Nanowar Of Steel – Metal Boomer Battalion
Il 15/05/2023, di Francesco Faniello.
Nell’imminenza del tour con i Frozen Crown che li avrebbe portati in giro per l’Europa avevamo fatto due chiacchiere con Mr. Baffo, uno dei due cantanti dei Nanowar Of Steel. Con il consueto spirito irriverente, ci ha raccontato avventure e disavventure di trent’anni di Nanowar, dell’annosa questione del divertimento associato al metal e del recentissimo ‘Dislike to False Metal’, un disco che vede la partecipazione di Madeleine Liljestam degli Eleine e Joakim Brodén dei Sabaton; il tutto in trepidante attesa del riscontro del tour europeo…
Allora, Mr. Baffo… come si arriva alla copertina della rivista patinata italiana di cui ovviamente non farò il nome per non fare pubblicità sulle nostre pagine?
“Beh, è una grande soddisfazione! Come ci si arriva… dopo vent’anni, se tutto va bene ci si arriva. Però dopo vent’anni, eh! Diciamo che è stato forse un percorso un po’ più “tosto”, perché forse avere credibilità per noi è stata un po’ più dura. Con il fatto che abbiamo insistito tanto con tutte le cose che abbiamo fatto e siamo rimasti presenti incessantemente e abbiamo dimostrato che quello che facciamo è quello che ci piace veramente fare, alla fine la gente si è accorta che la nostra è una realtà, e quindi non ci si può sottrarre dalla realtà – mettiamola così. Sennò… ci ha detto culo! Una delle due risposte, scegli tu.”
A questo punto le metto entrambe così allungo il brodo e il direttore è più contento! Devo dire che se io avessi proiettato questa intervista a due anni fa avrei pensato di doverla fare su “Cioè”, dato il successo di ‘Biancodolce’…
“Sarebbe stato bellissimo.”
Con ‘Biancodolce’ ce l’avevate quasi fatta, soprattutto nella versione loop e tutto il resto.
“Beh, però aspetta, vediamo che succede con ‘Protocols of the Elders of Zion of Love’. Vediamo se con quella usciamo su “Cioè”… sarebbe un grande traguardo.”
Ma… quello con ‘Formia’ e ‘Biancodolce’ diventerà tipo il vostro ‘Carnival of Souls’, il disco mai uscito dei Kiss? Un oggetto per collezionisti?
“Vediamo… vediamo se ci sarà un ‘Metropolis Pt. III’, non si può dire. Sai, molte decisioni che prendiamo noi sono guidate dall’istinto, quindi può darsi anche che uscirà qualcosa come una raccolta, forse magari non un CD fisico ma una raccolta… vediamo, ci dobbiamo ragionare perché fortunatamente di stronzate ce ne vengono in mente tante, quindi bisogna cominciare a catalogarle, è arrivato il momento di metterle in ordine.”
Siamo arrivati al ventennale della band, se non sbaglio. C’è anche in programma lo show speciale e tutto il resto. In effetti, il ricordo più “antico” che ho dei Nanowar risiede in ‘Master of Pizza’, jamme cumbà…
“E certo!”
Caa pummarola e nnu babbà. Se ci guardiamo un attimo indietro, un attimo che dura vent’anni… cosa è cambiato da allora a oggi?
“Essenzialmente, quello che non è cambiato è il cazzeggio. Quello che è cambiato è l’approccio al cazzeggio, cioè… le persone nel tempo si evolvono e noi – essendo cinque coglioni – ci evolviamo per quello che siamo, ossia cinque coglioni che si sono evoluti. Questo è…”
Poi c’è l’aspetto “visivo” che fa il suo, non perché sia stato modificato nel tempo ma perché probabilmente c’è stato quell’effetto ‘Hardwired… to Self-Destruct’, nel senso di puntare molto sul video, sia a livello degli estratti dall’album che di singoli sparsi. Avete conosciuto qualche film maker che avesse questa forte passione o c’è stata una propensione che è cresciuta nel tempo?
“Ma no, ripeto… siamo cresciuti noi in tutti i sensi, dalla scrittura della musica a come volevamo fare i video. Abbiamo cominciato facendo dei video molto semplici con Christian Ice, che ha collaborato con noi anche nell’ultimo album, e poi piano piano abbiamo voluto fare le cose giuste: siamo sotto un’etichetta, quindi facciamo dei video fatti bene. Abbiamo investito su di noi, abbiamo ampliato tutte le cose che stavamo facendo, a partire dalla qualità degli album fino alla qualità dei video. Siamo cresciuti a tutto tondo.”
Devo dire la verità, si è fatto un gran parlare del vostro rapporto con Giorgio Mastrota, che è nato probabilmente un po’ per caso finché su ‘Italian Folk Metal’ abbiamo visto la sua partecipazione a tutti gli effetti. Secondo me però si è parlato poco del verso fatto a Fabio Lione, che è sempre stato un po’ il “faro” di riferimento su alcune cose, a partire da ‘Rap-Sody’… voi come lo avete convinto a partecipare a Barbie, ‘MILF Princess of the Twilight’?
“Gli abbiamo sventolato in faccia i soldi. Li vuoi questi? Ehi, ti sto pagando… li vedi questi, li vuoi questi?
Ma qualcuno si è presentato anche con la catena da rapper in stile ‘Rap-Sody’?
“Assolutamente.”
E il pacchetto comprendeva anche il live, immagino…
“Sì, comprendeva anche quello, però diciamo che avremmo anche dovuto fare un video insieme, poi non si è più potuto fare per motivazioni legate ai tempi e ad altro.”
Ho capito: avete dovuto ripiegare su quella cosa in stile ‘Saw – L’Enigmista’, con lui che muove la bocca…
“Il fatto sai qual è? È che all’epoca avevamo tutte le idee giuste per i video, solo che non avevamo la forza economica per farli, perché comunque i video musicali hanno il loro costo, quindi abbiamo dovuto aggiustare, correggere, rimodellare nel tempo molte cose. Ora forse ci possiamo permettere di più di essere liberi in quello che vogliamo dire e infatti ad esempio l’ultimo video è esattamente quello che volevamo dire noi, come lo volevamo dire.”
Per quanto, al di là del fatto che dal punto di vista visivo ci sia stata quell’evoluzione di cui parlavamo prima, credo sia stato proprio ‘Stairway to Valhalla’ a rappresentare per voi il punto di svolta, non so se condividi questa cosa. Almeno dal punto di vista della ricezione e quant’altro. Io penso che in realtà abbia una di quelle tracklist consistenti, che quindi vi hanno mostrato come band che aveva un prodotto ben riconoscibile. Non so se è una caratteristica che ritieni possa essere ravvisata anche nei dischi precedenti, però per me quello è stato il punto di svolta.
“Ti dirò: secondo me tutti i dischi sono stati un gradino dopo l’altro per raggiungere qualcosa, quindi sì, sicuramente ‘Stairway to Valhalla’ è stato un punto importante, ma è uscito prima del nostro deal con l’etichetta [la Napalm Records, NdR]. Il fatto è che grazie a quello forse qualcuno si è accorto di noi e siamo riusciti ad avere più visibilità. Sì, è stata sicuramente una cosa meravigliosa; da lì abbiamo però sempre continuato a cercare di alzare un po’ l’asticella sulle cose che facciamo. Quindi, non ci siamo mai fermati: almeno, è quello che cerchiamo di fare noi, con la speranza che il nostro pubblico segua il nostro linguaggio.”
Ecco, da questo punto di vista – tornando alle primissime parole che ci siamo scambiati – probabilmente un ostacolo forte in Italia è quello di superare lo status di “band demenziale” per essere accettati all’interno di un sistema musicale e quant’altro. Per esempio, mi viene in mente che i Tankard sono parte effettiva di quel famoso Quadrilatero tedesco dei Big 4 del thrash teutonico, però hanno tutt’altro che un approccio serioso – non li possiamo definire come i Sodom, i Kreator e i Destruction. Nonostante sia probabile che anche da noi a un certo punto ci sia stata un’evoluzione verso una maggiore accettazione di questa proposta, perché in Italia ciò che è “particolare” sembra condannato a rimanere di nicchia? Cosa ne pensi?
“Ci si trova a confrontarsi con generazioni diverse. Io credo che le nuove generazioni siano più propense a divertirsi in questo modo – non a caso abbiamo fatto anche la canzone ‘Metal Boomer Battalion’, “boomer” in quanto c’è tutta una vecchia generazione che vede il metal come qualcosa di sacro e simili. Per carità, anche noi amiamo certe cose, ci sono dei gruppi heavy metal che sono meravigliosi e stanno nell’Olimpo degli Dei del Metal, ma… voglio dire, addirittura adesso offendersi per lo scherzo… Non lo so, è qualcosa che forse da metallaro non mi appartiene, non credo che i metallari siano questo. Io credo che la musica non sia questo, perché comunque la musica in generale è sperimentazione e ci sono tantissimi sottogeneri nell’heavy metal, quindi qual è il problema se ne esiste uno un po’ più divertente? Esistono film sulla guerra ed esistono film comici sulla guerra, ad esempio.”
Da questo punto di vista, probabilmente si centra il punto con il discorso del cambio generazionale, nel senso che una certa generazione di cui probabilmente faccio parte anche io a un certo punto ha codificato il principio per cui “ma il metal è una cosa seria”, che sembra un po’ come quando i Venom cercavano di venderci il concetto “ma il satanismo è una cosa seria”, quando invece era chiaro che non era così…
“Sì, ma poi chi l’ha detto?”
Invece, stando a contatto con le nuove generazioni capisci che a una certa età c’è quello spirito giusto: apprezzano l’ironia di ‘Tooth Fairy’, la rievocazione “storica” di ‘Pasadena 1994′ seppure non fossero ancora nati all’epoca di “quella” finale. Poi con il tempo ci si tende un po’ ad arroccare su posizioni che in realtà non esistevano. Immagino che sia uno scarto percepibile…
“Certo, sì, anche perché le cose adesso stanno uscendo di più, ci sono altri gruppi che fanno cose un po’ più demenziali e si prendono molto, molto poco sul serio! Ognuno ha il suo stile parodistico, la sua vena di comicità; poi si può scegliere uno invece che l’altro, però almeno si è aperto un po’ questo discorso.”
E poi hai citato Christian Ice: c’era anche il discorso con i Kaledon, per cui era nata all’epoca un’alzata di scudi da parte dei fan, quando in realtà…
“Che poi i Kaledon l’hanno fatta dal vivo in Germania, la versione di Christian Ice! Non so se c’è ancora su YouTube o se l’hanno tolta, con il cantante dei Kaledon che fa “ahò bella arivo, gurdame a mmè…” [non preoccuparti, c’è quella del Traffic, NdR]
D’altronde, se dico San Culamo e Prophilax posso dire che siete assieme in quello che una volta si chiamava “scena”?
“No, è diverso: siamo molto, molto diversi. Diciamo che noi abbiamo una forte amicizia con i Prophilax, ovviamente ci siamo trovati insieme su questo mondo e ci siamo conosciuti per forza di cose. Poi, noi quando andavamo a scuola ascoltavamo le musicassette dei Prophilax, dei San Culamo e di tutta questa roba qui. Voglio dire, è normale che si cresca con questi input; poi, diciamo che noi siamo diventati tutt’altro perché abbiamo un’identità più definita rispetto anche ad altri gruppi di successo. Forse l’unico accostamento che si potrebbe fare è con Elio e le Storie Tese, che però è un altro concetto, un’altra storia, senza nulla togliere a loro, perché sono sempre stati straordinari, però noi abbiamo una forte identità su chi siamo e quello che facciamo.”
Qual è l’atteggiamento del pubblico europeo, soprattutto davanti a quelli che possiamo definire materialmente degli “inside joke” spesso legati all’italiano? È vero che dal punto di vista della musica c’è uno stile citazionista molto chiaro, ma qual è la differenza dal punto di vista del pubblico?
“Mettiamola così: intanto, quando noi scriviamo in italiano e in inglese ovviamente cerchiamo di fare più riferimenti possibili al pubblico italiano o al pubblico internazionale. Se si tratta dell’italiano, cerchiamo quelle chicche che capiscono gli italiani, che ci appartengono di più, e quando facciamo riferimenti a cose in inglese cerchiamo degli argomenti che sono un po’ più comprensibili da tutti. Se ti nomino lo scandalo tra Johnny Depp e Amber Heard, tu lo sai di che sto parlando, perché è una cosa internazionale, quindi su quel ragionamento poi noi facciamo la nostra parte. Poi se dovesse capitare che c’è qualche riferimento, qualche chicca che magari gli altri non capiscono perché è riferito proprio all’Italia, lì è un omaggio che facciamo noi ai nostri connazionali, come dire: “questa è per voi, divertitevi”! Tant’è vero che ad esempio ci sono dei tedeschi che si stanno studiando le canzoni nostre in italiano per capire non solo le finezze che mettiamo negli album internazionali, però ad esempio anche su ‘Italian Folk Metal’ c’è chi “ci si è chiuso” per capire cosa stavamo dicendo; e questa è una cosa fantastica, che non mi aspettavo, però… è bella!”
Come il famoso ‘Maestro Myiagi di Pino’, che è dedicato al pubblico italiano perché c’è il dialogo in italiano!
“Esatto.”
A proposito, mi viene in mente che nel nuovo album c’è anche questo fantastico esperimento di Spanglish che è un po’ la nuova versione di ‘Norwegian Reggaeton’, per quella che possiamo chiamare una “suite”, ‘Chupacabra Cadabra’. Ora, questo esempio mi ha fatto pensare a un’altra domanda che avevo in canna, ossia… come nasce dal punto di vista compositivo un pezzo dei Nanowar Of Steel?
“Dipende: purtroppo non posso darti una risposta univoca. Se parliamo di ‘Chupacabra Cadabra’, ti posso dire com’è nata quella; le altre hanno preso pieghe diverse: magari uno di noi ha un’intuizione, la espone agli altri e gli altri si attaccano tutti a quell’idea, o magari si parte da un concetto, da un testo o – il più delle volte – da una musica – ma il procedimento è sempre “randomico”. Diciamo che per quanto riguarda ‘Chupacabra Cadabra’ c’era quell’intenzione di scrivere un “metal mariachi”, poi il testo è arrivato dopo; con un po’ di difficoltà, perché comunque sia ci siamo messi a studiare accuratamente una cosa che rappresentasse il più possibile noi. Quindi, questo ci ha dato grande soddisfazione: quando è partita la scintilla abbiamo scritto tutto quanto e le cose sono andate “di getto”, ed è stato allora che abbiamo capito che quello era l’argomento.”
Chiaro. Ma… detto brutalmente: in genere nasce prima il testo o nasce prima la musica?
“In genere la musica, però magari potrebbe nascere prima il testo, perché magari ci sono dei concetti che vengono espressi verbalmente, quindi il testo ti fa ridere e ci adatti una musica che abbia una sua metrica. Quindi è molto random come cosa…
E poi, dal punto di vista dell’ispirazione si può affermare come comunque gli ultimi tempi siano stati una fonte dal punto di vista della satira? Non parliamo solo di ‘Chupacabra Cadabra’ ma anche di ‘Protocols (Of the Elders of Zion) Of Love’.
“Se parli di lockdown e quant’altro sì, tra l’altro diciamo che è stato un periodo prolifico per tante band: stando tutti a casa, tutti si sono messi a scrivere. Penso che la cosa bella sia stata un po’ utilizzare quei momenti per sopportare quel periodo difficile, quindi secondo me alcune cose che sono venute fuori sono state divertenti proprio perché ci giocavamo molto noi, per distrarci, forse… non lo so. Posso dare una mia interpretazione così: sicuramente è stato un momento in cui siamo stati molto creativi.”
Senti, tornando a ‘Pasadena 1994’, quando ho sentito il passaggio sull’assalto di Gallipoli ho pensato: questa è la tipica idea di Brodén…
“No, no… è tutta roba nostra.”
Come è andata la cosa? Nel senso che prima il pezzo è nato e poi avete pensato a lui, o forse…
“No, la canzone era chiaramente in stile Sabaton, punto. Quello che volevamo fare noi era questo. Era già nata la canzone, poi abbiamo detto ‘magari possiamo provare a chiederglielo’. Lui ha detto, ‘fatemi sentire la canzone, perché prima devo capire che prodotto è’. Ma questo capita con chiunque a cui proponiamo le collaborazioni: giustamente sono persone serie, non ti dicono di sì a prescindere, sono più sul genere ‘voglio capire cosa state facendo, perché non voglio mettere la mia voce su una cagata’. Anche Madeleine [Liljestam, la cantante degli Eleine ospite sul singolo ‘Winterstorm in the Night’] ha voluto sentire com’era il pezzo, capire se era fattibile e fortunatamente è stato così. Quindi, abbiamo fatto questa canzone, Joakim l’ha ascoltata, gli è piaciuta e ha detto: ‘perché no’. Mi sembra una bella canzone, no?”
D’altronde, quando l’ho intervistato poco più di un annetto fa ho avuto la netta impressione di avere davanti un tipo autoironico e che non si prende troppo sul serio, quindi immagino che lavorare con lui sia stato facile, perché è proprio il tipo che si mette sulla lunghezza d’onda giusta…
“Voglio dire, la musica è espressione di noi artisti. Se uno vuole esprimere una cosa, un concetto, o come nel loro caso se sei un gruppo metal che parla della guerra, ti piace parlare della guerra perché vuoi raccontare delle cose e senti nelle tue corde quell’argomento, è giusto così. Ma è ancora più giusto se una persona si vuole divertire e basta, nel senso… noi li abbiamo conosciuti i Sabaton, quando siamo andati al Sabaton Open Air: sono delle persone tranquillissime, delle persone che ridono e scherzano come tutti. Voglio dire… l’essere umano ride e scherza, non ci si può stupire di questo. Ci abbiamo parlato, siamo stati insieme a chiacchierare, quindi… questo è l’artista. Poi, quello che vuole dire, fatti suoi.”
Parlando di ospiti, mi viene in mente il singolo ‘Armpits of Immortals’. Come avete convinto Ross a suonare un pezzo, per di più assieme a un gruppo che ha nel monicker la parola “Nanowar”?
“Lui ha un podcast e molte persone gli avevano chiesto di passare le canzoni nostre. Ci ha conosciuto così, e le cose che passava lo divertivano: lui stesso in radio diceva ‘loro sono i Nanowar Of Steel, indovinate un po’ da dove hanno preso il nome?’ e si metteva a ridere. Quindi, comunque sia anche lui era molto positivo sul progetto. Poi, ti ripeto: ha ascoltato la canzone, gli è piaciuta e ha detto sì.”
Beh, devo dire che tutte queste sono una serie di soddisfazioni che ti fanno pensare che il discorso funziona e non ci sono dubbi…
“Fino ad adesso è così, poi magari un giorno diventeremo dei vecchi che fanno delle battute che non piacciono a nessuno, boh… può darsi, che ne sai.”
Capita anche agli stand-up comedians…
“Ma sì, figurati: poi le generazioni cambiano, la comicità cambia… finché c’è qualcuno che ci ascolta, noi andiamo avanti. Non è che ci siamo dati degli obiettivi, ci siamo sempre “fatti ridere”: questa è la cosa che funziona.”
Vi è mai capitato qualcuno, anche a livello di gruppi incontrati in un festival, che vi abbia detto qualcosa tipo “guarda, non facciamo parte della stessa categoria”? Non tanto un ascoltatore, quanto qualcuno con cui magari dovevate condividere il palco e che era risentito di questa cosa…
“Uh, ce ne sono stati tantissimi, soprattutto agli inizi, figurati. Gente che buttava i microfoni a terra, gente che veniva portata fuori dal locale, un macello. All’inizio era più una novità, poi… diciamo dal 2015/2016, intorno a quegli anni lì la cosa ha cominciato ad avere una struttura solida ed è lì che abbiamo visto che avevamo dei follower, una fanbase grossa. C’era una struttura dietro: meno male, almeno dopo tutti questi anni…”
Eh, lo so: in genere siamo abituati a leggere e sentire cose tipo ‘ok, abbiamo fatto il primo disco e abbiamo avuto successo’ e quant’altro… ok, bene. Ma si tratta dell’epopea di ordinanza degli anni d’oro: il 1972 o forse il 1985…
“Guarda, in questo siamo sfigati in tutto e per tutto. La nostra gavetta l’abbiamo fatta e quello che abbiamo fatto ce lo siamo straguadagnato, penso strameritato, proprio per il fatto che ci siamo stati veramente tanto tempo, ci abbiamo creduto veramente tanto.”
Siamo verso la fine e ti faccio un altro paio di domande. A proposito di festival storici a cui avete partecipato, che ricordi hai dell’Agglutination?
“Che è, una domanda a trabocchetto?”
No, non proprio: in genere sono un habitué, stavolta non ero al concerto, ma ho sentito varie campane…
“Beh, quello è stato un concerto fantastico, ma poi c’è stato tutto il prima e il dopo concerto in cui abbiamo fatto un casino, per cui c’era nelle altre band chi ci voleva menare! È stata comunque una cosa fantastica, una di quelle date indimenticabili in cui sono capitate cose indimenticabili. Non succede molte volte, ma non succede neanche poche volte che capitino cose strane, come ad esempio noi che ballavamo la macarena con tutto il pubblico dei Therion, o lo spogliarello dalle finestre di una scuola [la scuola nel cui piazzale si svolgono di consueto le edizioni dell’Agglutination, e che per l’occasione viene utilizzata come camerini per le band, NdR]: c’era buio e c’era la luce dei finestroni, quindi oltre i finestroni si vedevano le nostre immagini proiettate. Abbiamo iniziato a fare i balletti e si era formata una calca sotto di noi…”
Ahia…
“E non è piaciuto tanto alle band. Ci dobbiamo sempre far riconoscere.”
Mi sarebbe piaciuto chiedere qualcosa sulle vostre influenze…
“Ah, io ho 38 di febbre, se è per questo…”
Però a questo punto voglio assolutamente sapere quali sono i tuoi Rhapsody e Manowar preferiti…
“Beh, i miei gusti sono cambiati parecchio. Io purtroppo vado molto “per i periodi storici” e non riesco tanto ad ascoltare roba troppo vecchia. Nel senso: se è roba con cui sono cresciuto io, allora sì, e pure fino a un certo punto – perché ormai il mio cervello l’ha “registrata”. Ad esempio, una delle ultime scoperte che ho fatto è stato Mick Gordon, che è il compositore della colonna sonora di Doom e ha fatto anche altre canzoni con un paio di artisti. Ho sentito come compone e lo trovo fantastico, come se mi avesse dato la speranza di un qualcosa di nuovo nel metal. Ci mette la passione, quello che fa non è scontato… ovviamente non ci sono dei testi, è solo musica, però mi dà quella stessa scintilla di quando ascoltavo altri gruppi da giovane. Da più giovane.”
Da diversamente anziano, o come preferisci…
“Beh, io ho iniziato ad ascoltare metal a quattordici anni, tredici/quattordici anni.”
Come un po’ tutti. Qualcuno addirittura ci arriva anche prima.
“Sì, ma di solito il metal prende nella fase adolescenziale, perché rock e metal sono il grido di ribellione, quel dire “io resisto!” e quindi, quando ti trasformi in adolescente quella cosa la vivi appieno. È un po’ un “nascere dal guscio” e quindi l’heavy metal esorcizza questa cosa.”
Per poi diventare altro…
“Sì, poi la gente, per la maggior parte… diventano tutti stronzi! No, no… ci stanno un sacco di persone che capiscono che quello è un punto di partenza, mentre altri pensano che sia un punto di arrivo. Tutto qui!”