Small Jackets – Back In The Saddle
Il 08/04/2023, di Alex Ventriglia.
Sono ormai passati due anni da quando lo sfavillante ‘Just Like This’ la segnato il ritorno sulle scene degli Small Jackets che, riordinate le idee e raccolte le forze nei difficili anni successivi alla pubblicazione di ‘IV’, hanno ripreso la loro cavalcata con un album che trasuda rock, passione e attitudine come pochi. Braccati al termine della loro data dello scorso 2 aprile a Cesenatico, abbiamo colto l’occasione per scambiare quattro chiacchiere con il batterista Danny Savanas e fare con lui il punto della situazione su quanto sta accadendo sul fronte Small Jackets.
Danny, ben dieci gli anni intercorsi tra il precedente ‘IV’ e il nuovo, sfavillante album ‘Just Like This’… Ti va di riavvolgere il nastro e raccontarci un po’ cosa è successo nell’universo Small Jackets in questi quasi dieci anni?
“(Danny Savanas) Eccoci ancora in pista, fortunatamente! Sono stati anni abbastanza duri, e tutti quanti cercavamo la strada giusta attraversando cambiamenti tortuosi. E nonostante anche diversi problemi di salute affrontati, non abbiamo mai smesso di suonare dal vivo, cercando di rimanere aggrappati a tutto quello che potesse continuare a stimolarci, senza farci sopraffare da quel periodo un po’ difficile che abbiamo vissuto dal 2014 ad oggi. Ognuno di noi aveva bisogno di rinnovarsi o addirittura ritrovarsi, io me ne sono persino andato più di un mese in giro per il Messico da solo per riuscire a staccarmi da tutto, dalle delusioni e dai sensi di colpa che avevo accumulato… Lentamente, ritrovato il vecchio affiatamento, abbiamo cominciato a lavorare molto sul suono personale, dando vita a un piccolo studio dentro ad una roulotte a fianco della nostra sala prove, ma, come al solito, a lavoro finito, tutto è andato a finir male, ci hanno sfrattato da quello spazio vitale per la nostra sopravvivenza! Per farla breve, nulla sembrava andare nel verso giusto, e solo verso il 2017 avevamo quasi tutto il materiale pronto per un nuovo disco…”.
Senti, è innegabile non cogliere immediata e fresca una maturità compositiva e una varietà stilistica tanto possenti da non poter non candidare ‘Just Like This’ come uno dei dischi r’n’r più brillanti del momento: ve l’aspettavate uscisse fuori con un piglio del genere? Forse è l’ideale valvola di sfogo per tutto quello che abbiamo passato e che in qualche maniera ci condiziona tuttora…
“Sinceramente non pensavamo che ‘Just Like This’ prendesse questa forma, certo, il materiale ci sembrava abbastanza buono, in fase di registrazione siamo stati trascinati verso una scelta molto più “tridimensionale” diciamo, i brani richiedevano profondità fra gli strumenti, facendo venir fuori un aspetto decisamente più “live”, proprio come avremmo voluto che fosse, è stato per tutti molto divertente. Ci rappresenta molto, chi ci conosce bene riesce a distinguere le varie personalità nelle scelte fatte sui vari momenti del disco. In questi due anni abbiamo fatto soltanto due concerti nel periodo estivo, e a parte questo abbiamo continuato con la stessa vita, curando comunque sempre i nostri progetti”.
Forse scopro l’acqua calda, ma in questo album è straripante una vena funky forse mai così evidente, che si incastona a meraviglia con l’urgenza classica degli Small Jackets. Se vogliamo essere più precisi, in certe parti ho trovato spiccata l’influenza degli Aerosmith del periodo ‘Pump’ / ‘Get A Grip’. Con padrini del calibro di Joe Perry e Steven Tyler non si sbaglia mai…
“Bravo, hai fatto centro, loro hanno proprio i requisiti giusti per poter farci da guida spirituale su diversi brani! Da sempre ci siamo resi conto che, ogni band capace di influenzarci, ha radici nella musica nera, funk, soul, blues, sonorità che hanno sempre fatto da spirito guida in moltissimi album che girano sul nostro piatto, e in quei solchi si trovano veramente tante idee ritmiche che danno colore e una particolare attenzione al modo di suonare anche riff semplici”.
Sin dalla cover che si presenta consumata e vissuta e dal titolo che è semplice quanto emblematico, credo ci sia, fortunatamente, un occhio di riguardo verso il “vintage”, per tutto ciò che è “analogico” e non “digitale”. Una presa di posizione rassicurante, a mio avviso, specie poi se il contenuto è una netta dichiarazione di intenti. Bellicosi, ovviamente.
“Sì, ovviamente siamo amanti del vintage e delle sue forti “narrazioni” che emana, detto questo però, non ci sentiamo per forza legati ad ogni sua forma e cliché, la tecnologia di oggi, se usata con giusta logica e misura, può essere molto di aiuto per ottenere il risultato che più si addice al proprio stile. Il titolo ‘Just Like This’ fa intendere in maniera semplice e sobria che ciò che si trova dentro al disco è proprio quello che volevamo! E la copertina consumata è solo un semplice dettaglio che abbiamo sempre notato rimestando nei cesti dei vinili…”.
Privilegiare dei brani anziché altri, è un compito sempre arduo, ma credo che a far la differenza siano per lo più brani come l’opener ‘Midnight Town’, il nervoso hard’n’funky di ‘Gettin’ Higher’, ‘Next Level’ e ‘Breakin’ The Line’, coppia in cui spunta prepotente la vena ‘Smith e dove, in un poker di pezzi bello rovente, premete subito l’acceleratore – come dire: qui non ce n’è per nessuno e non si fanno prigionieri! Senza dimenticare ‘The Jail’, immediata e spiazzante nel suo break centrale!
“Sì, diciamo che questa è la parte più live del disco, quella che ci ha fatto vivere più tempo assieme in sala prove. ‘The Jail’… è la prima volta che Eddy canta un brano in studio! E questa cosa mi provoca un po’ di invidia sinceramente, ah ah ah! Questo suo cantato-urlato rievoca vecchie atmosfere B-movie, mentre le parti di sax le ha suonate Benny dei The Goodfellas, con addosso una bellissima maglia di Nick Curran! Anche l’esperimento di ‘Funky Crunchy Woman’ ci sembra ben riuscito, il brano era nato con il riff principale suonato dalla chitarra, non era male, ma volevamo qualcosa di più incisivo, e non potendo permetterci una sezione fiati, così Eddy lo ha provato a suonare con un synth, e la soluzione ci è sembrata subito ottima”.
Ormai con la Go Down Records non si tratta solo di un sodalizio artistico, ma che ha tutte le peculiarità di una vera e propria famiglia, visto il legame che vantate con la label romagnola…
“Il primo disco marchiato Go Down Records fu il nostro ‘Play At High Level 001’! Ogni tassello della nostra storia è riconducibile a persone chiave che hanno sempre lavorato con l’anima e il cuore, quel periodo insieme a Leo e Max (OGM) rimarrà sempre indelebile nei nostri ricordi! Per “finanziare” questo progetto organizzavamo delle infuocate feste rock’n’roll in un locale della riviera dove tutto poteva accadere, poteva capitare per esempio che Nick Royale e Robban facessero da DJ quella serata. Siamo cresciuti insieme fino al terzo disco, poi purtroppo si sono rovinati i rapporti, eravamo tutti delle teste calde, fin troppo, io ho sofferto molto per questa cosa, per questo distacco… Infine, il quarto disco uscì poi per la label svedese Transubstan. In questi anni ognuno di noi ha ripensato agli errori fatti, ma soprattutto alla stima reciproca che ci legava, e, sepolta l’ascia di guerra, abbiamo deciso di riunire le forze e lavorare all’uscita del vinile di ‘Just Like This’, e devo dire che siamo molto soddisfatti della loro promozione!”
Danny, tu sei l’autentico padre putativo degli Small Jackets, l’ultimo fondatore rimasto se non sbaglio del nucleo originario, quindi a maggior ragione ti senti investito di responsabilità importanti. Ma sei anche un musicista a cui non piace star fermo, mi viene da pensare anche al tuo progetto dove riprendi i vecchi classici degli Stooges…
“Ebbene sì, ahahaha! Io ho suonato ogni concerto senza mai farmi rimpiazzare neanche in casi estremi, e ho vissuto ogni momento incasinato della band fino a cadere a volte nell’insonnia più terribile! Nei momenti liberi in questi ventidue anni ho suonato con tanti altri musicisti, ho provato a dare vita ad altri progetti, sono sempre alla ricerca di qualcosa che mi dia stimoli e nuovi approcci al mio strumento, ma è veramente difficile trovare persone decise e motivate, disposte a fare tanti chilometri la notte, magari prendendo anche pochi soldi, sacrificando il proprio tempo libero. Uno che non si ferma mai è Mr. Lu Silver, lo ammiro molto per la sua determinazione, per noi il rock’n’roll è un mantra, uno stile di vita che ci accompagnerà per sempre! Da qualche anno mi sto divertendo infatti con dei vecchi amici rendendo omaggio ad una band a cui mi sento molto legato, gli Stooges. La formazione è composta da due elementi della garage band The Last Killers, il chitarrista dei Loyal Cheaters e un vecchio compagno di jam lisergiche fin dal ’95… Comunque sia, sappi che ci sono dei locali che non vogliono farci suonare perché temono il peggio, ahahah! Gli Stooges secondo me riescono ad incarnare il disagio e la decadenza sociale di questo periodo storico, un disagio che si protrae purtroppo da molti anni… Una situazione che avverto fin dagli anni ‘90, da quando cominciai a suonare con Paul Chain. Avevo diciassette anni, fu una grande scuola attitudinale la sua… devo ringraziarlo molto per avermi trasmesso concetti molto profondi, il rispetto per l’Arte in ogni sua forma, il grande collegamento telepatico che si può instaurare fra le persone, e per avermi fatto vivere dimensioni remote di un underground italiano ormai del tutto sparito, fra aneddoti sconvolgenti e musicisti indimenticabili…”.