In Flames – Il tempo non perdona
Il 04/03/2023, di Dario Cattaneo.
L’ultimo In Flames è stata una bella sorpresa per molti fans… Con un sound che risulta aggressivo e potente come non lo era da anni senza per forza guardare (copiare) da proprio passato, la più imprevedibile delle band di Gotheborg sembra aver fatto centro dopo il già buono ‘I, The Mask’. Nel cercare di investigare l’aggressività e la cupezza di musica e testi con il cantante Anders Friden apprendiamo in fretta che la pandemia del 2020 lui non l’ha apprezzata proprio…
Bene… da quello che la gente ha sentito dei singoli pubblicati e dal nostro preascolto dell’album, mi sembra proprio che ‘Foregone’ viaggi sul lato un po’ più aggressivo degli In Flames… non parliamo di “ritorno a vecchie sonorità” o che perché so che spesso gli artisti non sono d’accordo con queste frasi fatte, mi riferisco proprio a un sound più feroce, più urgente…
“Dopo tutta la faccenda della pandemia, direi che le basi per un sound come dici tu più aggressivo c’erano tutte. Voglio dire: non puoi uscire, non puoi suonare davanti ai tuoi fans, non puoi lavorare a nuova musica come hai sempre lavorato… tutto questo ‘non puoi’, mischiato insieme alle vicissitudini che ha passato la band anche come line-up ci ha fatto chiedere delle volte se ci fosse in effetti stato un album dopo ‘I, The Mask’. Poi tutto è tornato vagamente come prima, ma le macerie restano e anche il periodo successivo al lockdown non è stato facile. Finisce la pandemia, e in europa arriva la guerra. “Frustrante”, ecco come definirei il periodo; ed ecco come mi sentivo durante la scrittura. Penso che alla fine molto di questo malumore sia finito nei solchi dell’album che è risultato quindi… sì, più aggressivo. Comunque diciamo che è successo, nmon che ci siamo seduti e abbiamo detto: ‘Hey, facciamo un album aggressivo’, noi abbiamo composto, e questa è l’espressione che la musica doveva avere.”
Un processo naturale insomma.
“Si, direi di si. Anche perché componiamo in genere in momenti specifici, quando vogliamo fare un album, e quindi venendo i vari brani dallo stesso periodo, risultano tutti un po’ sullo stesso vibe. No?”
La pandemia quindi ha influenzato fortemente scrittura e produzione nel vostro caso. Altre band invece dichiarano che – al di là della normale frustrazione nell’essere bloccati nelle proprie attività – non hanno avuto particolari impatti nel modo di lavorare…
“Si, nel nostro caso è stato un evento fortemente influenzante. Eravamo nel bel mezzo del tour di ‘I, The Mask’, in Nuova Zelanda, e ci hanno rispediti a casa. Non si sapeva niente, non c’erano informazioni. Non potevi fare niente e non sapevi perché o per quanto. Poi si è riaperto tutto, ma a singhiozzi. Prima la spesa, ma non i ristoranti, poi i bar ma non le cene. Poi puoi uscire ma non puoi fare concerti. Dopo che sembrava si vedesse una fine, è arrivata la variante Omicron, e di nuovo tutto da zero. Gente che ero abituato a vedere in tour tutti i giorni che la dovevo sentire per telefono o via computer. Come ti ho detto, è stato frustrante, soprattutto non sapere quando sarebbe finita. Siamo una touring band dopotutto, e questa cosa ci ha toccato sulla parte più importante del nostro lavoro.”
Nessun lato positivo?
“No, non la metterei nemmeno così. In realtà un insegnamento lo devi trarre sempre da eventi così globali, e almeno io personalmente ho approfittato del tempo vuoto per fare un senso a molte cose. Alla band, alla musica. Alle persone. Tutto quello che era routine: il classico registro, tour, riposo e riregistro; mi è sembrato non più così tanto scontato. Il fatto che io stia facendo questo da vent’anni non vuol dire che qualcuno o qualcosa non possa portartelo via da un momento all’altro. E quindi ho pensato e riconsiderato molte cose. E’ stato importante, anche questo è finito nell’album, se ascolti bene.”
Andando più sul tecnico, la produzione mi ha davvero stupito. Un sound così potente non lo avevate da tempo se posso permettermi… come siete arrivati a questo risultato? E’ stata una cosa voluta, avete spinto su questo aspetto o è semplicemente venuto fuori naturalmente e vi è piaciuto?
“Penso che abbiamo sempre curato la produzione e la resa sonora, ma devo dire che in effetti il risultato su ‘Foregone’ è eccellente. Un po’ è cercata, abbiamo voluto le chitarre più nel front del mix, più sparate in faccia diciamo, e questa è stata una decisione cosciente. Poi un aspetto sicuramente importante è il fatto che Joe Rickard, che qui si è occupato del mixing, ha effettivamente suonato con noi per 4 anni. Ci conosciamo bene adesso, e quindi non ho avuto bisogno di spiegargli che tipo di sound volevo: ci è stato dentro e lo sapeva già. Comunque è vero che la produzione qui è contata molto: abbiamo prestato davvero molta attenzione al risultato finale, non solo alla qualità delle composizioni.”
E che mi dici degli altri ‘nuovi’ membri? Tanner e Broderick hanno contribuito alla stesura e a questo sound così potente?
“No, gli unici a scrivere musica e testi siamo Bjorn (Gelotte, ndR) e io, ma è stupido dire che non hanno contribuito al sound. Suonano loro, dopotutto. Hanno chiaramente messo del loro, come abilità e anche come energia e capacità di trascinare anche noi altri. Alla fine sembra una frase fatta, ma credo siano i migliori musicisti che abbiamo avuto per gli In Flames. La bravura di Chris (Broderick, ndR) è nota a tutti e Tanner ha un energia che per noi era davvero nuova. Sono incredibili e se ne stanno accorgendo tutti, soprattutto quando sono on stage.”
Una domanda proprio su Broderick… Il suo stile, ascoltato senza sentire ‘Foregone’, sembra diversissimo da quello di Bjorn. Come hanno trovato un’alchimia così buona, avendo punti di partenza a mio parere così distanti?
“In realtà conosciamo Chris da tanto tempo. Dai tempi di Jag Panzer e Nevermore… abbiamo fatto diversi tour insieme, anche prima che entrasse nei Megadeth. Penso che non sia stato difficile per Bjorn e Chris trovarsi, essendoci una affinità già da prima. Devo dire che è vero che hanno stili diversi: Bjorn è definitivamente influenzato da un chitarrismo più classicamente heavy come Sabbath, Rainbow e Dio, mentre Chris è decisamente sul lato tecnico, è uno shredder alla fine. Gli piace anche il flamenco, e tanti generi fuori dal metal. Penso che Chris abbia un po’ influenzato e spinto Bjorn, però direi che è una collaborazione che fa bene a entrambi. Mi piace il fatto che – come dici tu – abbiano stili diversi, perché poi vengono fuori con idee e soluzioni diverse e questo arricchisce la band. Non sarebbe noioso avere due chitarristi con stili identici? Io penso di si.”
Molte canzoni parlano del concetto di tempo. Un concetto però diciamo volto al negativo, nel senso di tempo che non abbiamo, tempo che corre via, tempo che abbiamo sprecato. E’ solo una sorta di filo conduttore questo tema o c’è un concept specifico dietro?
“No, è una sorta di tema di fondo, nessun vero concept. Non c’è una storia dietro, è solo un tema, ed è venuto fuori in maniera naturale dopo le cose che ti ho già detto su come ho vissuto la pandemia. E’ stato in quel periodo che ho pensato al tempo come alla cosa più preziosa che ho. Tempo che mi stava venendo portato via dal non potere fare niente. E quindi questo ha influenzato il mio umore, che poi ha influenzato la scrittura e i testi. Quindi sì, il tempo è decisamente il tema portante di ‘Foregone’, perché molti dei miei pensieri sono vagati in quella direzione.”
Una cosa che contraddistingue molte band di successo è quello di rimanere freschi, rinnovare il proprio stile, pur mantenendo però un ‘core sound’ immediatamente riconoscibile. Bene o male gli In Flames ricadono in questa categoria, perché avete cambiato tanto il sound, pur mantenendo comunque un impronta originale che fa sempre capire chi si sta ascoltando. Come pensi di essere riuscito a raggiungere questo obbiettivo?
“Classica domanda cui un artista fa fatica a rispondere, eh eh eh (ride, ndR). No beh, immagino che se è come dici te è perché ci piace quello che facciamo. Puoi prendere decisioni, lavorare un album con la testa, metterlo giù a tavolino, ma alla fine se lo fai perché ti piace, è difficile che i gusti, nel loro senso più intimo, cambino. Quindi puoi optare consciamente per esplorare nuove sonorità, ma se fai la musica col cuore in fondo una traccia di quello che ti ha fatto iniziare la trovi sempre. Non ti so dire come funziona bene, prendila come una magia se vuoi, ma alla fine direi che appunto la musica degli In Flames è riconoscibile perché siamo sempre noi a farla e lo spirito alla base è restato il medesimo di quando abbiamo cominciato a suonare con gli altri nostri amici (immagino si riferisca a Dark Tranquillity, Cerimonal Oath, etc, il che ha portato alla domanda successiva, ndR).”
Allargando un po’ l’orizzonte, possiamo però dire che oltre ad aver creato il sound degli In Flames, avete un po’ creato il sound di Gotheborg, voi e le band vostre amiche. Come vi sentite invece per questo ruolo di pionieri di un’intera scena della musica heavy metal?
“Alla base c’è l’amicizia. Eravamo molto uniti agli inizi, tutti amici insomma. E quindi abbiamo cominciato a lavorare a band diverse, che poi si sono anche intrecciate, con lo stesso entusiasmo, la stessa spinta, gli stessi obbiettivi. E ognuno ha fatto la sua strada, ma il punto di partenza era comune, e quindi questa solidità ha formato un manipolo di band che hanno, come dici tu, creato una sorta di scena. Come mi sento io al riguardo… beh, è figo no? Ho fatto quello che mi piaceva, ho seguito la mia passione, e qualcosa è nato dagli sforzi miei e dei miei amici. Però non posso dirti di sentirmi più importante o superiore per questo. Mi sento come mi sentivo quando sono partito, e il fatto di avere avuto un influenza su un genere musicale non credo mi renda in qualche modo migliore. Sono felice di averlo fatto… tutto qui.”
A questo punto, chiudendo questa serie di domande più ad ampio respiro sulla tua carriera, quale pensi sia il più importante dono che la musica ti ha dato negli anni?
“Penso non sia solo una sola cosa. Ho potuto viaggiare, e questo è importante. Ho conosciuto luoghi, persone. Ho conosciuto il mondo nel mio piccolo, e questo è un grandissimo dono. Sono riuscito a fare una carriera di un mio sogno, e questo è un dono che vorrebbero in molti immagino. Suono, lavoro in studio, produco… di fatto continuo a fare quello che mi piace, e sono assolutamente felice e soddisfatto di poterlo fare. E’ il modo in cui ho utilizzato il mio tempo, e penso di averlo usato bene… mi sono fatto questo dono.”