ESCLUSIVA! Fear Factory – Milo Silvestro, Welcome To The Factory!
Il 26/02/2023, di Gianfranco Monese.
Un ragazzo di Ostia, che come molti, da adolescente se la spassava a imitare nella propria cameretta idoli come i Fear Factory, una delle sue band preferite, ora è il loro cantante. Come dite?! Sembra la trama di un film? E’ la sinossi di un romanzo? Un esempio di come si possa viaggiare fin troppo con l’immaginazione, arrivando a pensare a qualcosa di immateriale, un pò come quando, ad occhi aperti, più volte ci siamo chiesti: “chissà cosa potrei fare, se vincessi al Supernalotto”? No, niente di tutto ciò: quello che vi stiamo scrivendo, è la pura e semplice realtà. Milo Silvestro è stato da poco ufficializzato come il nuovo cantante della band groove/industrial metal con base a Los Angeles. E noi di Metal Hammer Italia, potevamo farci sfuggire l’occasione di intervistarlo? Potevamo non regalarvi la testimonianza di una persona che sta sognando ad occhi aperti? No, fidati lettori, certo che no: vi amiamo troppo per non regalarvi un’intervista del genere, da primi in Italia, oltretutto. Mettetevi comodi, quindi, e godetevi questa lettura, fatta non di sogni nel cassetto, ma di sogni che si avverano…
Ciao Milo, grazie della tua disponibilità e benvenuto a Metal Hammer Italia. Come stai innanzitutto? Eccitato per questa nuova avventura?
“Grazie a voi, grazie di avermi nel vostro spazio: sto alla grande, ovviamente super teso ed emozionato, perchè questa è una di quelle situazioni ed esperienze che capitano una volta ogni quattromila miliardi di vite, quindi ti puoi immaginare come mi possa sentire. I Fear Factory sono stati, anzi sono tutt’ora una delle mie tre band preferite di sempre, quindi diventare il cantante della tua band preferita è sicuramente qualcosa che non capita tutti i giorni. E quando capita, è una di quelle sensazioni che ti manda quasi fuori di testa, è pazzesco, della serie “sogno o son desto?”. Quindi, ripeto, sto alla grande e sono carico per affrontare il primo tour in compagnia degli Static-X. Siamo tutti belli carichi e positivi.”
Ti va di presentarti ai nostri lettori? Chi è, o chi era Milo Silvestro prima di entrare nei Fear Factory? Qual’è il tuo background?
“Il mio è un background musicalissimo, in quanto ho avuto la fortuna di essere nato in una famiglia di musicisti, che fanno questo come lavoro. Mia madre, Giovanna Bosco, è una cantante e un’insegnante di canto, si muove nel panorama rock, blues, gospel… Lei e il suo compagno, Mario Donatone, hanno un coro gospel didattico a Roma, con il quale fanno serate un po’ ovunque, e sono due grandi musicisti e insegnanti per quanto concerne il panorama afroamericano, blues, soul, musica italiana e romana. Invece mio padre, Remo Silvestro, è un chitarrista blues, pure lui noto nella scena romana. E’ stato compositore per un paio di artisti a Sanremo negli anni Novanta, tra cui Paola Turci, per la quale ha scritto il pezzo ‘Ringrazio Dio’, che poi è stato riarrangiato l’anno successivo per Toquinho. Adesso si dedica perlopiù a date live, abbiamo insieme uno studio di registrazione. Quindi questo è stato il mio background, tutti loro mi hanno trasmesso la passione, l’amore per la musica in generale, non il metal a cui sono stato introdotto nella mia adolescenza da amici, come sarà capitato a tutti, tuttavia mi hanno dato un bel background, una passione soprattutto per la musica americana, compreso il sound di quella lingua, come ad esempio James Taylor, David Crosby, tutta la musica folk acustica americana. Io, ironicamente, nasco come batterista, in quanto all’età di dodici anni ho iniziato a sviluppare la passione per tutto ciò che riguarda gli strumenti a percussione, quindi batteria, percussioni, multi percussioni… Il canto è arrivato dopo, quando avevo all’incirca diciannove/vent’anni, per esigenze personali, come il cominciare a scrivere testi, avere la possibilità di sfogare determinate emozioni: da qui è nata la necessità, intesa come terapia, di approcciarmi al canto metal, quindi cominciare a imparare da solo, ascoltando dischi, lo scream, il growl e tutto il resto. Poi, nel corso di questi anni, grazie all’estrema passione per la musica, mi sono imbattuto anche in altri strumenti come la chitarra, il basso: ho avuto un gruppo metal nel quale suonavo la chitarra, dopodiché mi sono avvicinato alla musica elettronica, synth, scratch, ecc ecc… Quindi questo è quello che ho fatto fino ad ora: seppur senza aver mai intrapreso un tour, sono un musicista di professione, lavoro in uno studio, faccio date perlopiù a Roma, raramente fuori, però grosso modo questo è il mio background.”
Dato che hai leggermente anticipato l’argomento, con quali gruppi sei stato introdotto al metal da adolescente?
“Ovviamente l’ingresso nel metal è stato abbastanza cliché, perché sono stati i Metallica: ero in prima liceo, avevo quattordici anni e come compagno di banco avevo questo ragazzo grosso, capellone che mi diceva “senti questo gruppo che spacca, i Metallica, senti quanto sono cattivi!” (ride, ndr.) E quindi mi introdusse a ‘Kill ‘Em All’, il loro primo album, che è tutt’ora uno dei miei dischi preferiti in quanto, come si dice da noi a Roma, è uno di quei dischi “belli veraci”, che racchiude un po’ l’essenza della band. Da lì è partita la passione verso questo stile, che poi ovviamente si è estesa verso generi sempre più estremi: mi ricordo che appena un anno dopo, a quindici anni, un altro mio amico che conobbi allora, mi introdusse a band della sponda nu metal, come Korn, System Of A Down, Static-X, Fear Factory, Coal Chamber, Slipknot… Quindi, passando da Metallica, Pantera, fino a Slipknot, Korn, e via dicendo, grazie a queste persone è iniziato questo viaggio, che uno o due anni dopo è divenuto fondamentale per affrontare certe situazioni, come drammi adolescenziali, quali la ragazza che ti lascia e altro, per le quali devi sfogare tutta quella sofferenza e rabbia. Come un pò per tutti, anch’io nel metal ho trovato oltre che una bella musica da ascoltare e di cui godere, anche una sorta di terapia d’urto efficacissima: lì si è consolidata questa passione spasmodica verso questo genere.”
Ottimo, cominciamo a parlare nello specifico dei Fear Factory: come sei venuto in contatto con la band, arrivando suppongo a una selezione?
“Innanzitutto si parla del 2020, poco prima del lockdown; in quel periodo ho fatto un medley di ‘Soul Of A New Machine’, il loro primo album, un video con le mie canzoni preferite tratte da quell’album. Era un qualcosa fatto semplicemente per svago, per farlo sentire a un pò di persone, senza nessuna pretesa. Io non sapevo nulla di eventuali audizioni, in realtà ufficialmente non era neanche in atto un’audizione: tutto ciò che si sapeva dei Fear Factory era che erano frenati da una causa legale con gli ex membri. Tuttavia, creato quel video, sono andato alla ricerca di una fanpage della band su Facebook, in modo da farlo ascoltare a un pò di gente, e ho trovato questo gruppo dal nome The New Breed Of Fear Factory, una pagina gestita da ragazzi australiani che hanno pure un Fear Factorium, quindi si può dire che sono un fan club ufficiale australiano. Bene, ho postato il medley su quella pagina, ripeto senza nessuna pretesa, e Dino Cazares, che stava in quel gruppo, lo ha commentato scrivendo “f******cking amazing” con millequattrocento “U” (ride, ndr.). Quando ho visto il suo commento ero sconvolto, perchè avendoli visti due volte dal vivo, di cui una a Roma, io mi ero fatto le foto con loro, in quanto li stimo tanto, per me sono degli idoli, quindi puoi capire come ricevere un commento di complimenti dal “maestro” sia fighissimo. Tuttavia, tutto ha preso piede quando, tra fine febbraio e inizio marzo 2020, come tutti i musicisti, un pò per ammazzare la noia e far passare il tempo, ho realizzato un’altra cover, sempre nel mio studio, con la GoPro, una vocal cover questa volta di ‘Resurrection’ e ‘Timelessness’ (ultimi due pezzi di ‘Obsolete’ [1998], ndr.) e altri due brani. L’ho postata, e lui mi ha nuovamente commentato, elogiando il lavoro che avevo svolto, e io l’ho ringraziato. Il giorno dopo, mi ha contattato alle sette di mattina su Messenger, non ci credevo. Mi ha scritto di aver notato quello che avevo fatto, e di essere rimasto impressionato, chiedendomi di potermi fare qualche domanda. Quindi, sai, già leggendo queste cose un pò ti immagini cosa stia per succedere, tuttavia ho deciso di rimanere con i piedi per terra: la situazione era un pò goffa, perchè non puoi certo sembrare come un fan, ma nemmeno tirartela. Quindi abbiamo parlato, mi ha chiesto l’età, mi ha chiesto del mio studio, in quanto gli è piaciuto come le voci erano state prodotte, e di fare altre cover. Ovviamente l’ho fatto, e da lì senza sapere cosa bollesse in pentola, ho detto ai miei genitori e a qualche amico che Dino Cazares mi aveva contattato. Poco dopo è uscita la notizia che lui stesse cercando un cantante per un suo gruppo solista, Dino Cazares Solo Project, in quanto i Fear Factory erano ancora frenati da questa causa legale, e lui stesso all’epoca non sapeva se sarebbe mai stato capace di riprendre in mano le redini della situazione. Quindi, chiaramente, per un musicista che vive di questo, doveva comunque crearsi un modo per andare avanti. Io, ovviamente, ho creduto che fosse per questo che mi aveva testato, motivo per il quale ho continuato a consegnarli delle cover. Poi, verso luglio 2020, Dino è riuscito a riappropiarsi del nome Fear Factory, quindi a riavere in mano tutto quanto, e successivamente, quando verso settembre Burton C. Bell ha annunciato la sua dipartita dalla band, pochi giorni dopo Dino mi ha scritto dicendo di essere alla ricerca di un cantante per i Fear Factory, chiedendomi se volessi provare. Mai avrei potuto immaginare di concorrere per quel titolo, per me non era neanche un sogno: lo è finchè sei in cameretta, a sedici anni, a fare il coglione saltando sul letto e immaginando di cantare in quella band, ma non è un sogno realistico, no?! Io sapevo solo della disputa legale, non sapevo che Bell stesse per andarsene, quindi fino al giorno prima non ho mai immaginato di poter aspirare a qualcosa di più del Dino Cazares Solo Project: già quello era qualcosa di fenomenale. E’ stato fantastico, non potevo crederci, pur stando con i piedi per terra, anche perchè davanti a un’audizione mondiale, mica vai a immaginare che Dino va a prendere uno di Ostia (ride, ndr.). Ci sentiamo molto paesani, no?! Cioè, potrebbe prendere uno strafigo di New York, tutto tatuato, cosa se ne fa di uno da Ostia?! Fa un po’ ridere, no?! (ride, ndr.) Diciamo che ci credevo come no, nel senso che dato che mi ha notato sapevo di avere delle chance, pur restando con i piedi per terra. Ha quindi fatto quest’audizione mondiale, per la quale ha ricevuto, a detta sua, trecento provini di tutti i tipi, e nel frattempo, a inizio 2021, mi ha chiesto di venire da lui a fare l’audizione fisica. Purtroppo, causa travel ban non potevo, e lì per lì mi ha spaventato l’idea che questo Covid potesse aver annullato una chance, ma poco dopo fortunatamente ce l’abbiamo fatta, dato che l’8 novembre 2021 il travel ban è stato annullato ed io, avendolo saputo un po’ prima dalla band, il giorno stesso mi sono precipitato a Los Angeles, facendo poi una settimana di provini, solo io, lui con le strumentali pompate a stecca dal telefono sull’impianto. Ricordo che il primo giorno lui, con nonchalance, ha detto: “si si, penso che posso lavorare con te, adesso vediamo come gestire il discorso del visto lavorativo, ecc ecc…” E io dentro di me pensavo: “quindi mi hai preso?!” (ride, ndr.) La prima impressione non è stata un qualcosa di ufficiale, come se fossi stato confermato, è stato un qualcosa di progressivo, morbido. Dentro di me stavo esplodendo, ma non potevo neanche esultare troppo. Il tour che andremo ad affrontare ora con gli Static-X, dal titolo ‘Rise Of The Machine 2023’, doveva accadere a febbraio 2022, quindi tornato in Italia una settimana dopo, l’idea era quella di andare in tour di lì a pochi mesi. Solo che poi, verso dicembre, è stato annullato per una nuova ondata di Covid, posticipandolo appunto a quest’anno. Da una parte è stato meglio non aver affrontato un tour lo scorso anno, in particolar modo per me, che ho avuto più tempo per prepararmi fisicamente, psicologicamente, avere modo di testare la resistenza della mia voce, perché non avendo mai fatto tour, seppur canti da quindici anni e suoni da venti, un conto è fare alcune date qua e là, un altro è fare 42 date attaccate con un giorno libero la settimana. Mi sono esercitato facendo due ore di setlist dei Fear Factory al giorno per un mese e mezzo, vedendo come reagiva la voce. Fortunatamente la reazione è stata positiva, quindi dopo un anno di preparazione più altri casini burocratici come il visto, il 5 febbraio sono venuto qua: stiamo provando tutti i giorni, e adesso siamo quasi alle porte del tour.”
Quindi, da come l’hai raccontata, non hai avuto modo di conoscere altri candidati per il posto di cantante. Non è stata una sorta di “avanti il prossimo”, come dal panettiere…
(Ride, ndr.) “Mi aspettavo una cosa del genere, e pure che ci fossero più giorni di audizione. Non ho avuto modo di conoscere nessuno perché abbiamo fatto delle audizioni separate, una settimana a testa. Fisicamente, qui a Los Angeles credo che Dino ne abbia testati quattro o cinque, grosso modo: una piccola cerchia di tutti quelli che gli avevano mandato i provini tramite video. Ho visto i video di qualcuno, c’erano persone molto talentuose, anche di sesso femminile, però non ho avuto modo di conoscere nessuno.”
Immaginati la scena: tu hai fatto il provino per i Fear Factory, Dino Cazares deve ancora confermarti, e nel frattempo tu dici a te stesso: “beh, non dovesse scegliere me, mi piacerebbe tanto scegliesse…” Chi?
“Se non avesse scelto me, da fan ci sono tanti cantanti che ammiro e che secondo me avrebbero fatto al caso. Molti hanno detto Howard Jones (ex Killswitch Engage, ndr.), e secondo me ha senso: a me lui piace molto, e credo che dal punto di vista del cantato pulito, si sposi bene con lo stile della band, che richiede la particolarità di avere una timbrica molto spessa e baritonale, e quindi credo non sia facile trovare cantanti con quelle sonorità. Howard Jones è sicuramente uno di quelli, poi molti hanno addirittura detto Mike Patton, e lui credo possa fare di tutto e di più, in quanto è Dio sceso in Terra, tuttavia ce ne sono tanti: Corey Taylor, tutti i nomi più blasonati…”
Oltre al tour che hai già anticipato, c’è anche del nuovo materiale in vista?
“Per il momento no: agli inizi era uscita una notizia riguardante un pezzo nuovo, ma poi per vari fattori e prolungamenti di tempistiche, tra cui il nuovo contratto discografico, è stato deciso di convogliare tutto il tempo e le energie per preparare questo tour. Della nuova musica arriverà più in là, non si sa ancora quando. Probabilmente, ma questa è una mia immaginazione, quindi assolutamente niente di certo, forse uscirà qualcosa tra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo, ma ripeto, nulla da prendere alla lettera. Non mi è stato detto ancora nulla a riguardo.”
Qual’è il disco dei Fear Factory che preferisci? E quello che ascolti meno?
“E’ difficile sceglierne uno tra quelli che preferisco: sicuramente, quello che mi ha introdotto alla band è stato un disco un po’ controverso, in quanto un pò “schifato” dalla vecchia scuola, e si chiama ‘Digimortal’, un album che era più affine al sound che mi rappresentava all’epoca, e che ancora mi rappresenta: molto groovy, downtuned, accordature basse, trovo la combinazione tra il groove e l’uso del doppio pedale veloce, pazzesco, mai visto prima e molto innovativo. Poi l’uso dell’elettronica, venendo io stesso da quel mondo, l’ho sempre adorato, soprattutto i crossover, cioè il mix tra diversi generi musicali, quindi ‘Digimortal’ è stato sicuramente il trampolino di lancio. A questo segue ‘Obsolete’, ovvero l’album successivo con cui mi sono “incastrato”. Probabilmente ‘Obsolete’, man mano che ho proseguito con gli ascolti, è finito per superare ‘Digimortal’, anche per il discorso tematico del concept album: ricordo che mi era stato regalato da un amico, e che ascoltandolo mi ero letto la storia riportata nel libretto, entrando in un’esperienza catartica. Quindi quel disco ha un qualcosa di magico, no?! Dopo questi due, metterei ‘Genexus’, un album prodotto un pò più in là negli anni, ma secondo me un lavoro che racchiude un pò il sound dei tre colossi, ovvero ‘Demanufacture’, ‘Obsolete’ e ‘Digimortal’: li racchiude un pò tutti, in una chiave moderna. ‘Trasgression’ è, invece, quello che ascolto meno. Dunque: tutti sappiamo che ha avuto dei problemi a livello di produzione, che se fosse stata migliore, ai livelli di ‘Genexus’, lo avrebbe portato non dico all’altezza dei dischi storici, ma sicuramente ad essere più passabile. Contiene dei pezzi che mi piacciono, come ‘Contagion’, ‘Echo Of My Scream’ o ‘My Grave’, b-side di quell’epoca, però sicuramente è il disco che ascolto meno, soprattutto per il fatto che la produzione è molto grezza, facendolo suonare quasi come un demo: questo fattore gioca, purtroppo, una grossa parte.”
…e i tuoi tre dischi di sempre?
“Ehm, tre è difficile…”
Dai, puoi dirmene cinque, non siamo così fiscali…
“Innanzitutto ti cito ‘Obsolete’ dei Fear Factory, poi ‘Iowa’ degli Slipknot, in quanto sono legato a quell’era della band. Come terzo dico ‘Wisconsin Death Trip’ degli Static-X, con cui appunto condivideremo un tour, cui segue ‘Follow The Leader’ dei Korn. Se posso, te ne direi altri due, ovvero ‘The Height Of Callousness’ degli Spineshank, e l’omonimo dei Coal Chamber. Tra l’altro, questi ultimi due gruppi sono pupilli dei Fear Factory, in quanto Mr. Cazares è stato colui che ha aiutato queste band della scena locale di Los Angeles a firmare per la Roadrunner, quindi diciamo che sono sub-affiliati.”
…e molto sottovalutati a quel tempo, secondo me. Avendo vissuto, come te, l’epoca del nu metal, quando il genere esplose, divenendo saturo e consegnando molte band anche sopravvalutate, Spineshank e Coal Chamber avrebbero meritato di più.
“Sono d’accordo, anche perchè penso che soprattutto in Italia non hanno avuto la stessa popolarità che hanno avuto oltreoceano, forse anche per il fatto che sono stati accostati un pò troppo alla “wave” del nu metal. Io credo appartengano a un sound comunque più affine al metal, anche se groovy, che non al pop, a cui il nu metal è stato accostato più avanti, a partire dal nuovo millennio, ovvero un genere più appetibile a chi ascoltava pop, motivo per il quale è stato anche criticato dai metallari stessi, quelli vecchia scuola.”
Ora andrete in tour con gli Static-X, ma volendo usare un po’ d’immaginazione, con quali altre band ti piacerebbe condividere il palco? Qual’è il tuo festival dei sogni, nel quale ti piacerebbe suonare con i Fear Factory?
“Ce ne sono tantissimi: innanzitutto i Pantera con questa nuova formazione, che io supporto, essendo contento che stiano facendo questo nobile tributo. Poi con i Metallica: sarebbe fighissimo. Dopodichè i colossi del nu metal, come Korn, Slipknot, Coal Chamber, poi i Rammstein, i Meshuggah: secondo me se si unissero Meshuggah e Fear Factory, la gente potrebbe esplodere (ride, ndr.), perchè credo siano le due band responsabili di questo sound moderno che chiamano djent, oltre che del metalcore, ovvero di stilemi di doppia cassa incastrata con la chitarra, un qualcosa che proviene appunto dai Fear Factory e, subito dopo, anche dai Meshuggah, quindi se si avessero questi due colossi nonché pionieri di questo stile, credo che la gente impazzirebbe.”
E per quanto concerne band italiane?
“Beh, i Lacuna Coil sono il primo nome che mi viene in mente: seppur più morbidi, li apprezzo molto. Sarebbe molto bello condividere il palco con loro. Dopodiché ci sono i perugini Fleshgod Apocalypse, che non ho mai incontrato personalmente, ma con cui mi piacerebbe condividere il palco, in quanto anche loro ci danno dentro con la velocità, pure troppo: i Fear Factory erano veloci negli anni Novanta, ma i Fleshgod Apocalypse sono peggio! Poi ti direi gli Extrema.”
Dato che stai vivendo il sogno di tutti, ovvero quello del classico fan che si ritrova a cantare in una delle sue band preferite, che consiglio ti senti di dare ai musicisti di oggi?
“Ti dirò una cosa molto scontata, molto cliché, e non posso fare altrimenti, ma auguro a tutti di non mollare mai: se vi piace qualcosa, se la vostra vocazione è quella, che sia il cantante metal, o il pasticcere, il cuoco, il muratore, l’avvocato, date pure gli organi interni per farlo. Fate tutto ciò che è in vostro potere, e anche di più. Io mi sono dato molto da fare, ma ho avuto anche molta fortuna, che sicuramente è necessaria, ma è un qualcosa fuori dal nostro controllo: uno può solo far ciò che è nel proprio controllo, per far si che gli avvenimenti accadano. Ora ti racconto un episodio che è la prima volta che dico in un’intervista, l’ho detta solo a Dino, e figurati se se la ricorda: devi sapere che una delle cose un pò estreme che ho fatto, è successa la prima volta che ho visto i Fear Factory, all’Estragon di Bologna. Sono andato con il mio batterista, portandomi dietro cinque/sei demo brutti, inseriti in quelle bustine di plastica (che ricordi, ndr.), e durante il concerto li abbiamo lanciati sul palco. Ricordo che Dino si è visto questo demo da me lanciato, volare sul palco, al che guardandolo, ha poi avvisato il tecnico di prenderlo. Non sapeva neanche cosa fosse. Io gliene ho lanciati, credo, altri tre. Questo era il grado di disperazione che i musicisti underground conoscono molto bene: questa fame, questa voglia disperata di farcela. Non è poi così brutto mettere davanti a tutto i propri sogni, piuttosto che gettare la spugna e andare a fare un lavoro che non piace. Io ho sempre pensato a fare questo, sin dal primo giorno che ho iniziato a suonare, nonostante i miei genitori, seppur musicisti, mi abbiano sempre chiesto se fossi sicuro, consapevoli che non sarebbe stata una strada facile. Quindi, questo è il consiglio che mi sento di dare: se siete sicuri di identificarvi in una cosa che sapete fare meglio e nella quale vi sentite meglio, fate tutto ciò che è possibile, ovviamente per vie legali (ride, ndr.), perché personalmente penso che la vita sia una, e sarebbe troppo tragico avere l’aspettativa di una vita misera, fare qualcosa che non ci appaga, avendo un costante rimorso. Certo: non tutti hanno i mezzi, non tutti nascono con gli stessi vantaggi, io stesso non sono nato né con gli stessi vantaggi, ma nemmeno con gli svantaggi di altri, però credo che se si ha una vera passione, di cui non si può fare a meno, ciò porterà comunque a lottare con le unghie e con i denti, pur con tutti i disagi che il percorso comporterà. Quindi “daje”, come si dice a Roma, e non mollate mai!”
A gennaio è uscito il nuovo album dei Måneskin: un fenomeno mondiale come ad esempio questa band, può far ritornare nell’adolescente, nel giovane, la passione per uno strumento musicale, cosa che mi sembra sia calata mostruosamente negli ultimi anni, così come la voglia di uscire di casa, incontrare altre persone, e perchè no, formare una band?
“In realtà, questo fenomeno me l’hanno fatto presente in molti: da quando i Måneskin hanno raggiunto questo successo mondiale, un sacco di ragazzi si stanno avvicinando agli strumenti musicali, il che per me è una cosa assurda, nel senso: come si fa ad allontanarsi in massa, avere una riduzione di adesioni verso la musica, è assurdo, no?! Quindi, come dici te, sicuramente siamo in una specie di buio culturale, almeno in Italia, perchè qui in America è già diverso: essendo vasto come continente, c’è spazio per tutti, dalla trap più commerciale, al metal più estremo, c’è un mercato per tutto. Invece il mercato italiano, da quello che ho notato io, punta sempre sul sicuro: non c’è chi rischia, provando un sound diverso, motivo per cui se oggigiorno va il pop italiano sanremese di un certo tipo, e la trap, e spesso una sorta di fusione tra le due cose, non ci si muove di lì. Quindi il fatto che i Måneskin abbiano proposto un genere sicuramente non nuovo, ma moderno e condito con elementi sapienti di rap ed elettronica, piacciano o meno, penso che una piccola mano alla situazione culturale attuale la stiano dando: qualche ragazzo sta cominciando ad avvicinarsi alla musica suonata, per quanto io ritenga suonata anche la musica creata al computer, o scratchando con il giradischi, e al rock in particolare. Un pò come i Linkin Park, più di vent’anni fa, che molti odiavano in quanto accostati al nu metal, seppur di nu metal avessero poco, secondo hanno avuto il pregio che molti, partendo ascoltandoli, sono poi entrati nel mondo metal, arrivando magari ad ascoltare band come Pantera, Metallica, magari addirittura Obituary, Morbid Angel, Fear Factory, quindi secondo me non bisogna demonizzare la commercializzazione di un genere, anche perchè nei Måneskin senti spesso dei rimandi ad un sound chitarristico anni Settanta, motivo per il quale se tuo padre ti becca ad ascoltarli, magari poi ti consiglia i Led Zeppelin, o gli Yes, e da lì ti si apre un bagaglio culturale davvero ampio. Quindi, sono sicuramente buoni per un innalzamento culturale.”
Bene Milo, l’intervista è giunta al termine. Ringraziandoti ancora per la tua disponibilità, se c’è qualcosa che vuoi aggiungere per i lettori di Metal Hammer italia, quest’ultimo spazio è tutto tuo!
“Io ti ringrazio per quest’intervista, voi di Metal Hammer Italia siete stati i primi italiani in assoluto, infatti è stata la prima intervista nella quale ho parlato benissimo! (ridiamo insieme, ndr.) E’ stato un bel ritorno, quello alla madrelingua, ed è stata davvero piacevole, quindi grazie a voi, speriamo di rivederci presto, sia per altre interviste ma anche a qualche data live. Noi ad ottobre dovremmo essere in Europa: le date non sono ancora uscite, ma quando verranno ufficializzate, se ci sarete mi farà molto piacere!
Con la collaborazione di Alessandro Ebuli
Foto in copertina di Stephanie Cabral, tutti i diritti riservati.