The Modern Age Slavery – Le Diverse Forme della Schiavitù
Il 12/05/2023, di Dario Cattaneo.
Un monicker che fa porre quesiti, testi interessanti dedicati a temi controversi e una sensibilità musicale e creativa che porta a continui mutamenti stilistici di sicuro spessore… non possiamo dire che gli italianissimi The Modern Age Slavery ci facciano mancare spunti di interesse a noi della stampa! E infatti ecco il solito, inquisitivo, Dario Cattaneo che si è intrufolato via mail nei canali di comunicazione del volenteroso gruppo death, deciso a far luce appunto su un approccio sempre più blackened e sinfonico e liriche sempre più ammantate di nero e pessimismo… sentiamo le risposte del frontman Giovanni Berselli ad alcuni interessanti punti su come funzionano le cose in seno alla band.
Ciao ragazzi, bentornati sulle pagine di Metal Hammer Italia. E’ passato del tempo dalla vostra ultima release ‘Stygian’ e non certo per colpa di qualcuno, se si considera che di mezzo c’è stato la pandemia. Come avete vissuto personalmente e come band il periodo del coronavirus?
“Ciao a Voi e grazie mille per lo spazio che ci dedicate. Riguardo al periodo di “clausura”, credo sia stato un dramma per tutti. Per quanto riguarda me, se proprio devo trovare un lato positivo in quella che è stata solo una grande tragedia, il lockdown mi ha permesso di fermarmi un attimo e dedicare una pausa riflessiva alle tante cose che ci stavano succedendo in quel momento. Io tornavo da un periodo di lavoro in America e sono letteralmente fuggito, per atterrare a Bologna il giorno in cui l’Emilia-Romagna diventava zona rossa. In quel periodo, ricordo tante call coi membri della band, con il ragazzo che al tempo era nostro manager, le differenti opinioni se fosse più corretto uscire con i singoli che al tempo erano già pronti, uscire con un EP oppure se attendere che la situazione tornasse alla normalità, per pubblicare un full-length. Ovviamente, il fatto che siamo qui a parlare di 1901, significa che, nonostante le diverse opinioni, abbiamo deciso consapevolmente di attendere”.
A livello prettamente artistico/professionale il lungo periodo di stop vi ha danneggiato o per contro il tempo in più vi ha permesso di mettere a fuoco qualcosa che prima non avevate considerato?
“Certamente, come band, ci stiamo muovendo un po’ in contro-tendenza rispetto ad un mercato musicale super-veloce ed ad un mercato digitale che definirei, senza mezzi termini, barbaro ed indecente. Come ho scritto anche in altre interviste, oggi siamo quasi costretti a pubblicare contenuti, a volte completamente inutili, al solo scopo di mantenere attiva una pagina social o mantenere l’attenzione del pubblico verso una band o l’altra. Personalmente, reputo indecente questa modalità di agire, ma allo stesso tempo, non vedo altra possibilità. Se queste sono le regole del gioco, ragionare esclusivamente da puristi significa auto-eliminarsi dal gioco stesso. Di conseguenza, come band, cerchiamo di assimilare queste nuove dinamiche, senza lasciarci travolgere. Riguardo al nostro nuovo disco, il tempo trascorso ci ha sicuramente permesso di focalizzarci meglio sulla produzione delle batterie, ad esempio, che sono state più ragionate e registrate tra l’altro multiple volte, fino a raggiungere un risultato che – a nostro parere – è eccellente. Riguardo al fatto che il tempo passa, le mode variano e la musica intesa come scena è sempre più veloce e volubile… beh posso dire che alla fine però i Modern Age Slavery sono ancora qua”.
Al cambio di lineup avvenuto con ‘Stygian’ avevate detto in un’intervista che buona parte del materiale era stato composto prima dell’arrivo dei nuovi membri. Adesso gli stessi hanno partecipato attivamente alla stesura dei brani? Hanno portato del loro? Soprattutto dal punto di vista ritmico musica come la vostra necessità di uno stile esecutivo preciso ma anche molto personale…
“Senza dubbio, l’apporto personale di Federico (, ndR) alle pelli è innegabile; soprattutto su questo album. E poi Ludovico (Cioffi, chitarrista, ndR) mi ha aiutato nella stesura di alcune metriche (nonchè in alcune parti di testi in cui mi ero un po’ incagliato… succede anche questo) e ha aggiunto background vocals e le orchestre a quanto steso inizialmente dagli altri. Quindi, come vedi, abbiamo tutti contribuito. Come dico spesso, i Modern Age Slavery non sono una band in cui esiste un unico elemento creativo; piuttosto ognuno di noi ha il suo spazio di espressione. Questa modalità democratica di comporre ci porta – come anche in questo caso – ad essere forse più lenti nel processo compositivo, ma regala secondo noi quella meravigliosa sensazione di far davvero parte di una famiglia, sia nei bei momenti che in quelli più bui”.
Su ‘Stygian’ era avvenuto un preciso cambiamento stilistico. Sonorità meno ‘-core’ dominavano la scena di un album che è tuttora quello che preferisco della vostra discografia. Questa direzione artistica più blackened e magniloquente (alla Septiflesh, Rotting Christ) la ritroviamo ancora nel nuovo album?
“Si, direi di si. Sono rimaste le parti black che dici (un esempio è ‘Pro Patria Mori’) e così anche le orchestre. Abbiamo anche aggiunto qualche altra sperimentazione sebbene minima anche a livello vocale. Riguardo al fatto che ci siamo evoluti verso una linea meno deathcore – rispetto al primo nostro album – credo sia innegabile per tutti. Personalmente, avendo scritto e in qualche modo “vissuto” tutti i pezzi della band, ho delle sezioni che ancora mi parlano in ognuno dei quattro album; così come trovo delle scelte che oggi farei diversamente. Anche questo fa parte del gioco… In generale – personalmente – ho la tendenza ad ascoltare ciò che abbiamo fatto per un mesetto circa e poi praticamente mai più, a meno di non sentirlo casualmente nello stereo di altri. E’ una scelta precisa proprio per evitare quella sensazione costante di voler rimettere mano a cose già fatte. Mi piace più ascoltare la registrazione dei nostri live, che catturano uno specifico momento più spontaneo…”
Vi andrebbe di spendere due parole sui testi di ‘1901 : The First Mother’ e spiegarceli in maniera articolata? I dischi che iniziano con un anno storico solitamente sviluppano un concept o una storia, ma non sembra essere questo il caso. E nelle promo notes sentiamo parlare di trilogia addirittura… puoi aiutarci a districarci sotto questi aspetti?
“Il 1901 rappresenta di fatto l’inizio del XX secolo. E’ l’anno in cui morì la regina Vittoria, nonché anche l’avvento appunto dell’Età Moderna (The Modern Age, ti dice qualcosa?) per quanto riguarda la letteratura inglese. Inizialmente, volevamo mantenere solamente il numero come titolo dell’album, ma abbiamo deciso infine di aggiungere un sottotitolo per questioni di visibilità, ad esempio per facilitare le ricerche su Spotify. L’album in effetti non è proprio un concept, anche se la genesi di molti brani segue un unico filo conduttore. Assieme a Ludovico Cioffi, abbiamo tentato di immaginare diversi tipi di schiavitù – esterne ma anche auto-imposte – e partendo da esse ho scritto i testi, spesso ispirandomi liberamente a poeti o filosofi del passato. La ben nota schiavitù alle sostanze stupefacenti è raccontata ad esempio in ‘OXYgen’. L’interessante archetipo psicologico della cosiddetta devouring mother – l’entità che si nutre dell’attenzione dei figli rendendoli schiavi del suo stesso amore e così incapaci di crescere – è raccontata invece nel brano ‘The Hip’. ‘The Age of Great Man’, un altro brano, parla invece dell’omologazione delle masse e della distruzione dell’Ego inteso in senso positivo… poi c’è ‘KLLD’ il cui titolo è liberamente ispirato alla poesia di Blaise Cendras ‘I’ve Killed’ e che parla della schiavitù imposta dalla chiamata alle armi. Un ultimo brano che mi piace citare è ‘Overture to SIlence’ (uno dei pochi non ispirata a poesie se per questo, ma piuttosto su un’esperienza personale), e posso dirti che parla della schiavitù riferita all’amore tossico. Per quanto riguarda il discorso trilogia, abbiamo due motivi per considerare questo progetto come tale: il primo è quello di autoimporci altri due album prima di decidere se lasciare o meno le scene. La seconda, che riguarda una simbologia che si riflette tra l’altro anche nella copertina, è quella di tentare di dipingere coi prossimi due volumi non solo il passato, ma anche il presente raggiungendo infine un futuro distopico del quale racconteremo altre cose”.
I testi in effetti hanno sempre avuto una certa importanza nei vostri brani, e a questo proposito vi chiedo: nasce prima la musica o i testi? In che modo gli uni si adattano agli altri?
“Nasce sempre prima la musica. Luca Cocconi (chitarrista e produttore) scrive una base contenente anche solo un’idea di batteria. Sulla base di quella idea, io aggiungo le probabili lyrics e il batterista Federico rivede l’aspetto ritmico sulla base del proprio gusto e di ciò che poi dovrà a suonare dal vivo. Certamente, se si necessita do qualche cambiamento per adattare il testo alla musica, lo si apporta in questa fase, e spesso anche il bassista Luca propone in questa fase strutture di canzone pensate per poi facilitarmi il lavoro di inserimento del testo”.
La “schiavitù dell’era moderna” fa pensare comunque a testi appunto impegnati e pregni di forte accusa. Visto il retroscena quasi ‘politico’ che sta dietro l’ideologia apparentemente portata avanti dalla band, ci sono degli aspetti politici o ideologici che un membro della band non dovrebbe assolutamente avere?
“A dire il vero come Modern Age Slavery non intendiamo portare nella nostra musica alcun colore politico. Anche quando parliamo di tematiche controverse – cosa che in effetti succede praticamente sempre – lo facciamo da semplici osservatori, senza prendere esplicitamente posizione. È ovvio che all’interno della band ognuno di noi abbia le proprie idee precise per quanto riguarda etica e politica – a volte anche diverse da quelle degli altri membri – ma questo non è mai stato un problema. Ci concentriamo sulla musica, e questo è. Mi vengono in mente molti esempi rispetto a questo tema che hai introdotto… Ad esempio un brano di Stygian – ‘Miles Apart’ – tratta dell’aborto. Cominciamo a dire che , in primis, anche solo per arrivare al significato del testo è necessario un minimo di sforzo per interpretarlo, e già questo viene fatto da pochi ascoltatori. In più nella canzone non arrivo mai a prendere una vera posizione precisa sull’argomento. Scrivo piuttosto e tento di rappresentare la sofferenza che sta dietro ad un tema così complesso, ma non do’ un giudizio con nel testo. Un altro esempio può essere che durante il lockdown – per tante persone – i toni si sono spesso accesi tra coloro che ritenevano ben prese le decisioni governative (anche riguardo al tema vaccini) e quelli che invece la pensavano in tutt’altro modo. All’interno della band – nonostante avessimo visioni diverse sull’argomento – non abbiamo mai portato questi argomenti nella nostra musica. Quello che dovrebbe avere un membro dei Modern Age Slavery, in fondo, è semplicemente passione per quello che fa, non tanto convinzioni politiche di sorta”.
Potete raccontarci come nasce oggi un brano dei Modern Age Slavery? Questo sistema è cambiato nel corso degli anni o alla luce degli ultimi cambi di formazione?
“Ne abbiamo un po’ già parlato e riprendo parzialmente la risposta di prima… Luca Cocconi parte da un’idea iniziale e cui Io, Federico, Ludovico e anche Mirco aggiungiamo varie parti. Mirco, il bassista, e Federico alla batteria, aggiungono e rivedono le sezioni ritmiche, Ludovico inserisce in generale orchestre ed assoli, io mi occupo di metriche e testo. Ci sono casi in cui questo schema non viene sempre del tutto rispettato, ovviamente. Le musiche di ‘The Theory of Shadow’ su ‘Stygian’ le ha invece scritte del tutto Mirco. Le metriche di ‘A Stygian Tyde’ e ‘Irradiate All the Earth’ sono opera di Ludovico invece. Siamo un po’ intercambiabili, volendo. In sintesi i maggiori cambiamenti dovuti al cambio di formazione sono più che altro evidenti per batterie e orchestre più che sul funzionamento generale”.
Quale pensate che sia il miglioramento più immediatamente intuibile di “1901: First Mother” rispetto al vostro passato?
“Ci siamo volutamente allontanati del filone deathcore, al quale ci avevano abbinati nel nostro primo disco, cercando di mantenere voci più basse ed evitando il più possibile le parti in scream. Il lavoro della batteria è poi superiore rispetto a quanto fatto nell’album precedente, è davvero speciale. E infine, grazie soprattutto all’apporto di Ludovico, l’aggiunta importante di parti orchestrali ha dato un sapore più personale alla nostra musica”.
Concludendo, cosa ci aspetta nell’anno in corso da parte vostra? Siete sempre stati molto attivi sul fronte live, con partecipazioni a eventi anche grossi, avete già una schedule per l’estate?
“In effeti la dimensione live è quella dove i Modern Age Slavery possono davvero esprimersi al meglio. Credo siamo una band che ‘vive dal vivo’, non in studio. Riguardo a una schedule per questa estate abbiamo già definito alcune date in giro per l’Italia, ma siamo fiduciosi che l’uscita del disco ci porterà ad un tour di promozione. Al momento, non posso raccontare altro…”.