Within Temptation – Sound of freedom
Il 09/11/2023, di Fabio Magliano.
Il ritorno dei Within Temptation è di quelli destinati a far parlare. Prima di tutto perchè la band olandese che viaggia spedita verso i 30 anni di carriera, con oltre 3,5 milioni di copie in tutto il mondo non è più da considerare un semplice outsider ma una stella di prima grandezza nel panorama metal internazionale. Poi perchè ‘Bleed Out’, il primo disco dei “nostri” da quattro anni a questa parte (LA RECENSIONE QUI) lascia definitivamente da parte quel metal sinfonico che aveva reso celebre la band, spingendola verso nuovi orizzonti più moderni, per una svolta destinata a dividere pubblico e critica. Ma soprattutto perchè il nuovo arrivato è un disco decisamente impegnato, nel quale temi come guerra, diritti umani violati, discriminazione… sono all’ordine del giorno, trattati a viso aperto incuranti di chi ancora crede che la musica debba essere un mero svago e non strumento di sensibilizzazione. Tanta carne al fuoco, quindi, ecco perchè nella mezz’ora a nostra disposizione con la sempre disponibile Sharon Den Adel la banalità non è mai stata di casa.
In passato i vostri dischi contenevano brani che trattavano temi come la guerra o i diritti umani, inseriti però in un contesto più vario e magari più leggero. ‘Bleed Out’ è invece un lavoro totalmente impegnato, quasi aveste voluto focalizzare tutta l’attenzione sulle magagne di questa società sgangherata. Come mai questa urgenza? Forse perchè la misura è colma e avevate bisogno di riversare tutta la rabbia nella musica?
“(Sharon Den Adel) No, non credo, penso sia un processo inconscio, non c’è stato mai nulla di ragionato alla base. Voglio dire, non ci siamo mai trovati a dire: ‘dobbiamo scrivere una canzone che parli della guerra perchè è l’argomento del momento!’, scriviamo e basta, basandoci su quello che c’è attorno e che ci colpisce. Sicuramente attorno a noi accadono cose che non possono lasciarti indifferente, quindi forse da un punto di vista psicologico siamo più ricettivi verso questi argomenti e viene naturale canalizzarli in una canzone, però non vi è nulla di ragionato, è tutto estremamente naturale e fluido. Sul discorso dell’album totalmente impegnato non sono completamente d’accordo, perchè dal mio punto di vista è un disco dai due volti, con un brano come ‘Ritual’ a fare da spartiacque. Ci sono le prime canzoni che parlano di attualità, hanno riferimenti politici, trattano di cose che accadono nel mondo e con le quali ognuno di noi deve avere a che fare. Poi ci sono le ultime canzoni che sono più personali, parlano di argomenti maggiormente legati alla società e a una sfera più intima”.
Rispetto ai lavori precedenti, il sound di questo disco è andato facendosi più oscuro e pesante. Pensi che sia perchè la musica deve supportare delle tematiche a loro volta decisamente pesanti, oppure rientra in una naturale evoluzione del vostro sound?
“Penso entrambe le cose. Si arriva ad un punto dove si sente l’esigenza di rompere un po’ gli schemi, di uscire dalla propria comfort zone e di addentrarsi in territori nuovi. Noi abbiamo iniziato a ascoltare musica più pesante e, di conseguenza, a scrivere musica più pesate. Poi, io credo che si cerchi sempre di fare andare di pari passo i testi dei brani con il sound della canzone, quindi viene naturale che, andando a trattare determinati argomenti il suono si indurisca e si incupisca come in questo caso. Inoltre con la nuova tecnologia siamo riusciti ad ottenere dei risultati che in passato non avremmo potuto fare, riuscendo in qualche modo a rendere ancora più stretto il legame tra l’argomento trattato nel pezzo e il mood…la mia voce, ad esempio, è sempre stata un problema per la scrittura delle canzoni, perchè io ho un range che è piuttosto ampio, però l’ho sempre dovuto limitare se avessi voluto mantenerla fresca. Oggi, con le nuove tecnologie, possiamo accordare ancora più in basso in modo che la mia voce possa salire senza perdere forza, ma in un modo ancora più etereo di come era prima”.
La realizzazione del disco ha richiesto parecchio tempo tanto che l’album precedente era uscito addirittura nel 2019 e dopo di esso sono stati pubblicati solo svariati singoli. In più il Covid, ritardi su ritardi, tour slittati più volte… Non è stato frustrante lavorare in questo modo? Non pensi che la Pandemia vi abbia condizionato oltremisura e che, forse, senza di essa il disco avrebbe suonato diversamente?
“No, affatto! La Pandemia ci ha dato solo il tempo di stare a casa e di concentrarci sulla composizione, quindi non è andata a influire sul nostro sound o sul nostro modo di fare musica. Piuttosto ha condizionato tutto il resto, perchè la realizzazione di ‘Bleed Out’ è stata più complessa del solito non tanto da un punto di vista del songwriting quanto per tutto quello che ci è successo nel mondo e che ha dilatato tremendamente i tempi di realizzazione del disco. Il planning originario era fare un tour con gli Evanescence in Europa e dato che ‘Resist’ era già uscito da un po’ volevamo scrivere musica nuova in tour per poter portare ai nostri fan qualcosa di fresco. Poi è arrivata la pandemia e ci siamo trovati con un pugno di canzoni che non avremmo potuto suonare dal vivo, quindi abbiamo deciso di farli uscire come singoli, cosa che non avevamo mai fatto prima, almeno non con con questa cadenza. Poi il tour è stato rinviato altre quattro volte, e allora per non restare con le mani in mano abbiamo fatto buon viso a cattivo gioco e abbiamo continuato a scrivere sfruttando i mesi di inattività forzata, poi dopo che, finalmente, siamo andati in tour abbiamo ultimato la scrittura e in poche settimane abbiamo concluso tutto. I singoli sono stati utili più che altro per mantenere alto il livello di attenzione dei nostri fan. La Pandemia sicuramente è stata di ispirazione perchè ha apportato grandi cambiamenti alla società moderna e questi inevitabilmente sono andati a toccare anche noi. Poi abbiamo visto scoppiare la guerra in Ucraina e questa cosa ci ha spiazzati perchè, dopo la Seconda Guerra Mondiale, non avremmo mai pensato che potesse succedere di nuovo. La Russia è una superpotenza, e vederla aggredire l’Ucraina in questo modo ci ha scioccati. Vedi, ci sono conflitti che ci sono da sempre, come quello tra Israeliani e Palestinesi, talmente lunghi che non sai neppure come siano iniziati. Ma qui è ben chiaro chi fosse l’aggressore e chi l’aggredito, e poi è maledettamente vicino a noi… Kiev è lontana due ore e mezza da noi, ci abbiamo suonato un sacco di volte e al pensiero che, mentre noi siamo qui a parlare tranquillamente, loro stanno combattendo una battaglia, stanno morendo e sono in inferiorità numerica rispetto ai russi, mi devasta. Per questo abbiamo sentito il bisogno di sostenerli in qualche modo”
Ma in che modo trattate un tema delicato come quello della guerra nei brani che componete? Vi ponete come semplici, freddi narratori, vi schierate prendendo posizione e esprimendo un giudizio o cercate di infondere speranza magari tramettendo il messaggio che alla fine andrà tutto bene?
“Noi solitamente ci poniamo dalla parte degli storyteller, narriamo della guerra ma ci rendiamo conto che questo è un tema troppo delicato per poterne rimanere neutrali. C’è gente che ci ha anche criticato per questo perchè si pensa che la politica non debba entrare nella musica, ma io non sono d’accordo. Siamo in democrazia non è vero? Quindi siamo liberi di esprimere le nostre idee come crediamo, nel rispetto di tutti. Anche perchè se guardiamo alla storia, le guerre iniziano con la propaganda e poi si allargano a macchia d’olio…e questa è la storia che si ripete. Come dicevo prima, per noi è impossibile rimanere neutrali in questo argomento, perchè in passato siamo stati sia in Russia che in Ucraina, abbiamo incontrato tante belle persone e siamo dispiaciuti per quello che sta accadendo. Non comprendiamo questa guerra, pensiamo che sia ingiustificata, quindi non la sosteniamo, ma di riflesso sosteniamo l’Ucraina. Lo abbiamo sempre fatto, anche nel nostro ultimo tour quando abbiamo portato la loro bandiera sul palco durante ‘Raise Your Banner’. Credo in tutta onestà che questo sia un atto di coraggio, perchè c’è una linea sottile tra l’essere solo un musicista e essere un musicista che racconta qualcosa e ha il potere di influenzare in qualche modo le altre persone. Certo, non pensiamo di poter smuovere le montagne, però possiamo fare il nostro. Non ci reputiamo degli attivisti, piuttosto dei cantastorie, come quei bardi che centinaia di anni fa cantavano e raccontavano storie per far si che la gente potesse sapere cosa stava accadendo nel mondo. Noi stiamo solo narrando l’attualità cercando di mantenere vivo l’argomento perchè con il silenzio si finisce per dimenticare, invece mai come oggi è importante tenere le antenne dritte, perchè il conflitto è più vicino di quanto si possa immaginare”.
Il fatto di essere una musicista che ha girato per il mondo ma, soprattutto, avere una storia personale alle spalle che ti ha portato a vivere in diversi angoli del Globo, pensi ti abbia condizionato al momento della scrittura? Voglio dire, non parli di realtà viste solo alla televisione ma hai vissuto quei luoghi, quei popoli in prima persona…
“Hai assolutamente ragione. Quando sei stato in quel Paese e hai incontrato delle persone tutto cambia. Noi non ci siamo limitati a suonare in Ucraina, abbiamo incontrato i fan, ci siamo fermati a parlarci, li abbiamo conosciuti. A volte esci dal locale e ti fermi a parlare con loro, crei un rapporto che va oltre a quello musicista/fan. Io so qual è il loro background, quali sono i loro problemi. È più facile parlare con loro, più facile che con qualcun altro. Nel corso degli anni mi sono tenuta in contatto con alcuni di essi, non dico che siano diventati amici ma mi sentivo in sintonia con loro, ci parlavo e avevo un bel confronto. E quando si viaggia, la maggior parte delle volte si è con un gruppo compatto, al massimo 30 persone, quindi è bello parlare con qualcun altro con cui non si è quotidianamente in contatto. È bello comunicare con le persone. E poi si ottiene un quadro più colorato di ciò che sta accadendo in un certo Paese, perché si parla di politica, di vita quotidiana, ma di ogni genere di cose. Ma non solo. Come hai detto tu, ho anche vissuto in diversi Paesi, e ne ho visitati molti quando ero molto giovane, ho persino vissuto nello Yemen e questo fa si che conosca bene la cultura di quei luoghi e che quando scriva di determinati luoghi vada a toccare un che di personale per me”.
In ‘Ritual’, con il suo bellissimo video, invece, trattate un tema delicato come quello della donna vista come semplice oggetto sessuale da parte degli uomini. Ma è davvero ancora così? Pensi davvero che la figura della donna non si sia evoluta nel corso degli anni?
“Dipende da che parte del mondo vivi. Purtroppo ci sono Paesi nei quali i diritti delle donne vengono negati completamente e sì, la donna viene considerata meno che un oggetto e la cosa, come è comprensibile, mi tocca molto nel profondo. Abbiamo parlato delle donne che combattono per i propri diritti anche nella title track, ispirata alla morte di Masha Amini in Iran, arrestata e poi morta in circostante misteriose per non aver indossato correttamente il velo. In ‘Ritual’ il tema della condizione della donna non è però così preponderante, è più che altro uno spunto per pubblicare un brano e un video che ci frullavano in testa da tempo. ‘Ritual’ è stata composta oltre cinque anni fa, però non riuscivamo a trovare la sua giusta collocazione perchè non andava bene nè per ‘Resist’, nè per il mio progetto solista. Con il tempo, però, è mutata, si è evoluta, è diventata più pesante sia nelle chitarre che nel basso. In alcuni frangenti il sound mi ricorda qualcosa dei Type O Negative… Alla base è un brano divertente, nato dalla visione del film di Quentin Tarantino ‘Dal Tramonto all’Alba’, un film pazzesco che quando uscì fu etichettato come rivoluzionario. Non so se lo hai presente, ma parte come un normale road movie poi, ad un certo punto, la storia cambia completamente e diventa tutto un altro film…con quelle donne che inizialmente parevano vittime e alla fine diventano dei vampiri e prendono a calci in culo gli uomini (ride Nda). Quando lo abbiamo visto eravamo tutti spiazzati perchè non ci aspettavamo un’evoluzione della storia come quella, quindi abbiamo pensato che avremmo potuto usare lo stesso stratagemma anche per il nostro disco. Questo è un album molto pesante sia dal punto di vista dei testi che delle emozioni, e una canzone che rompesse l’equilibrio portando una boccata d’aria fresca poteva starci bene. ‘Ritual’ è un brano di rottura, quello che cambia le carte in tavola…”
Come ti senti quando scrivi e canti di problemi così opprimenti come la guerra, la violazione dei diritti umani, la discriminazione raziale…? Pensi possa essere in qualche modo terapeutico riversare tutta la rabbia che questi temi provocano in noi in una canzone, facendo diventare la musica un’ottima valvola di sfogo?
“Si, assolutamente, scrivere aiuta un po’, indubbiamente. Il motivo per il quale scriviamo è soprattutto quello di affrontare la nostra frustrazione, il dolore che leggiamo sui volti delle persone che vivono sulla loro pelle questi drammi. Quando leggi storie o parli con persone che sono state davvero lì, che hanno vissuto quelle cose, che magari sono fuggite dal conflitto in Ucraina lasciando però i loro cari nel loro Paese, o che hanno vissuto sotto una dittatura…senti tutto più vicino a te, come se il loro dramma fosse il tuo. E poco per volta senti le storie che cominciano a crescere nella tua testa, poi fluisce la musica e quasi senza accorgertene ti trovi una canzone per le mani. Ti assicuro che non volevamo scrivere una canzone sul conflitto in Ucraina, e neppure sul dramma di Masha Amini… sono venute fuori così”
Per il video di ‘Ritual’, così come per quello di ‘Wireless’ e di ‘Bleed Out’ avete utilizzato l’Intelligenza Artificiale, uno strumento che sicuramente ha rivoluzionato la nostra quotidianità sotto diversi punti di vista ma che non è stato esente da critiche e polemiche…
“Io credo che sia importante adattarsi al cambiamento, anche se questo fa paura. Mi rendo conto che l’AI possa generare timore, soprattutto in chi non la comprende, però il mio invito è quello di guardare oltre… anche al tempo della rivoluzione industriale si creò scompiglio perchè le macchine erano andate a sostituire gli uomini nelle fabbriche, poi con il tempo finirono per crearsi nuove figure lavorative e nuovi posti di lavoro… stava tutto nel sapersi adattare. La novità fa sempre paura, perchè quello che implica cambiamento fa paura. Le persone non vogliono cambiare, vogliono stare nella loro comfort zone, vogliono mantenere tutto uguale…E io lo comprendo perchè questo può fare paura, soprattutto se usato in modo sbagliato. Per questo credo che sia necessario fare una legislazione che metta paletti e detti regole su come operare con la AI ma soprattutto per tutelare chi vede la propria professionalità messa a repentaglio da questa app, mi viene da pensare agli sceneggiatori di Hollywood… Dal mio punto di vista le nuove tecnologie hanno i loro lati positivi e quelli negativi. Come Within Temptation posso dire che abbiamo sempre lavorato con lo stesso numero di persone. Abbiamo filmato la band, abbiamo usato un direttore della troupe, uno sceneggiatore…e poi abbiamo inserito nel team un esperto di AI. Quando abbiamo realizzato il video di ‘Bleed Out’ ci abbiamo lavorato un mese e mezzo per ottenere il risultato che potete vedere tutti, un tempo lunghissimo se paragonato ai nostri standard, però c’è voluto tempo per sincronizzare al meglio le labbra e evitare immagini che non ci piacevano. In quello di ‘Wireless’ invece le cose non sono andate come avremmo voluto, c’è la storia fatta con l’AI ma non c’è la band e il risultato finale in alcuni passaggi è alquanto comico, con gli elmetti dei soldati che si trasformano in una sorta di funghi… ma noi questo non potevamo cambiarlo perchè l’AI non si può cambiare così facilmente… ci va un grande lavoro umano dietro, non è tutto così facile come si pensa. Per realizzare questi video ci abbiamo messo molto più tempo rispetto a un video normale, però questa è la nuova tecnologia, questa è l’attualità e il futuro ed era giusto che iniziassimo a prendere confidenza anche noi con questa realtà”.
Tu sei mamma, e uno dei problemi gravi della società moderna è quello del bullismo, sia questo fisico, verbale o online. Come ti poni verso questa piaga che colpisce sempre di più i nostri figli?
“E’ un problema che sento molto e che mi tocca profondamente anche perchè io stessa da giovane sono stata presa di mira per il mio modo di essere. Ricordo tempo fa di aver letto una notizia che mi aveva colpito moltissimo, un autentico pugno nello stomaco. Si parlava di una ragazza inglese uccisa da due ragazzini semplicemente perchè, nata maschio, aveva deciso di avviare la sua transizione cominciando a vivere come una ragazza. Questa sua decisione, la semplice libertà di voler essere se stessa, l’aveva resa bersaglio di vessazioni e atti di bullismo in una terribile escalation di violenza che l’ha portata alla morte. Questa cosa mi ha fatto riflettere, mi ha fatto pensare a quando ero giovane e in alcuni momenti mi sentivo inadeguata, quasi costretta a essere una persona che non ero pur di uniformarmi, di piacere agli altri. Poi ho realizzato che io non potevo essere la persona che volevano gli altri, perchè dovevo andare contro a quella che era la mia natura. Io volevo solamente essere me stessa, vestire come volevo, pettinarmi come volevo, ascoltare la musica che mi piaceva e stare nel posto in cui volevo stare. E sono cresciuta molto quando ho iniziato a seguire la mia strada senza ascoltare le altre persone e senza dover per forza fare qualcosa per compiacere agli altri e per uniformarmi alla massa. Purtroppo non tutti hanno la forza o la possibilità di fare questo passo, in alcuni Paesi emanciparsi, andare contro determinati dogmi culturali o religiosi, è impossibile e può avere conseguenze tragiche”.
In conclusione, nel 2024 vi imbarcherete in un lungo tour che vi porterà anche in Italia per una data all’Alcatraz a dicembre. L’ultima volta che siete venuti da noi è stata insieme agli Evanescence per un concerto davvero intenso ed emozionante. Puoi anticiparci qualcosa su quanto andremo a vedere?
“Hai ragione, quello con gli Evanescence è stato un tour davvero intenso. Sarà che a causa del Covid è stato rinviato più volte, ma quando siamo finalmente riusciti a tornare a suonare dal vivo è stata un’emozione fortissima, un che di liberatorio e credo che lo si sia percepito anche dal pubblico. Anche perchè il bisogno di tornare alla normalità era reciproco quindi il modo di vivere il concerto è stato più intenso da ambo le parti. Da sempre il live è un discorso di dare/avere, di reciproco scambio di energia ma questa volta il tutto è stato amplificato all’ennesima potenza. Per quanto riguarda il nuovo tour non posso ancora dirti nulla, ma non è per fare la preziosa, è che non sappiamo neppure noi cosa ci aspetterà. In queste settimane siamo stati tutti concentrati sulla promozione del disco e non abbiamo ancora avuto tempo di dedicarci alla pianificazione dei live. Cosa posso dirti è che il tour si svolgerà sia in grandi palazzetti che in locali più piccoli, quindi dobbiamo studiare uno show che non penalizzi nessuna delle due realtà. Non vogliamo fare un palco ridotto per i club e uno più grande per le arene, vogliamo offrire a tutti il medesimo show e quindi dovremo studiare una soluzione che accontenti tutti, non sarà facile ma vogliamo portare un concerto spettacolare, con i nostri effetti e le nostre scenografie per non deludere nessuno”.