Necrodeath – Il conflitto tra il bene e il male, non finirà mai
Il 21/01/2023, di Alex Ventriglia.
Ci avviciniamo al quarantennale di una band che, paradossalmente quasi a sua insaputa, ha realmente fatto la storia del metal estremo muovendosi nell’underground, pur con la consapevolezza di fare le cose “in grande”, i Necrodeath son sempre stati dei precursori, più avanti della concorrenza perché in continua evoluzione e mai allo sbando compositivamente parlando, se vogliamo analizzare ciascun album estratto dalla loro corposa e feroce discografia, che spazia appunto su più fronti. Ovviamente in chiave estrema. Alla quale oggi si aggiunge la classica “ciliegina”, un album colossale, della portata di ‘Singin’ In The Pain’, inizialmente previsto per la fine di Novembre 2022, ma che ha subito contrattempi imprevisti e “pastoie” di vario genere, fortunatamente spazzate via da una formazione stoica e coesa come poche altre. La quale firma oggi, con il tredicesimo full length album marchiato Necrodeath, il suo personalissimo omaggio a uno dei geni della cinematografia mondiale, il compianto Stanley Kubrick, regista di capolavori immortali tra cui appunto “Arancia Meccanica”, “pomo della discordia” e pietra angolare su cui si erge tutta la storia contenuta dentro ‘Singin’ In The Pain’. Per un crescendo rossiniano in cui svettano dissonanze e suoni perentori, flashback d’annata e tanta, tanta violenza. Ma non poteva essere altrimenti, come ai nostri microfoni spiegano Peso e Flegias, elementi storici dei Necrodeath e rispettivamente batteria e voce di una tra le espressioni che meglio hanno rappresentato il Male, spesso in maniera allegorica, rispecchiando tutte le storture della società.
Una domanda che, nel caso di gruppi storici in attività da tantissimi anni, sorge spontanea: gli stimoli, come e da dove arrivano? Può sempre e soltanto la passione? Oppure cos’altro interviene?
“(Peso) In effetti gli stimoli non sono sempre presenti a dirci che dobbiamo comporre per forza un altro album, e purtroppo o per fortuna non abbiamo mai fatto dischi per dovere, ma sempre per piacere. Devo dire che dopo ‘100%Hell’, il primo album che ho composto senza la presenza fondamentale di Claudio, la sensazione di esser stato il principale artefice di un nuovo capitolo Necrodeath mi ha gratificato tantissimo, tanto da lasciare in secondo piano il ruolo di batterista e mettermi a capofitto a fare il compositore, sempre con la collaborazione dei miei compagni d’avventura, senza i quali non avrei mai composto nulla, sia ben chiaro anche questo! In quegli anni infatti sono usciti tanti album perché il motivo principale era il bisogno di scrivere canzoni, una vera e propria necessità di esprimere me stesso attraverso la musica. Oggi non sento più quel bisogno, ma tornando indietro a marzo 2020, quando siamo stati sequestrati in casa per tre mesi, avevo 24 ore di tempo al giorno da trascorrere fra le mura domestiche e qualcosa dovevo fare per non impazzire; comporre nuove canzoni è stata una delle mie terapie e in quei tre mesi sono nati praticamente i primi quattro brani; a quel punto l’idea era partita e i ragazzi erano entusiasti di aver fatto ripartire il meccanismo per arrivare ad un nuovo album e, piano piano, senza nessuna scadenza, abbiamo lavorato fino ad ottenere il risultato che hai sentito”.
Con il nuovissimo album ‘Singin’ In The Pain’ vi focalizzate su una sorta di sdoganamento della violenza, oggi come oggi affrontata come un malessere sociale, al quale, sembra, non facciamo quasi più caso, e, per fare questo, rafforzando il concetto, usate chiaramente l’esempio, l’influenza di ‘Arancia Meccanica’, tratto dal romanzo di Burgess, ma che Kubrick ha trasmesso con più veemenza e lucida follia attraverso l’impatto che solo un grande film può dare. Il quale è stato probabilmente il classico spartiacque tra prima e dopo, su come evidenziare la violenza sul grande schermo. Voi oggi avete deciso di dedicargli un intero concept album, quindi a voi la presentazione in toto…
“(Flegias) A parte sottoscrivere in pieno la tua analisi, noi non possiamo far altro che aggiungere che lo sdoganamento della violenza ci appartiene fin dagli esordi su demo tape. Abbiamo sempre dichiarato il nostro essere persone civili, quasi mansuete… tutta la rabbia l’abbiamo sempre sfogata nella musica. Probabilmente, se non avessimo usato questa valvola di sfogo, oggi saremmo persone diverse. In tutto questo, l’accostamento all’opera di Kubrick ci è sembrata perfetta. L’uso della veemenza al fine di far riflettere e senza nuocere a nessuno, è un perfetto connubio tra il lavoro del regista e il nostro (anche se in modo molto più modesto)”.
Personalmente parlando, ho sempre trovato ‘Arancia Meccanica’ eccezionale e avanguardista – Kubrick è maestro in questo – ma controverso perché allegorico e “quasi” pericoloso per il suo taglio un po’ propagandistico con il quale esprime la sua posizione sulla violenza. Specie per gli anni in cui uscì, agli albori dei Settanta, un momento storico che altri non era che una polveriera… Ma Stanley era un genio anche per questo, precorreva i tempi e amava spiazzare, provocare.
“(Peso) Kubrick è molto pericoloso, non quasi, ma non per noi spettatori, bensì per i benpensanti moralisti, perché guardando il suo lavoro ti rendi conto che la violenza non sta solo da una parte, e forse quella che ti è scaraventata in faccia nella prima parte è solo la punta di un iceberg malato che viene tenuto velatamente nascosto e camuffato. Il film è stato boicottato in tutti i modi e in Inghilterra censurato per oltre vent’anni ed è per questo che abbiamo voluto dedicare la finta copertina censurata al grande maestro, perché nonostante abbiano tentato di seppellire quel capolavoro, alla fine non ci sono riusciti. Il nostro è un omaggio in toto ad ‘Arancia Meccanica’, perché come dici giustamente tu, Stanley era un genio che precorreva i tempi e amava spiazzare e provocare, tutte considerazioni che mi piace pensare siano riportate, nella giusta proporzione ovviamente, anche nei Necrodeath”.
Perché solo voi e i Sepultura (in maniera mediocre nel loro caso, va detto) avete deciso di dedicarvi a un film capolavoro come questo? Voglio dire, è un lungometraggio carico di influenze e suggestioni, ma forse estremamente complesso da affrontare integralmente e con un certo spessore…
“(Peso) Gli artisti attratti e influenzati da ‘Arancia Meccanica’ sono numerosi; riguardo ai Sepultura voglio essere molto sincero, perché nonostante siano stati negli anni ’80 una delle mie band preferite, dopo la dipartita di Max, non li ho più seguiti e anche il loro ‘A-lex’ non l’ho mai ascoltato, ma se ci guardiamo un po’ in giro nel mondo musicale quanti riferimenti troviamo? Chi non ricorda nel video di ‘Welcome To The Jungle’ dei Guns N’ Roses, Axel che subisce il trattamento ludovico? David Bowie per un certo periodo nei suoi show si vestiva come Alex e in qualche brano ha utilizzato il Nadsat, il linguaggio anglo-russo inventato da Anthony Burgess nel romanzo originale. Lana del Rey, i Blur, gli U2 con “Alex descend into hell for a bottle of milk/korova” e tanti altri hanno attinto da quel gran capolavoro, per cui vedi che il mondo musicale è sempre stato attirato da questa storia… È complesso da affrontare, ma le sensazioni che ti regala non ti lasciano immobile ma ti scuotono l’anima e la coscienza, e il musicista deve trasferire in una maniera o nell’altra il messaggio, e questo è quello che ci è capitato anche a noi.
Rimanendo nel campo della cinematografia, chiari ed espliciti anche i vostri rimandi ai film di Tarantino, cosìccome gli omaggi al Dracula di Francis Ford Coppola. La fascinazione per l’estremo passa anche per certe pellicole, oppure da bravi fan del cinema inquieto e inquietante viene naturale esporre tanto amore?
“(Flegias) Un po’ entrambi i casi. È palese che l’ambiente del metal estremo sia fortemente influenzato da pellicole di un certo genere e noi non siamo esenti. Nel nostro piccolo abbiamo voluto omaggiare i grandi film che hanno caratterizzato la nostra subcultura o più semplicemente ne siamo stati indirettamente influenzati. Anche la letteratura ha da sempre giocato un forte ruolo ispiratore, piuttosto che le dottrine religiose antagoniste alla nostra. Direi che alla fine cerchiamo sempre ispirazione da quello che ci passa per la testa in quel momento, senza fossilizzarci troppo su determinati argomenti”.
Anni di fermento questi, per i Necrodeath prima chiamati all’appello con un libro biografico che ha lasciato il segno, apprezzato dai cultori e non solo, poi con una serie di date live che stanno dimostrando che la Bestia Necrodeath non è affatto sazia né doma!
“(Flegias) Sì, siamo un band stakanovista! Anche negli anni di pandemia non siamo stati fermi, abbiamo approfittato per collaborare con Massimo Villa nella stesura della nostra biografia, in contemporanea si buttavano giù le basi per il nuovo ‘Singin’ In The Pain’. Non ci piace troppo restare con le mani in mano. Solitamente, appena terminiamo un tour di supporto a qualche nuova uscita, siamo già chiusi in studio per realizzare l’idea successiva. Questo, a onor del vero, accade fin dal 1998 anno in cui la band si è riformata con me alla voce. Forse tante cose saranno passate in sordina, ma non ci siamo mai fermati. È il nostro stile, la nostra vita”.
Il nuovo album ‘Singin’ In The Pain’ è fuori per la Time To Kill Records, intraprendente ed attiva label gestita da esperti del settore interamente devoti al sound metal più estremo e brutale. Credo che meglio di così forse non poteva andare, per il vostro contesto in cui agite…
“(Peso) La Time To Kill è formata da persone che, oltre ad essere degli amici da anni, sono anche addetti ai lavori che hanno molto rispetto per il nome Necrodeath e questa cosa è molto importante quando decidi di percorrere un tragitto insieme, questo indipendentemente dal fatto che siano anche fan della musica estrema, ma la cosa che mi fa più piacere di questa nuova collaborazione è che ultimamente abbiamo dovuto affrontare delle problematiche insieme dovute all’uscita del disco e senza la piena collaborazione dell’etichetta non so come sarebbe andata a finire, per cui sarò sempre grato a queste persone, perché si sono dimostrate veramente piene di disponibilità nei nostri confronti”.
Quale poteva essere la fatidica “sliding door” per i Necrodeath? Voglio dire, ne abbiamo parlato tante volte, da nome illustre della primordiale scena death metal europea, ma cosa è mancato ai Necrodeath per entrare nel circolo dei nomi fondamentali a livello di giusti riconoscimenti e anche di vendite? Hai mai focalizzato quel momento?
“(Peso) Mah… ognuno ha il suo destino, tanti mi dicono che se non fossimo nati in Italia avremmo ottenuto il successo meritato, ma io rispondo che se non fossimo nati in Italia non saremmo stati i Necrodeath, bensì uno dei tanti gruppi d’oltralpe. Ai tempi di ‘Into The Macabre’ sembra che la Combat Records abbia chiesto la licenza per la ristampa mondiale, dando ovviamente una royalty misera a copia venduta; il produttore pare abbia voluto giocare al rialzo e quelli non hanno mai più risposto. Non ho le prove reali di ciò che sto dicendo perché è solo il racconto del discografico di quei tempi, per cui non posso sapere se è storia vera. Se così fosse, direi che sì, in quel caso il destino dei Necrodeath forse sarebbe cambiato e non saremmo rimasti nel circuito underground. Ma in fin dei conti io ci sto bene nell’underground, ho la mia vita come tutti noi quattro e fino ad oggi per noi Necrodeath è sempre sinonimo di pura passione proprio perché non è mai diventato un business, e forse è questo il segreto della longevità”.
Il nuovo ‘Singin’ In The Pain’ è un album che, pur nella sua complessità di base, colpisce appunto per la sua ricercatezza, non così semplice da trovare e recepire in una espressione estrema e diretta come la vostra; una ricercatezza che comunque scorre fluida e snella, nonostante si avverta subito che trattasi di un disco “monolitico” e dalla scorza durissima. Almeno, questa l’impressione al primo impatto che ho avuto… Ma credo che il tutto sia dovuto andare a braccetto con la storia, con il concetto alla base di ‘Singin’ In The Pain’, che si svolge su più livelli.
“(Flegias) La storia ha sicuramente giocato un ruolo fondamentale nella stesura sia della parte lirica che della parte musicale, ma il risultato finale l’abbiamo percepito così come lo hai percepito tu, solo a giochi fatti. Così come da ‘Mater Of All Evil’ in avanti, le somme siamo abituati a tirarle alla fine. Spesso ci è capitato di ritrovarci in mano con un album che avevamo “pensato diverso”, ma fortunatamente è sempre stata una scoperta in positivo. Ti faccio l’esempio di ‘Draculea’, soltanto alla fine abbiamo percepito l’oscurità e la pesantezza che lo permeava… piuttosto che ‘The Seven Deadly Sin’, uscito molto più hardcore di quanto pensassimo. Questa ultima fatica ci ha stupito piacevolmente proprio per la sua imponenza e maestosità pur mantenendo il solito fottuto marchio di fabbrica 100% Necrodeath!”
“Anche se al mondo non ci fossero più esseri umani, i principi del bene e del male continuerebbero a esistere. Non credo che tra duemila anni, sempre se esisterà ancora, il mondo sarà meno malvagio, o meno buono. Il conflitto non finisce mai”. Così la pensava Anthony Burgess, presentando “Arancia Meccanica”, libro da cui è tratto il capolavoro di Kubrick. E mai considerazioni furono tanto veritiere e lucide, nella loro spietatezza… Ci fermiamo così ad esorcizzare tutto sotto la gragnuola di colpi innescata da ‘Singin’ In The Pain’.