Alcatrazz – Fuga per la vittoria!
Il 06/04/2023, di Francesco Faniello.
Cordialissimo e affabile, Jimmy Waldo ha risposto alle mie domande con lo stesso entusiasmo che lo aveva portato a creare gli Alcatrazz in compagnia di Graham Bonnet e del miglior chitarrista in circolazione, allora come oggi, un certo Yngwie Malmsteen da poco approdato in America e reduce da una breve collaborazione con gli Steeler. È così che con il tastierista e fondatore del quintetto abbiamo parlato del nuovo disco in uscita, del suo viaggio in Italia, di Doogie White e soprattutto degli axemen con cui ha duettato: Joe Stump, Steve Vai e il primo, il più amato, chiamato affettuosamente e semplicemente Yngwie!
Ciao Jimmy, da dove ci chiami?
“Chicago!”
Com’è il tempo, laggiù?
“Fantastico, direi… oggi c’è pioggia e ghiaccio! Il tipico tempo dell’Illinois… in ogni caso, sono qui nei sotterranei del mio studio e non ho la minima intenzione di mettere il naso fuori!”
Sta per uscire ‘Take No Prisoners’ e volevo sapere se ritieni ci sia una linea di continuità con i dischi usciti dopo la vostra reunion, come ‘Born Innocent’ e soprattutto ‘V’ [che ha visto il debutto di Doogie White dietro il microfono, NdR]…
“Sì, sicuramente c’è una continuità, poiché la band sta crescendo. Col passare del tempo, ci avviciniamo sempre più e oggi come oggi posso dire che gli Alcatrazz sono composti da un gruppo di veri amici. Ciò significa che parliamo molto, che comunichiamo in maniera serrata anche a distanza, e questo si riflette anche sulla crescita musicale rappresentata dai vari capitoli discografici. Per dire, ‘Born Innocent’, con Graham Bonnet alla voce, è un buon disco ma è venuto fuori in maniera meno solida di quanto avrei voluto, forse per via dell’elevato numero di compositori e di gente coinvolta nel progetto. In realtà preferisco lavorare con l’attuale gruppo di persone, con Joe Stump, Doogie, Gary, Larry, come dovrebbe lavorare una band, senza troppe persone esterne coinvolte! In quest’album abbiamo un paio di pezzi scritti da Nibbs dei Saxon, e va bene così: penso già che il prossimo lavoro segnerà comunque un’evoluzione rispetto a questo, in termini di arrangiamenti e di “crescita” in generale. Non siamo quel tipo di band che fa i dischi tutti uguali, magari realizzando un album con qualche scarto delle session precedenti…”
Capisco perfettamente: se prendiamo ‘Little Viper’ non sembra neanche scritto e suonato dallo stesso gruppo che aveva registrato ‘Hiroshima Mon Amour’ quarant’anni prima.
“Sì, poi comunque ci sono dei punti di continuità, poiché uno come Joe Stump è esattamente il tipo di chitarrista sulla scia di Yngwie Malmsteen, influenzato come lui dalla lezione di Ritchie Blackmore. È questo è evidentissimo ed è tra l’altro molto bello, poiché io amavo suonare con Yngwie e amavo il suo stile; Joe è simile dal punto di vista esecutivo, ma il suo stile compositivo è un po’ diverso, mi piace molto. Poi, parlo da tastierista, suonare con chitarristi di questo calibro è per me sempre una sfida, e mi piace un sacco: mi sono sempre divertito a suonare con gente del livello di Yngwie o di Steve Vai. Tornando alla linea di continuità tra i dischi, nel prossimo ci saranno sicuramente dei punti di contatto con ‘Take No Prisoners’, assieme a cose nuove.”
Tornando al team compositivo, devo dire che un cantante come Doogie White ha una voce davvero particolare e riconoscibile. Come lo avete scelto, dopo la defezione di Bonnet?
“Doogie è un amico di lunga data. Ci ha visto dal vivo un paio di volte a Edimburgo, dove vive, e sapevo che era interessato a noi. Mi è sempre piaciuto, anche come persona: e poi, l’ho visto dal vivo con Schenker prima ancora che le cose prendessero una piega diversa con Graham… ho sempre amato la sua voce! Quindi, era la persona giusta sia dal punto di vista umano che artistico, e su questo concordavamo tutti, quando è stato il momento di pensare a un nuovo cantante. Joe è un suo fan sin dai tempi in cui ha militato nei Rainbow, per non parlare dei dischi con Yngwie e dei tour con Michael Schenker.”
Come pensi sia cambiato il vostro sound con l’innesto di White alla voce?
“Non si tratta solo del cambio di cantante, anche se ovviamente Doogie ha uno stile diversissimo da quello di Graham, per non parlare dei testi che scrive: viene da un posto diverso e scrive di argomenti diversi, che incidentalmente sono maggiormente in linea con lo stile di musica verso cui ci stavamo direzionando. Succede proprio così: lui scrive i testi e si incastonano perfettamente con la musica; è come se fosse sempre stato con noi, e questa è una gran cosa per me, sia come compositore che come tastierista. Tuttavia, la nostra evoluzione musicale passa anche attraverso il ruolo di Joe Stump, il suo entusiasmo e le innovazioni che ha portato al nostro modo di lavorare. Di sicuro ha un approccio diverso da quello Yngwie, mi piace molto il suo stile “europeo”: se non lo conoscessi e lo sentissi suonare, diresti che viene dalla Germania o dall’Inghilterra… ma non è così, è di New York! E quindi, lo senti suonare e ci senti le stesse inclinazioni di Blackmore, dello stesso Yngwie ma anche di Gary Moore – siamo tutti grandi fan di Gary Moore.”
Questo in effetti mi porta direttamente alla prossima domanda. Il vostro stile sembra diventare sempre più “oscuro”, se penso alla ballad ‘Strangers’ o al flavour sulfureo, quasi doom, di ‘Salute The Colours’, e questo richiama molto uno stile compositivo dal taglio “europeo”, come si diceva poc’anzi. Tra l’altro, nella storia degli Alcatrazz ci sono fitte relazioni con la Gran Bretagna, a cominciare da Bonnet, proseguendo per White che è scozzese, senza dimenticare che il vostro primissimo batterista è stato proprio Clive Burr. Cosa ricordi di quella settimana in cui Clive è stato nella formazione?
“Si tratta delle primissime prove degli Alcatrazz e volevamo proprio che fosse lui il batterista! È curioso: avevamo il miglior batterista del mondo e il miglior chitarrista; in più, avevamo già i pezzi pronti, quindi lui doveva semplicemente aggiungere la propria parte. In qualche modo, Clive semplicemente non era la persona giusta: lui suonava magnificamente, ma non era il batterista adatto per ciò che stavamo facendo. Io ho suonato con un sacco di batteristi e la scelta poteva essere molteplice, ma qualcuno saltò su e disse: “perché non prendiamo lui nella band? Sarebbe fantastico”! E in effetti è un batterista incredibile, solo che non era l’uomo giusto al posto giusto e la cosa non ha funzionato. In sostanza, io e Yngwie eravamo i compositori principali e avevamo un’idea chiara sulla direzione da intraprendere: Burr aveva il compito di inserirsi in quel filone già tracciato e probabilmente si trattava di una cosa troppo diversa da quelle che lo avevano visto così sugli scudi all’epoca degli Iron Maiden.”
Va in effetti detto che Jan Uvena [che sarebbe poi diventato il batterista ufficiale degli Alcatrazz, NdR] era un fautore di quel tipo di drumming con doppia cassa in evidenza che veniva direttamente dai Rainbow e sarebbe diventato il marchio di fabbrica di Anders Johansson o di Ingo Schwichtenberg degli Helloween…
“Jan era un grande fan di Cozy Powell e questo dice tutto. Aveva ben acquisito quell’uso intensivo della doppia cassa che veniva da Powell ed era molto preciso. Ecco, Jan rientrava perfettamente nella nostra idea, anche perché intuiva subito la direzione da intraprendere con un pezzo: è entrato in formazione ovviamente con le song già pronte – quindi era nella stessa situazione di Clive – ma ha svolto il suo compito in maniera egregia, poiché sembrava capire al volo ciò che richiedeva il pezzo in un determinato momento.”
Tra l’altro, a proposito di Europa, avete appena avuto le Girlschool ospiti nel vostro nuovo singolo ‘Don’t Get Mad… Get Even’. Come si è realizzata questa collaborazione?
“Siamo molto amici e siamo sotto la stessa etichetta, sono grandi persone e suonano in una grande band. Abbiamo fatto qualche concerto insieme e nel corso del primo di essi sono rimasto sconvolto da quanto il pubblico le amasse e dalla loro attitudine. Quindi, abbiamo fatto un tour europeo ed è in quell’occasione che abbiamo scritto il pezzo che poi sarebbe diventato il singolo: Joe ha scritto la musica, Doogie ha scritto il testo e la melodia vocale. È stato a quel punto che qualcuno, non ircordo chi, ha detto “wow, ci vorrebbe proprio che le Girlschool cantassero sul ritornello!”. Ed è così che è andata: il pezzo attacca, Doogie canta e all’improvviso nel ritornello arrivano queste quattro matte che urlano “Don’t Get Mad… Get Even”! E poi abbiamo fatto tutto sul mio laptop, con un SM58, al volo… in venti minuti! A quel ritornello hanno aggiunto esattamente quello che volevamo, per renderlo così efficace.”
Questa storia mi ricorda quella dei Motörhead e la loro celebre collaborazione con le Girlschool!
“Io amo i Motörhead! Non ho mai voluto suonare quel genere di musica, ma credo fermamente che Lemmy sia stato un personaggio unico: nessuno era come lui e nessuno sarà mai come lui. Quanto alle Girlschool, hanno proprio un approccio diverso da tutti gli altri, sono genuine! Ci sono un sacco di all-female band che cercano di copiare qualcuno, mentre loro – seppur influenzate dai Motörhead – restano pur sempre le Girlschool; per non parlare del fatto che amo letteralmente la voce di Kim [McAuliffe, NdR, la loro cantante!”
Prima parlavamo di Joe Stump, un grande chitarrista. Avete sempre avuto grandi chitarristi: cosa ricordi dell’epoca in cui Yngwie Malmsteen prima e Steve Vai poi erano nella band? Era già chiaro che sarebbero diventati due autentiche divinità della chitarra?
“Il primo giorno in cui abbiamo suonato con Yngwie, lui era tipo… fuori controllo! Era giovane – all’epoca aveva 18 anni – e si divertiva come un matto a suonare i pezzi dei Rainbow che avevamo messo su per suonare un po’ insieme – all’epoca non avevamo ancora scritto il materiale che sarebbe andato a finire su ‘No Parole…’, avevamo solo un paio di idee embrionali. Quindi, il mio ricordo più vivido di quei giorni in cui suonava le partiture di Ritchie Blackmore è legato al suo sorriso e al fatto che si stesse divertendo tantissimo. Immagina poi uno spazio molto piccolo dove fare le prove, e al contempo una band che viene su molto velocemente, con me e Yngwie che abbiamo anche vissuto insieme, per un breve periodo, proprio nel clou della fase compositiva. È stato grande: non avevo mai lavorato con un chitarrista di quel calibro e ora posso dire che il talento emergeva, eccome. Un talento naturale, un musicista incredibile! Lo stesso vale per Steve Vai: è venuto per l’audizione e il feeling è stato il medesimo provato con Yngwie. Semplicemente, ha accordato la chitarra e ha suonato dannatamente bene… mi piace quel tipo di energia, non mi piace quell’approccio tecnicistico tipo “guardami, guarda come sono bravo”, e devo anche dire che all’inizio Yngwie non era assolutamente quel tipo di persona. Lui, così come Steve Vai, così come Joe Stump. Ecco, Joe ha proprio quell’approccio: sa calibrare la sua tecnica, eppure a ogni prova e a ogni concerto dà il 100% in termini di attitudine. Lo ribadisco: non mi interessa la bravura tecnica, quella ce l’hanno tutti e tre. Ciò che amo e amavo in loro era l’attitudine da veri chitarristi; in più, devo dire che la loro presenza era ed è una sfida per me, come tastierista. Personalmente non credo di essere allo stesso livello tecnico, però mi diverto a confrontarmi con simili colossi, mi piace doppiare gli assoli di Joe, armonizzarli, cose così.”
E comunque non va trascurato il fatto che tu abbia scritto un pezzo fondamentale come ‘Kree Nakoorie’! Ovviamente stiamo parlando di un giro tipicamente bachiano, ispirato alla celebre Toccata e Fuga del Maestro di Lipsia, ma come è nata l’idea di un pezzo così?
“Sono molto influenzato dalla musica classica, pur non avendo una formazione classica. Quindi… io amavo molto Bach, Yngwie ne andava pazzo ed entrambi avevamo quel punto di contatto, anche se nessuno dei due aveva una specifica formazione accademica. Immagina: stavamo lavorando su un altro pezzo e a un certo punto ho iniziato a suonare quella che poi sarebbe diventata l’introduzione di ‘Kree Nakoorie’; lui mi ha detto “oh, fantastico!” e ha iniziato a suonarci sopra degli accordi! Ecco, lì non indossava affatto i panni dello shredder: suonava quegli accordi introduttivi e basta. È proprio quello che ti dicevo poco fa: era un ragazzo con una tecnica sconfinata e in quel momento non sentiva il bisogno di sciorinarla, preferendo invece arrivare dritto al punto proprio perché era quello che richiedeva quell’introduzione. Mi piace davvero la chitarra ritmica su ‘Kree Nakoorie’, e lui è davvero un grande chitarrista ritmico, con il groove giusto.”
Questo è un dato molto importante, poiché di recente Jake E. Lee aveva affermato che Malmsteen non fosse un grande chitarrista ritmico [per usare un eufemismo, NdR]…
“No, non è così: Yngwie è un grande chitarrista ritmico. Certo, non stiamo parlando degli AC/DC, lui non è quel tipo di ritmico, e non è neanche Gary Moore: è un altro tipo di chitarrista. Io ci ho suonato per tanto tempo, ci ho registrato un disco, sono andato in tour, ho fatto ore e ore di prove insieme e ho scritto delle canzoni con lui, quindi posso affermare con certezza che sia un grande chitarrista ritmico. Certo, la gente lo conosce come un virtuoso, il che è un ruolo che ricopre ai massimi livelli e non credo che ci sarà mai uno come lui: è incredibile e non mi stancherò mai di dirlo. Però la cosa favolosa delle sue scelte ritmiche è che sono sue e basta: non stava cercando di copiare nulla e nessuno in quell’occasione, lo stava tirando fuori di sana pianta, e anche questo è ciò che fa di lui un grande.”
Lo hai mai rivisto?
“Ah, è successo una trentina di anni fa. Avevo una band di nome Blackthorne, con Bob Kulick e Frankie Banali. Ehi, questa cosa è divertente: abbiamo suonato nell’ambito di una rassegna metal al Foundations Forum a Burbank in California e lui era nello stesso bill, lo stesso giorno. Non sono riuscito a incontrarlo prima del concerto, ma va detto che lui suonava prima di noi: non che aprisse per noi, è che era una rassegna con molti gruppi e ricordo che gli ultimi a suonare erano i Dream Theater…”
Quindi c’erano più gruppi con vari palchi?
“Sì, c’erano due palchi in questo grande locale. Yngwie ha suonato e aveva tutti i suoi effetti pirotecnici; quindi, quando la sua esibizione è finita il locale era completamente invaso dal fumo! Noi suonavamo subito dopo sul palco opposto, quindi non c’è stata soluzione di continuità, ma mentre suonavamo sono scattati gli allarmi antincendio e all’arrivo dei pompieri l’esibizione è stata interrotta, dopo che avevamo suonato appena tre pezzi. Quindi siamo andati nei camerini e Yngwie ci ha raggiunti, con una tale foga che ho pensato “ora o succede qualcosa di mitico, oppure qualcosa di totalmente storto”; dicevo, si avvicina a me e dice: “mi dispiace davvero. Non voglio che pensiate che l’ho fatto apposta: non avevo idea che sarebbe andata così”. Insomma, ha continuato a scusarsi. Quindi ce ne siamo andati al bar, lui e io, e ci siamo rimasti per tutto il pomeriggio: abbiamo parlato, ci siamo fatti un sacco di risate… però non lo vedo da anni, solo qualche telefonata.”
Beh, grazie davvero per questa storia: sembra proprio un bravo ragazzo, dopo tutto!
“Sai cosa? Secondo me è un incompreso: lui dice delle cose e la gente le interpreta nel modo sbagliato. Poi, è chiaro, ha i suoi momenti. Quando abbiamo iniziato a suonare insieme era molto più giovane e non sempre coglieva come funzionassero le cose, in ambito extra musicale, intendo. Non era mai stato in un gruppo, per di più con persone più grandi di lui, e quindi capitava che ci fossero delle incomprensioni. Per dire, arrivavamo alle prove e lui suonava su questo palco che era collocato lì, nella sala. Lo trovavamo a suonare a tutto volume, scale su scale, finché non gli dicevo “Yngwie, dobbiamo provare, fare un pezzo” e lui ti guardava con una faccia tipo “ma chi sei? Vai a quel paese!”… insomma, era nel suo mondo. Insomma, ci voleva un minuto ma poi si ricomponeva ed era comunque molto professionale: si provava, mettevamo su i pezzi e tutto andava per il meglio. Poi, sia alle prove che on the road succedevano cose così, di poco conto, ma in definitiva posso dire che serbo un buon ricordo del tempo passato a suonare insieme. Non puoi non amare il suo modo di fare: lui viveva per questo, ogni volta che prendeva in mano una chitarra non poteva fare a meno di suonare dando il massimo, come se fosse l’ultima cosa che doveva fare.”
Grazie ancora… c’è questo ricordo vivido che ho degli Alcatrazz negli anni ’80 e riguarda quel film dell’epoca con Molly Ringwald che lavorava in un negozio di dischi. Il film era ‘Pretty in Pink’… e in una scena tirava fuori proprio un vostro disco dagli scatoloni espositivi. Mi ricordo di aver visto il vostro logo e aver detto “wow”!
“Eh sì… “siamo in un film!”, per così dire. Sai, ce l’abbiamo quasi fatta… quasi. Perché, nella nostra prospettiva noi avremmo dovuto essere in tour con gli Iron Maiden o con gruppi di quel livello, ma non siamo mai arrivati a quello stadio. Per qualche motivo, ne siamo stati privati. Il motivo? E chi lo sa; in ogni caso, quello che è stato è stato, guardo a come siamo oggi e dico che comunque il bicchiere è mezzo pieno. E poi, eravamo e siamo una buona live band, molto buona. Come si dice in questi casi? C’est la vie!”
Già. Comunque sia, ‘Live Sentence’ rimane una grande testimonianza di quegli anni, nonché uno dei migliori dischi dal vivo di heavy americano del periodo, per la scelta delle songs in scaletta ma anche per i musicisti coinvolti nel progetto e per l’energia sprigionata. Quali pezzi di quel periodo suonate ancora dal vivo?
“Al momento suoniamo solo ‘… Too Drunk To Live’ e ‘Jet To Jet’, ma abbiamo suonato ‘Hiroshima…’ e la rimetteremo presto in scaletta. L’avevamo tolta perché il pubblico ci richiedeva altre cose, e anche perché cerchiamo di mettere anche la roba nuova nella setlist. Ci vuole molto per un ensemble prima di trovare una dimensione univoca in questo senso, quindi abbiamo suonato qualche pezzo dei Rainbow di cui Doogie è co-autore, e anche qualche pezzo di Michael Schenker scritto sempre assieme Doogie; probabilmente lasceremo fuori qualcuno di questi per rimettere in scaletta ‘Hiroshima…’.”
Sono curioso: cosa suonavate da ‘Stranger In Us All’ [il disco dei Rainbow in cui ha cantato Doogie White, NdR]?
“La scaletta cambia di volta in volta, ma c’erano sicuramente ‘Wolf To The Moon’, ‘Ariel’ e ‘Too Late For Tears’. Non so dirlo per certo, ma rimetteremo in pista ‘Hiroshima…’ e forse anche ‘Kree Nakoorie’. Ci sarà un po’ di lavoro da fare, poiché dovrò fare i cori sotto la voce di Doogie, come faceva Jan con Graham all’epoca; alla fine, tutti puntiamo a metter su quel pezzo, ma devi considerare che ogni volta che dobbiamo partire in tour facciamo una settimana di prove e in quella settimana va provata esattamente la scaletta dei concerti, di fila, quindi non c’è molto tempo per imparare o riarrangiare materiale “nuovo”. Comunque, abbiamo suonato nel Regno Unito di recente e volevamo inserire subito in scaletta ‘Don’t Get Mad… Get Even’, perché era il singolo apripista e il video era appena uscito: le Girlschool sono salite sul palco e hanno cantato il ritornello! Tutto molto divertente… adesso vedremo quando rimetteremo in scaletta ‘Hiroshima…’ e ‘Kree Nakoorie’.”
Ma qual è il significato di ‘Kree Nakoorie’?
“Parla di una tribù leggendaria del Sud America, e Kree Nakoorie è il loro nome. La particolarità è che si tratta di una tribù che non è mai stata fotografata, e quindi la loro stessa esistenza viene messa in discussione per l’assenza di immagini correlate…”
Curioso, perché dal nome credevo si trattasse di una qualche tribù del Nord America…
“No, no… qui parliamo del Sud America o al massimo dell’Africa: una tribù il cui misticismo risiede nel fatto che la gente riferisce di averne visto i componenti, ma di non averli mai fotografati.”
A proposito di titoli, penso che ‘Take No Prisoners’ debba essere proprio un disco speciale per voi, visto che avete scelto di inserire per la prima volta un pezzo chiamato ‘Alcatrazz’…
“Eh sì: appena ho letto il testo ho proprio pensato che sarebbe stato forte avere un pezzo con il nome del gruppo, un pezzo che è anche un punto di vista diverso sul tema ricorrente della “prigione”. Tutto è partito da un’idea di Joe, che aveva in mente un paio di pezzi veloci, da “doppia cassa”, e mentre eravamo a Preston in Gran Bretagna per qualche giorno ne abbiamo arrangiato uno, che poi è appunto diventato ‘Alcatrazz’.”
Vi vedremo in Italia nel prossimo tour?
“Non so: ci abbiamo suonato di recente, in un festival, ma non so che città fosse… probabilmente era in campagna. Comunque, è stato un grande show e il pubblico è stato fantastico, non me lo aspettavo! E poi, sono stato una decina di giorni a Castellaneta, a casa del nostro batterista. Un sogno: cibo, birra, divertimento… la gente era davvero simpatica e gentile. Ero appena stato a Edimburgo per registrare le voci e mi sono portato i microfoni per registrare la batteria a casa di Larry, in una situazione super rilassata. Ha una bella casa, con le mura spesse… anche troppo spesse! È andata benissimo, e ho mangiato anche troppa pizza! La gente continuava a dirmi che la pizza in Italia è diversa, ma io rispondevo che mi trovavo benissimo con quella di Boston… eppure devo dire che non avevo mai mangiato nulla di simile!”
Meno male: ricordo che proprio Lemmy diceva che la pizza di New York è meglio di quella italiana…
“Beh, la pizza a Boston è fantastica, la pizza a New York è fantastica e anche qui a Chicago ci sono ottime pizzerie. Ma la pizza in Italia… parlo della crosta, davvero diversa da qualsiasi altra. Molto sottile e molto ben fatta, e poi gli insaccati: a me piace la Pepperoni [così gli americani chiamano la pizza con il salame, NdR], per non parlare del prosciutto e anche dei funghi. E poi eravamo continuamente in giro a provare posti nuovi, come Gioia del Colle…”
Beh, dopo questa carrellata non mi resta che salutarti e augurarti il meglio per il prossimo tour!
“Grazie e… un saluto ai lettori di Metal Hammer!”