiacchierata con Kavus Torabi, successore designato dal mastermind Daevid Allen per portare sulle sue spalle la pesantissima eredità di quell’eccezionale collettivo chiamato Gong e traghettarne il nome dopo la morte del fondatore. Così, l’intervista ha toccato più punti di interesse, a partire dall’ultimo, eccezionale lavoro ‘Unending Ascending’ proseguendo attraverso la celebrazione dell’estro geniale di Allen, fino a parlare delle (quasi) insospettabili passioni del nostro poliedrico interlocutore…
Ciao Kavus, benvenuto su Metal Hammer Italia! Le note promozionali diffuse dall’etichetta sottolineano il fatto che quella attuale è la line-up più longeva dei Gong. Si tratta anche di una formazione esposta a prevedibili critiche dovute al fatto che state portando avanti l’eredità di Daevid Allen dopo la sua morte, come egli stesso aveva richiesto. Possiamo dire che si tratta di una vera e propria sfida?
“Una sfida, dici? Beh, non so se si è trattato davvero di una sfida, quanto piuttosto della scelta tra farlo o non farlo. Sai, quando David ci ha chiesto di continuare avevamo sostanzialmente due opzioni: o non farlo per vari motivi, magari perché il tutto sarebbe sembrato artefatto, o seguire quello che era il suo volere, poiché era esattamente quello che ci stava dicendo di fare. Una volta scelta la seconda opzione, avevamo il compito di scrivere musica dando il meglio di noi stessi. In qualche modo, si è trattato di qualcosa di totalmente diverso da quanto io avessi fatto fino ad allora; avevo i miei progetti, non avevo certo bisogno di unirmi ai Gong ma una volta che l’ho fatto ho trovato un gruppo pazzesco di musicisti, con tutta l’adrenalina legata al fatto di realizzare musica insieme. E credo che la gente stia credendo in questa incarnazione dei Gong, anche perché è quello che è sempre successo in questo progetto: non siamo certo la prima formazione dei Gong a non avere alcun membro originale ed è quello che caratterizza il monicker, che indica un collettivo più che una band in senso stretto. Quindi, tornando alla domanda iniziale posso capire benissimo le critiche e le esitazioni di qualcuno, ma non abbiamo avuto scelta. O meglio, la scelta era tra farlo o non farlo.”
E dunque eccoci qui! Secondo te, qual è il legame tra ‘Unending ascending’ e gli altri dischi a partire da ‘Rejoice, I’m dead’? C’è una sorta di linea continua o no?
“Sì, ogni album è legato agli altri. Sai, il primo che abbiamo realizzato insieme [‘Rejoice, I’m dead’, NdR] è stato registrato poco dopo la morte di David e lo abbiamo vissuto come una sorta di tributo. È come se la sua morte ci avesse dato l’occasione di realizzare un disco che avesse un’attitudine positiva nei confronti della morte stessa come concetto, la stessa attitudine condivisa da David in merito! Nel successivo ‘The Universe Also Collapses’ abbiamo continuato ad esplorare quelle che erano le sfaccettature della nostra incarnazione dei Gong, e tradurli in musica. Si è cercato di riportare una certa dose di misticismo, attraverso la trascendenza e la psichedelia, tutto ciò che ha a che fare con il diventare le versioni migliori di noi stessi. Un processo che riportasse il messaggio, la musica al centro, ed è quello che continuiamo a fare anche con questo disco.”
Uno dei miei pezzi preferiti di quest’album è ‘My Guitar is a Spaceship’; ritengo che abbia una sorta di flavour che ricorda gli Yes. Ti senti influenzato da Jon Anderson, in qualche modo?
“Beh, penso proprio di sì! In realtà non me lo aveva mai fatto notare nessuno, ma un paio di sere fa parlavo con un amico del primo album solista di Anderson, ‘Olias of Sunhillow’… è un disco che amo davvero e che metto alla pari con ‘Rock Bottom’ di Robert Wyatt e ‘The Marble Index’ di Nico, tre album che hanno in comune il fatto di essere il prodotto geniale di una singola mente. Quello che mi piace di ‘Olias of Sunhillow’ è che lì puoi ascoltare Jon Anderson così com’è, senza tutta la tecnica e le evoluzioni strumentali che lo legano agli Yes. I suoi arrangiamenti sono di qualità elevatissima, e in quell’occasione ha suonato tutti gli strumenti per creare un sound personale e distintivo, senza aver bisogno di assoli o fills… un lavoro da cui traspare tutta la sua gioia compositiva, denso di psichedelia. Quindi… sì, è un artista interessantissimo e lo apprezzo davvero tanto, anche nella misura in cui ha sempre cercato di portare una dose di misticismo nella sua musica, un fattore che resta incompreso, nel suo caso.”
Un po’ come quando si parla dei King Crimson, dove la tecnica non è mai fine a se stessa ma è asservita a uno scopo ben preciso, la creazione di un sound profondo. A proposito di King Crimson, un altro dei miei pezzi preferiti del vostro ultimo album è ‘Choose Your Goddess’…
“Ah, quella piace moltissimo anche a me! È stato l’ultimo pezzo venuto fuori dalle session di registrazione del disco, basato su un riff portato dal nostro batterista e seguendone il groove. È stato davvero divertente scriverla e registrarla, ed è in assoluto il pezzo che non vedo l’ora di suonare dal vivo!”
A proposito, come descriveresti il vostro attuale processo compositivo?
“Ognuno porta qualcosa di suo, in genere si inizia con un mio riff o con un po’ di melodie che ho in testa. Mentre jammiamo ci lasciamo ispirare ed è lì che diciamo “ah, potremmo fare così o in quest’altro modo”, cose così. Il processo è molto diversificato: se guardo all’ultimo disco, c’è un pezzo di otto minuti basato su un unico riff [‘Ship of Ishtar’, NdR], uno di quei riff che mi piace davvero suonare e che si evolve per tutta la durata. Se invece prendi ‘My Guitar is a Spaceship’, essa si basa su un tempo di 9/8: eravamo alle prove e appena ho sentito quel ritmo ho immediatamente imbracciato la chitarra! Mi sono detto: “questa cosa è fantastica”! E la melodia è venuta da sé, due o tre minuti dopo, finché non ho scritto la prima strofa e il refrain. Insomma, il tutto si è svolto in quindici minuti e il giorno dopo ho detto a tutti che avevo il titolo: ‘My Guitar is a Spaceship’!”
Cosa c’è dietro a un titolo come ‘Unending Ascending’? Quali sono le tematiche presenti in esso?
“L’idea viene dalla musica stessa, dalla sua forza propulsiva che si muove nella stessa direzione della nostra coscienza e della comprensione dei nostri processi di conoscenza. L’obiettivo puro e semplice deve essere quello di diventare la versione migliore di se stessi; ad esempio, io ho sempre voluto migliorarmi come chitarrista, come cantante, come compositore, come artista in generale, e lavoro sodo per fare del mio meglio. Il titolo descrive anche il processo stesso di evoluzione dei Gong, tanto che può essere riferito all’intero progetto a nome Gong nella sua tensione verso un’energia positiva. Per quanto riguarda l’album in sé, devo osservare come il lavoro precedente era focalizzato sull’universo in generale mentre questo – benché tocchi il tema delle galassie – si concentra sui temi della Luna e dell’acqua. Attenzione, non c’era nulla di pianificato in questo, è solo che a un certo punto i testi sono venuti fuori con un mood che sembrava più… lunare, per dire. Ecco dunque che abbiamo iniziato a scrivere seguendo quel tipo di tematica.”
Cosa ricordi del periodo in cui hai collaborato attivamente con Daevid Allen? In che rapporti eravate?
“Eravamo già amici prima che mi chiedesse di unirmi al gruppo. L’ho incontrato all’inizio degli anni 2000, io avevo un programma radio e lui venne come ospite. Ci scambiammo il numero, iniziò a venirmi a trovare ogni volta che veniva in città – vivevo a Londra, all’epoca – e qualche volta andavamo insieme ai concerti. Era un personaggio incredibilmente stimolante e la cosa curiosa è che… ha due anni più di mio padre. Neanche a dirlo, sembrava davvero molto diverso da mio padre! Era così coinvolto in quello che faceva, laddove mio padre è sostanzialmente un uomo del suo tempo, se capisci cosa intendo. Considera che allora Daevid era sulla settantina e lì pensai: “questo è quello che voglio fare, nella mia vita. A settant’anni voglio ancora suonare dal vivo e tirar fuori idee nuove”! A quel punto della sua vita macinava ancora riff e idee brillanti, e lo avrebbe fatto fino alla fine. Una fonte di ispirazione incredibile, quella che si viveva dividendo l’appartamento in Brasile, con lui che si svegliava e faceva i suoi esercizi mattutini, sempre e comunque coinvolto in ciò che faceva. Pensa dunque come poteva essere suonarci insieme: da musicista era il tipo che improvvisava molto e non sempre le sue improvvisazioni approdavano a qualcosa, ma quando approdavano… ero a due metri da lui e tirava fuori questi assoli selvaggi che aprivano un portale verso un punto remoto dell’universo, seguendo un percorso totalmente inatteso! Come ho detto, non sempre funzionava, ma quando funzionava era meraviglioso!”
Impressionante, concordo. Volevo chiederti qualcosa sulla storia di questa band… appena ho detto in redazione che avrei intervistato i Gong, uno dei colleghi [il buon Roberto Villani, NdR] ha detto: “Ah, i Gong, ricordo quando leggevo di loro su Ciao 2001 (una delle prime riviste specializzate operanti in Italia!”. A questo proposito, qual è il tuo rapporto con la stampa specializzata? Immagino tu abbia a che fare spesso con essa, in occasione dell’uscita di recensioni, reportage da vivo o articoli retrospettivi?
“Direi che ho un buon rapporto, abbiamo sempre avuto recensioni molto buone, anche se a volte tendo a prenderle con le pinze. Sai, siamo in una posizione tale per cui ogni volta che pubblichiamo un disco nuovo, e lo pubblichiamo ogni tre o quattro anni, anni trascorsi insieme a suonare in giro per il mondo o a scrivere materiale nuovo. Dicevo, ogni volta che esce n disco nuovo ed escono le recensioni si entra in quel loop per cui si deve “giustificare” il lavoro in sé, il fatto che non ci siano membri originali nel gruppo e cose del genere. Ormai ci ho fatto il callo e me lo aspetto, anche perché non conosco altri gruppi che scrivono nuova musica sotto il nome di un gruppo a suo modo “storico” il cui nome richiami appunto una determinata storia. Molta stampa batte su questo punto ed è comprensibile, ma devo dire che in genere la gente ha molto rispetto di ciò che facciamo ed è molto gentile. Poi, capisco che voi avete il vostro lavoro da fare e che è impossibile non confrontare quello che facciamo ora con quello da cui veniamo, per cui… va bene così.”
Personalmente, ascoltando ‘Unending Ascending’ mi sono detto: “è un gruppo che fa musica e questo è il loro disco”, stop. Anche perché siete sostanzialmente un collettivo, più che un gruppo in senso stretto, e questa è probabilmente la chiave di lettura più giusta. Sarà anche perché non sono mai stato un fan sfegatato dei Gong come ad esempio posso essere un fan dei Black Sabbath, anche se nel loro caso sono decisamente indulgente, se c’è Iommi in formazione…
“Ecco, questo è un ottimo esempio! Per me i Black Sabbath sono quelli con Ozzy, i primi otto album, con i favolosi testi di Geezer Butler! Vedi? Su quello non posso transigere…”
Parliamo di un periodo fondamentale dei Gong, quello della cosiddetta ‘Radio Gnome Invisible Trilogy’. Qual è secondo te il lascito più importante di quella fase della band? Parlo della sua importanza nella storia della musica, non tanto della ricezione personale…
“Non posso dire nulla in merito all’importanza di un disco, non sono nessuno per decidere cosa sia rilevante e cosa non lo sia. In fondo… chi lo dice? Di sicuro, per me si tratta di grandi album, assieme al primo e a ‘Camembert Electrique’. Sono lavori che hanno acceso davvero qualcosa in me e che mi hanno influenzato a fondo, anche prima che divenissi un membro della band. Prima dicevi di non essere un fan sfegatato dei Gong: non lo sono neanche io, e forse è stato meglio così in vista del fatto che Daevid mi abbia chiesto di unirmi alla band e poi di prenderne le redini, pensando che io fossi la persona giusta per farlo. In ogni caso, ho sempre amato la sua musica e la mitologia da lui creata – e la ‘Radio Gnome Invisible Trilogy’ è a tutti gli effetti parte di quella mitologia – quindi, al di là di tutto, credo fermamente che possiamo tracciare una linea di continuità tra il passato e il presente dei Gong.”
Pensate di pubblicare dischi dal vivo nell’immediato futuro?
“Beh, ne abbiamo fatto uno di recente, ‘Pulsing Signals’, riferito al tour che abbiamo fatto prima del lockdown. In quell’occasione, avevamo registrato tutti gli shows e quindi il lockdown è stato l’occasione per far uscire il disco dal vivo, proprio perché non potevamo lavorare a uno in studio assieme. Quando prepariamo un album abbiamo bisogno di stare insieme e non ci piace lavorare a distanza, considera poi che con questa formazione abbiamo un chitarrista che vive in Brasile [Fabio Golfetti, NdR], mentre tutti noi siamo nel Regno Unito. È stato Dave [Sturt, NdR], il bassista, che si è preso la briga di ascoltare tutto il materiale registrato e ci ha detto che poteva venirne fuori un disco dal vivo. Si è occupato di assemblarne le varie parti, per così dire, e per il missaggio abbiamo impiegato lo stesso ragazzo che si occupa dei nostri dischi in studio. Perciò non credo che pubblicheremo un live a breve termine, non finché non abbiamo un set completamente nuovo da cui attingere.”
Anche perché, in una sfida ipotetica tra voi e i Grateful Dead non so chi vincerebbe: avete davvero tanti album dal vivo nella discografia!
“Eh sì, hai proprio ragione! Ecco, posso dire che sicuramente faremo uscire una serie di box riferiti al materiale registrato anni addietro, ci saranno ristampe dei live… cose così. Questo è quello che intendo per “collettivo”: all’opera su questo progetto riferito alle vecchie registrazioni ci sono le stesse persone che lavoravano per i Gong all’epoca, perciò come vedi siamo sempre una grande famiglia.”
Kavus, so che hai un passato da metalhead, dato che suonavi con questa band estrema tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, i Die Laughing. Cosa ricordi degli anni precedenti alla tua entrata nei Cardiacs?
“Beh, la forza propulsiva dietro quello ed altri progetti eravamo io e l’altro chitarrista, Dan Chudley. Le nostre influenze comprendevano Slayer, Black Sabbath, Metallica, Coroner, Celtic Frost (di cui ero davvero innamorato). Per non parlare poi dell’amore per i Voivod, che penso sia restrittivo considerare semplicemente metal, per Zappa e per gli stessi Cardiacs e i Gong. Certo, non tutti condividevano questa gamma di influenze.. dopo i Die Laughing, io e Dan creammo un’altra band a Londra, gli Authority, che ebbero maggior successo. Posso dire che sono davvero fiero di essere stato parte di quella scena: tutto l’impegno nell’organizzazione dei concerti, stampare i flyers e realizzare una fanzine da distribuire ai concerti, che dava spazio sia ai Carcass che ai Naked City di John Zorn, che agli Ozric Tentacles. Probabilmente in quell’occasione ho imparato tutto ciò che dovevo imparare, da teenager. Aggiungo che la scena metal è fantastica, e non ho mai smesso di amarla, laddove la gente tende a guardare questo genere dall’alto verso il basso. E allora, sai che ti dico? Che si fottano… la musica è musica. Ciò che amo del metal è che non c’è spazio per atteggiamenti ironici e distaccati: devi essere davvero limpido e sincero per starci “dentro”. Se cerchi di prendere in giro la gente con atteggiamenti scherzosi e con ironia distaccata, ti scoprono subito. Un’altra cosa che mi piace del metal è la disciplina. Intendo, prendi cose come quelle dei Celtic Frost: Tom G. Warrior ha un’attitudine pazzesca, sia nei suoi riff immortali che negli assoli caotici che propone. Ecco, questo è il metal: la gente che lo suona ci crede davvero e io stesso non ho mai smesso di mettere il massimo di me stesso in ogni cosa che ho fatto. Sembra quasi un cliché, ma non è così: la cosa fondamentale è mettere il cento per cento in ogni cosa che si fa.”
Hai citato i Voivod e non ho potuto fare a meno di notare come la copertina di ‘Omnigod’, il primo demo dei Die Laughing, sembri molto influenzata dallo stile di Michel “Away” Langevin…
“Sì, ne sono un grande fan. E poi, amo quei gruppi dove c’è qualcuno che sia un artista, in senso stretto. Lui è anche un grande cartoonist…”
Personalmente, amo il fatto che non si siano persi d’animo dopo la morte di Piggy e che siano tornati con ancora maggiore determinazione con Chewy alla chitarra…
“Chewy è un mio amico, nonché un grande fan dei Cardiacs. Quello che mi piace nel suo stile sono le influenze di Holdsworth, e la cosa curiosa è che Holdsworth ha fatto parte degli Gong negli anni Settanta! Sì, quanto è piccolo il mondo, anche quello della musica! È da un po’ che ci pensiamo e che ci sono contatti tra Voivod e Gong per suonare insieme dal vivo [non posso reprimere un moto di soddisfazione e commozione, NdR], visto che siamo entrambi grandi fan l’uno dell’altro! Non so se realizzeremo mai questa cosa, ma è da un po’ di anni che ne parliamo e sarebbe bello fare un tour insieme!”
La prima volta che li ho visti ho pensato appunto che sarebbe stato perfetto godermi il concerto seduto in un teatro, e magari sarà la volta buona!
“Se ci pensi è del tutto fattibile, perché i Voivod si stanno avvicinando sempre più al progressive e alla psichedelia, mentre i Gong stanno diventando più pesanti!”
A noi critici piace giocare con le definizioni, quindi parliamo di neoprog e prog contemporaneo a seconda delle epoche… a questo proposito, qual è la tua opinione su Steven Wilson e sui Porcupine Tree?
“Non è un genere che conosco bene, né che ascolto, ma devo dire che lui è una forza della natura, ambizioso e gran lavoratore com’è. Solo che non si tratta del mio genere, ecco tutto.”
Quando si parla della storia dei Gong l’elemento progressive viene spesso accostato a quello space rock e al Canterbury sound: c’è ancora spazio per il Canterbury al giorno d’oggi, secondo te?
“Per tutti noi il Canterbury sound è una grande influenza: è materialmente nel DNA mio e di Fabio, l’altro chitarrista, cresciuti come siamo a suon di Henry Cow, Gong, Hatfield and the North…”
Camel?
“Sì, ma neanche tanto… sono sempre stato più per Hatfield and the North, Matching Mole e anche per i Soft Machine, in seconda battuta. Ma se prendi gli Henry Cow hai proprio l’impressione di quelle scelte melodiche senza tempo. Ecco perché mi sento ancora parte di quella scena, come membro dei Gong.”
Cosa puoi dirci dell’imminente tour britannico con gli Ozric Tentacles?
“Siamo stati in tour insieme l’anno scorso, anche se in posti diversi da quelli previsti per il prossimo giro di concerti, ed è andato tutto bene. La prima volta che ho visto gli Ozric Tentacles avevo diciassette anni, aprivano per gli Hawkwind e avevano da poco fatto il primo album. E poi Ed Wynne è uno dei miei chitarristi solisti preferiti! Ci abbiamo suonato insieme anche nel 2019, se non sbaglio, e vederli suonare, vederlo suonare ogni sera è stato un onore, per me. Non mi stancherei mai di ascoltarlo! È un vero e proprio maestro.”
Ci sono programmi per date future in Italia?
“Tutti noi speriamo di poter annunciare qualcosa al più presto: l’anno scorso abbiamo partecipato a due grandi festival, di cui uno a Veruno [in provincia di Novara, NdR] chiamato 2 Days Prog + 1 e un altro a Porretta Terme, favoloso anche quello [il Porretta Prog Festival, NdR]. Speriamo proprio di riuscire a tornare l’anno prossimo!”