Rusty Wounds – Cover me
Il 06/07/2023, di Gianfranco Monese.
Lo scorso 20 aprile, il frontman dei Klogr Gabriele “Rusty” Rustichelli ha pubblicato, sotto veste solista, un EP di cover dal titolo ‘Genetic Code’, rivisitando brani famosi che tutti, in vita, abbiamo ascoltato almeno una volta. E noi di Metal Hammer Italia, dopo aver recensito il disco, abbiamo raggiunto il frontman e, tramite videochiamata, ci siamo fatti svelare qualche curiosità sulla nascita dei Rusty Wounds, oltre a qualche retroscena riguardo quanto da poco prodotto, con un occhio sempre indirizzato verso l’imminente futuro…
Ciao Rusty, grazie della tua disponibilità e benvenuto a Metal Hammer Italia: come stai innanzitutto?
“Grazie mille a voi per il tempo e lo spazio, sto abbastanza bene, stiamo cercando di portare a termine qualche progetto rimasto in sospeso durante la pandemia: siamo pieni di lavoro e abbastanza sereni.”
Vorresti presentarti ai nostri lettori?
“Dunque, io parto dai Klogr, progetto alternative metal nato nel 2011, dopo qualche anno passato con una band alternative/indie con testi in italiano, che non ebbe molto spazio molto probabilmente anche in quanto parecchio acerba. Con i Klogr, invece, siamo partiti nel 2011 e, ad oggi, abbiamo pubblicato due EP e tre album, nonchè abbiamo intrapreso dei tour europei, quindi diciamo che con i miei anni alle spalle, dato che non sono proprio giovanissimo, abbiamo girato un po’ l’Europa e fatto diversi live anche in Italia, soprattutto in apertura a band internazionali. Sotto pandemia invece, causa reclusione quasi forzata, dopo dieci anni di dedizione ai Klogr è nato il progetto Rusty Wounds, per il quale mi sono tolto lo sfizio di arrangiare delle cover e di presentarle al pubblico sotto forma sia di EP che di video. Stiamo infatti facendo uscire settimanalmente dei video, di quella che poi potrà essere la visione dello spettacolo di questo progetto. Personalmente, nasco come chitarrista e successivamente come cantante, ma principalmente come produttore dato che lo Zeta Factory, ovvero uno studio sito a Carpi, vicino Modena, è di mia proprietà. Da lì nasce, diciamo, un circuito di band pubblicate sia per Zeta Factory che per altri progetti, e la cosa bella che è stata fatta nel tempo, è che esso è diventato uno “studio aperto”, nel senso che è ad utilizzo di diversi produttori che vanno dal pop al metal più estremo.”
Il 20 aprile è uscito l’EP di cover ‘Genetic Code’. Come mai hai optato per un’uscita da solista?
“Innanzitutto il genere qui proposto è un po’ più alternative, e prevede anche delle sonorità acustiche, fatto questo che non rientra nello spettro sonoro dei Klogr, band principalmente metal, che nonostante abbia dei richiami al post grunge, tolta qualche chitarra pulita non si è mai permessa di uscire molto da quel campo. Quindi da lì è nata la necessità di dividere i due progetti, innanzitutto perchè i Klogr, ad oggi, sono una band che nel 90% dei casi lavora all’estero, a causa di un genere che in Italia non sopravvive. Può sembrare egocentrico, ma fare dei concerti davanti a dieci persone, spesso è pesante come situazione, dato anche lo sforzo organizzativo non indifferente che vi è alle spalle. Quindi, se non c’è una situazione adatta, dopo dodici o tredici anni di carriera, si va a finire in un circuito dove quel materiale ha del pubblico.”
Ti capisco, è il classico problema italiano che c’è da sempre e sempre ci sarà, per quanto concerne questo genere musicale…
“Guarda, noi abbiamo aperto ai Puddle Of Mudd e ai Limp Bizkit, ad esempio, dove c’è stata un’ovazione che mai mi sarei aspettato per una band di apertura ad un gruppo americano: questo ti fa capire che se il contesto è giusto, anche le band italiane possono essere apprezzate. Il problema è sfondare la prima parte di “apatia”, chiamiamola così, dove vai a vedere un gruppo esclusivamente italiano: se non sei lì per un altro motivo, è difficile che lo fai.”
Esatto: qui da noi, per quanto concerne il versante metal, ci si muove per i nomi grossi. Ricordo con piacere, dato quanto hai appena detto, che nel 2010 a Codroipo, gli italiani Labyrinth fecero furore aprendo per gli Iron Maiden. Ma, come appunto hai accennato, o ci si muove per il nome grosso, oppure è molto dura farlo per il nome italiano piccolo, e spesso lo si fa perchè si conosce qualche membro della band. Cosa ben diversa dall’Inghilterra dove, ad esempio, la gente ben volentieri spende qualche sterlina per uscire e vedere una band anche sconosciuta.
“Ti rubo due minuti su questo tema perchè è molto interessante: ci sono due aspetti. Il primo è la pigrizia del nostro popolo, nel senso che noi ceniamo molto tardi, alzandoci da tavola anche alle 23, a concerti ormai terminati, quindi non è proprio nel nostro DNA. All’opposto, è anche vero che spesso e volentieri, se vai a vedere dieci concerti di queste piccole band italiane, otto non sono poi questo granchè. Quindi, se già non hai tutta questa disponibilità economica che ti permette di uscire sei sere la settimana, è chiaro che inizi a fare una cernita, e la cernita ti porta a uscire una volta per il nome grosso, augurandoti di trovare una buona band di supporto selezionata da terzi. In Inghilterra, in Germania ed in altre nazioni esiste il fatto che le persone escono alle 5 del pomeriggio dal lavoro e vanno automaticamente fuori, rientrando a casa verso le 22 avendo cenato con un panino. Noi siamo più casalinghi, andiamo a cena dalla mamma, e questo ci porta a non uscire tutte le sere, oltre al fatto che il tutto ha un costo che attualmente facciamo fatica a sostenere, in quanto non è che si hanno degli stipendi così alti. Quindi, credo che ci siano diversi fattori che fanno si che purtroppo il circuito italiano indipendente, quello appunto più piccolo, pur essendo di valore, in quanto contiene parecchie band davvero interessanti, non riesce ad emergere. Questo è stato il motivo per il quale sono uscito con questo progetto di cover da nome solista, offrendo un prodotto che ahimè, o per fortuna, adesso non te lo so dire, è un po’ più d’utilizzo nel pub o locale “normale”, nel quale poter offrire uno show diverso dagli altri.”
Ti va di presentare chi ha reso assieme a te possibile tutto questo, ovvero gli altri componenti della band?
“Paradossalmente mi sono trovato un compagno di viaggio dei Klogr, in quanto il batterista Filippo De Pietri fa parte anche di quella formazione. Poi c’è Lorenzo Iotti alla chitarra, persona che ha collaborato con me ad un progetto post grunge chiamato Select Car Crash, nel quale io avevo iniziato a suonare e lui, per un periodo, a causa di altri miei impegni mi ha dovuto sostituire. Da lì è nata un’amicizia per cui, quando è nato questo progetto solista, è stato chiamato all’ordine. Il bassista è invece Luca Marchi, sempre delle nostre zone: è un turnista di alto livello, è un professionista, tant’è che attualmente è in tour con un artista italiano da palazzetti, quindi il suo lavoro principale è quello. ‘Genetic Code’ è stato registrato dal sottoscritto e prodotto assieme a Federico Ascani, un produttore a 360° che gravita attorno allo Zeta Factory e che ha prodotto tantissimi nomi anche della scena alternative metal italiana.”
Com’è avvenuta la scelta delle cover? Ti sei confrontato con qualcuno, o hai fatto tutto da solo?
“Di base, durante la pandemia, a causa del poco “movimento” spesso mi ritrovavo con la chitarra acustica in mano, giusto per farmi una cantata, o studiare pezzi che ho ascoltato mille volte, ma che non ho mai approfondito. Da lì, avevo una manciata di brani che a me piaceva suonare sia per imparare un po’ le caratteristiche di chi li ha scritti, sia perchè con voce e chitarra uscivano bene, quindi da lì sono partite le prime cinque/sei canzoni. Dopodichè, per tutto quello che ne è seguito, come ad esempio una ‘Seven Nation Army’ piuttosto che ‘The Bitter End’, sono canzoni che, invece, mi sono e ci siamo immaginati di poter suonare in serate nelle quali si ha voglia di far festa, per le quali potevamo dare quel qualcosa in più. Quindi vi è una parte prettamente alternative e acustica, e una parte prettamente da “cagnara”.”
Dando una letta alla tracklist, i brani sono tutti degni di nota, molto conosciuti. Il tuo è stato un voler giocare sul sicuro? Non pensi che, forse, coverizzare qualche chicca o qualche brano sottovalutato, che magari conoscono in pochi, avrebbe potuto rendere ‘Genetic Code’ più intrigante?
“Probabilmente si, anche perchè sicuramente la chicca viene apprezzata di più dall’ascoltatore attento, mentre alcuni brani più mainstream vengono ascoltati anche dal distratto. Al di là del gusto personale, nel senso di metterci del mio e del nostro, il progetto aveva lo scopo di andare a prendere una fetta di mercato che ci permettesse di finire nei locali. Già abbiamo intrapreso una strada abbastanza complessa, in quanto non è il tributo ad una band specifica, ma del materiale particolare e riarrangiato, quindi avessimo fatto una scelta di scaletta ancora più particolare, praticamente saremmo finiti per suonare da soli in casa, perchè questo purtroppo è il mercato italiano. Quindi, è stato un bilanciare delle scelte, andando a contaminare dei brani già abbastanza conosciuti. In futuro, non è escluso che si possa andare a toccare qualcosa di un pò meno conosciuto e più di nicchia, per togliersi una soddisfazione più personale che di condivisione con il pubblico.”
Qual’è l’approccio tuo e della band su ogni cover? Come decidete di “lavorarla”?
“Di base, paradossalmente registriamo la cover così com’è, nella sua versione originale. La mettiamo sulle varie pro tools, sui vari software di programmazione e produzione, e su quella versione parte un mio personale viaggio di arrangiamento. Inizio ad aprire i miei vari sintentizzatori, gioco con suoni di chitarra un po’ più particolari, con filtri vari, e cambiando solamente i suoni della canzone, rispetto a quelli che sono i miei gusti personali di sonorità, inizio a darle una veste mia. Dopodichè, assieme al resto della band, si vede se andare a toccare anche la parte ritmica piuttosto che cambiare il groove, oppure rallentare o accelerare il pezzo.”
Personalmente, come da recensione del disco, gli album di cover convincono spesso a metà: si trovano delle ottime rivisitazioni, nonchè spunti, ma anche delle riproposizioni che non rendono pienamente giustizia alla versione originale: tu, non in quanto artista ma da fruitore, che pensiero hai sul territorio delle cover?
“Ci sono dei mostri sacri che hanno toccato delle cover in maniera folle, riuscendo a dare quel qualcosa in più alla cover stessa. Ad esempio, un brano che noi abbiamo riproposto come ‘Hurt’, la cui versione originale dei Nine Inch Nails è già di per sè molto bella, è stato reso immortale da Johnny Cash. Oppure, mi vengono in mente gli A Perfect Circle con ‘Imagine’: hanno rivisitato in minore una canzone speranzosa ma allo stesso tempo critica, rendendola cupa e triste e, a distanza di trenta/quarant’anni dalla scrittura dell’originale, molto concreta e pesante rispetto a quello che è lo stato attuale della società, e sicuramente come rivisitazione ha avuto poca visibilità. Personalmente, non sopporto le cover fotocopia: nelle tribute band, per quanto mi faccia piacere ascoltarle nei locali, non riuscirei mai a suonarci, nel senso che non è nelle mie corde vivere la vita artistica di un altro. Rispetto chi lo fa: guadagnano, fanno intrattenimento, ci sono sempre state ed è giusto che ci siano; tuttavia avendo sempre fatto musica inedita, credo che inserire del proprio e creare un pò di personalità in quello che ha fatto un altro, pur essendo una manovra difficile e rischiosa, sia comunque un modo per mettersi a nudo. Io non riuscire a fare in altri modi, non mi divertirei a fare una cover fotocopia: rispetto chi le fa, io non ne sarei in grado. Bisogna poi aggiungere, che ci vuole un pò di presunzione nel prendere un brano come ‘Like A Stone’ degli Audioslave e farne una propria versione. Ma d’altronde, dai solamente il tuo punto di vista, non si ha la pretesa di superare l’originale.”
Dato che in ‘Genetic Code’ hai omaggiato molti dei tuoi artisti preferiti, su quale album ti sarebbe piaciuto dare il tuo contributo? Ed al concerto di chi ti piacerebbe, o ti sarebbe piaciuto, fare da special guest?
“Santo Dio, qui la presunzione va a mille! (ride, ndr.) Posso dirti che una band che non ho ancora toccato come cover, anche se attualmente mi sto divertendo a suonare in acustico, sono i Tool. Per me sono una band dal punto di vista sonoro veramente particolare, che ha creato un mood tutto suo. Mi piacerebbe uscire a cena con Trent Reznor, non tanto collaborarci perchè non saprei cosa dirgli. In maniera un pò più umana e, se vogliamo, più fattibile, ho un grandissimo rispetto per il percorso dei Lacuna Coil: alcuni di loro li conosco, e sarebbe bello fare delle cose assieme. Mi sono trovato un paio di volte sul palco con il chitarrista Diego Cavallotti, per un evento che facciamo a Milano in memoria di un nostro amico fonico, e l’atmosfera è sempre stata bella. A me piace molto l’aspetto umano, non posso dire che mi piacerebbe fare un featuring con i Nine Inch Nails, anche perchè una volta entrato in studio magari ti accorgi che non sono le persone che ti immaginavi, e ti crolla un pò tutta la poesia, quindi non è tanto l’ego di essere lì con loro, quanto il viaggio interessante che ci può essere. Con Diego mi diverto sempre come uno scemo, per questo fare delle cose assieme sarebbe proprio bello. Ti faccio un esempio: con i Klogr abbiamo fatto un disco con un produttore internazionale, tale Dave Bottrill, che ha prodotto dischi di Godsmack, Tool, Placebo ed altri. Se non ci fosse stata l’interazione umana che si è creata prima, probabilmente fare un disco con lui solo per la fama del suo nome, non sarebbe stato così prezioso da un punto di vista di crescita.”
Ed ora, quali sono i tuoi prossimi impegni? Cosa riserva l’imminente futuro di Rusty?
“Con Rusty Wounds stiamo affrontando la parte live: sarà uno spettacolo particolare, che verrà arricchito da dei visual, ovvero immagini di nostra produzione, che si possono già vedere nei video che settimanalmente stiamo pubblicando, proiettate su schermi. Tutto lo spettacolo è sincronizzato da una programmazione luci da me ideata, ed è per quello che inizialmente ti ho parlato di uno show, e non di una classica cover band che si esibisce in un locale. Il nostro è uno spettacolo, che poi può piacere o meno, anche nella scelta dei brani, come sono stati riarrangiati, però anche in un locale piccolo uno entra ed assiste ad uno spettacolo, cosa personalmente fondamentale, perchè alcune band le puoi ascoltare anche con la sola luce bianca, ma come ad esempio i Rammstein insegnano, quando si ha uno spettacolo visivo e coinvolgente, si viene immersi nello show a 360°. Inoltre, stiamo terminando il nuovo album dei Klogr: abbiamo già pubblicato due singoli, in autunno probabilmente ne uscirà un altro, o un altro paio, e successivamente il disco. Speriamo in un tour invernale con i Klogr, ed anche in qualche data in giro per l’Italia con i Rusty Wounds.”
Bene Rusty, l’intervista è terminata. Ringraziandoti ancora per la tua disponibilità, se c’è qualcosa che vuoi aggiungere per i lettori di Metal Hammer Italia, questo spazio è tutto tuo!
“Io non posso fare altro che ringraziarvi innanzitutto per rimanere sempre sul pezzo, ed essere uno strumento di aggiornamento per i fan che sono ancora alla ricerca di nuova musica. Metal Hammer rimane una piattaforma e una rivista immortale, perchè esiste da quando avevo quattordici anni, e ti assicuro che è tanto tempo fa (ride, ndr.), quindi vi ringrazio davvero tanto per lo spazio e per il lavoro d’informazione che fate!”