Lili Refrain – Oltre ogni confine
Il 08/12/2022, di Maria Teresa Balzano.
Abbiamo il piacere e il privilegio di ospitare sulle nostre pagine Lili Refrain, eclettica artista romana la cui musica, viscerale e avanguardistica, incanta e sconvolge un pubblico sempre più ampio.
Ciao Lili, benvenuta per la prima volta sulle pagine di Metal Hammer Italia. Il 2022 è stato un anno esplosivo per te, adesso sei in tour con gli Heilung, e ci vedremo di sicuro alla data milanese, come sta andando? Ci racconti come vi siete conosciuti e piaciuti?
“Grazie di cuore per l’accoglienza e per questa intervista, da vostra lettrice è un grande onore per me essere sulle vostre pagine!
Il tour con gli Heilung è un continuo sogno ad occhi aperti ed è un enorme stimolo di apprendimento e crescita! Stiamo viaggiando assieme ad una grande crew, più o meno saremo una trentina di persone provenienti da 16 nazionalità differenti, trascorriamo 24 ore su 24 assieme e stiamo condividendo un’avventura straordinaria calcando palchi davvero leggendari come l’Olympia di Parigi ad esempio. È un onore immenso per me essere qui con loro. Tutto è avvenuto nel mese di Aprile 2022, mentre ero in tour con Devil’s Trade e Forndom. Una delle date assieme è avvenuta a Copenaghen e nessuno di noi sapeva che alcuni membri degli Heilung erano presenti in sala.
Dopo il mio concerto si sono avvicinati a me Maria Franz e Christopher Juul che senza abiti e trucchi di scena non avevo riconosciuto e iniziamo a parlare del concerto appena fatto. Erano pieni di entusiasmo e mi dissero che erano esattamente alla ricerca di quel che avevo appena creato sul palco aggiungendo che sarebbe stato bello fare un tour assieme. La mia risposta nell’immediato è stata: “dai, suonate in una band?” (Da seppellirsi dalla vergogna se ci ripenso adesso! Ma davvero non li avevo riconosciuti!) Quando mi dicono il nome della loro band sono letteralmente svenuta in terra. Non potevo crederci! Pensavo fosse uno scherzo…e invece… eccoci proprio qui!
Queste due persone sono davvero incredibili, non solo mi hanno invitata ad aprire i loro concerti ma mi hanno letteralmente accolta a casa loro. Prima del tour ci siamo sentiti diverse volte e Christopher mi ha invitata a trascorrere qualche giorno prima della partenza ospite nel loro studio per mettere a punto un sistema che mi permettesse di potenziare il mio live. Assieme al loro fonico, il magistrale Finn Jansen, che sta curando anche i miei suoni dal vivo, hanno messo appunto un sistema tecnico che mi rendesse totalmente autonoma curando direttamente da me il suono sul palco e avere più agilità tecnica anche in tutti i cablaggi. Abbiamo lavorato insieme per due giorni, ho avuto il tempo di familiarizzare con le diaboliche cuffiette in-ear mai usate prima e fare delle prove con questo nuovo sistema creato apposta per me. Amplified Lili!!!
Maria ha cucito per me un anello al mio abito di scena per assicurarsi che non perdessi il cavo legato alle cuffiette, insomma, appena arrivata mi hanno immediatamente fatto sentire a casa e parte di una famiglia enorme. Sono assolutamente certa che questa sensazione che continua a permeare ogni giorno di questo strabiliante tour, sia condivisa da ognuno di noi. È piuttosto indescrivibile emotivamente perché questo tipo di trattamento è molto raro e io per prima non me lo sarei mai aspettata! Sono immensamente grata per tutto questo”.
Come è stata l’esperienza Hellfest?
“Vertiginosa ed emotivamente molto densa. A ridosso della data la mia famiglia ed io abbiamo affrontato una dura e prematura perdita molto difficile da elaborare, il ritrovarsi in quel festival epico e davanti ad 85mila persone poco dopo non è stato semplice da gestire ed essere totalmente da sola sul palco delle volte può esserlo ancora meno perché puoi avere tutta la potenza di questo mondo ma anche tutta la fragilità. Ero scossa da questo tremendo lutto e insieme incredula di poter suonare sullo stesso palco di alcuni dei miei paladini musicali. Quel giorno oltre a me suonavano pezzi di storia della musica con cui sono letteralmente cresciuta assieme e grazie ai quali mi sono approcciata al metal e al mio strumento principale che è sempre stato la chitarra. Ho potuto incontrare alcuni di loro e parlarci nel backstage come è accaduto con Steve Vai, che ha fatto un concerto magistrale catapultandomi dritta all’età di 14 anni. Avrò passato non so quante ore ogni giorno nel tentativo di emulare i suoi riff!! È stato indescrivibile essere lì e, nonostante la precarietà emotiva, ho ricevuto un calore e un’accoglienza davvero enorme.
Il pubblico dell’Hellfest è stato totalizzante, quando sono salita sul palco sono stata accolta da un boato fragoroso, grazie a tutti loro ho ricevuto una forza smodata che mi ha trasmesso tutta l’energia per suonare al meglio che ho potuto. Ogni suono è stato tutto per loro, che erano lì davanti a me a scandire le ritmiche di ogni colpo dato sul timpano, ed è stato anche e soprattutto per chi non c’era… Il live è stato un successone inaspettato, e non ti nascondo che ho versato una grande quantità di lacrime subito dopo, frutto di innumerevoli emozioni davvero troppo ingombranti per essere trattenute”.
Questa domanda ne genera per forza un’altra, più o meno scomoda dipende molto dalla tua esperienza personale che vorremmo condividessi con noi, all’estero come è accolta la tua musica rispetto all’Italia?
“Sia in Italia che all’estero ho sempre ricevuto una risposta molto più che positiva da parte del pubblico, la performance dal vivo è sempre riuscita ad arrivare molto in profondità a livello comunicativo e continuo ad esserne felicissima perché credo molto nel suo potere, che di sicuro è molto più intenso dal vivo rispetto a qualsiasi video o disco. Non facendo uso di un linguaggio verbale semantico inoltre non ho confini linguistici e questo mi permette di non avere limiti o condizionamenti geografici come potrebbe capitare ad altri musicisti. La mia musica di certo non è mai stata mainstream e 15 anni fa, soprattutto in Italia, veniva considerata molto più sperimentale che non all’estero, poiché eravamo in pochissimi ad avere progetti solisti basati sull’uso massivo di loop. In Italia nel 2007 ero una tra le poche ad usarlo nel “mio modo” ed è sorprendente sentirsi citare in interviste o in recensioni di altri musicisti come fonte di ispirazione, sinceramente non me lo sarei mai aspettata…e ne sono estremamente lusingata!
Se vogliamo entrare in territori scomodi, ciò che continua a lasciarmi basita e profondamente amareggiata ogni volta che esco dalla nostra italietta è il notare quanto all’estero sia considerato un vero lavoro fare musica. Molti paesi in Europa mettono normalmente in atto fondi e aiuti economici nei confronti di chi lavora con la musica e più in generale con la cultura. Ci sono luoghi che diventano una vera e propria esperienza cognitiva creata ad arte affinché si possa trarre il massimo da essi. Tecnici specializzati e molto ben remunerati lavorano per ottimizzare gli spazi rendendone la fruizione qualcosa di speciale e di conseguenza permettendo a chi lavora di musica, danza, teatro, arte figurativa, cinema etc, (NB. ben remunerati anch’essi) di potersi esprimere al meglio e con tutte le risorse tecniche più adeguate. E non ti parlo solo di spazi istituzionali, ma anche e soprattutto di luoghi abbandonati e ripristinati come grandi poli culturali. Luoghi vivi, vissuti, alla portata di tutti e dove si generano scambi e confronti infiniti.
Qui in Italia gli spazi preferiscono chiuderli invece, e rischi l’arresto se provi ad avvicinarti ad uno spazio abbandonato per creare qualcosa di nuovo, qui dove abbiamo una storia culturale davvero invidiabile rispetto al resto del mondo, preferiscono smantellare un teatro per costruire un ennesimo centro commerciale. E sai qual è il paradosso in tutto questo? Che qui in Italia abbiamo delle eccellenze che in altri paesi si sognano ma che solo fuori da qui possono aver vita. A noi non regala nulla nessuno, ogni passo è una vera e propria conquista oltre che un atto di resistenza infinita a questo sistema, ma può essere molto frustrante soprattutto se ne sei fuori e ci tieni parecchio a rimaner fuori da certi schemi. Molti lavoratori dello spettacolo o gestori di locali, dopo le politiche restrittive che abbiamo vissuto tutti in questi ultimi anni, al contrario di molti dei loro colleghi esteri, hanno preferito abbandonare l’impresa perché con le politiche attuali è tutto più insostenibile. Stiamo vivendo un momento storico davvero orribile, so che non saranno la musica o le arti a cambiare il mondo ma di certo ci permettono di condividere esperienze profonde e soprattutto domande, scambi, energie, e perché no, Lotte. Non dovremmo privarcene mai. Soprattutto in questo periodo”.
Secondo te cosa ha contribuito alla crescita negli ultimi anni della corrente neofolk, che strizza molto l’occhio all’ambient, e che sta appassionando sempre di più chi ascolta rock e metal, vedi Wardruna, Heilung, Danheim, Skald o Myrkur? Personalmente credo che la crescente popolarità di questo tipo di sonorità abbia indubbiamente alzato i riflettori anche su artisti come te, finora più underground ma con tanto talento, due palle quadrate e una forza di volontà che hanno tutta la mia stima.
“Grazie mille per le tue parole! Ti premetto che personalmente ho tutt’altro tipo di trascorsi musicali e del movimento neofolk non ne so moltissimo. Amo molto band come gli Swans che possono rientrare nel ramo del folk apocalittico se vogliamo dargli una definizione e chiamarlo così, ma non ho mai seguito molto la corrente industrial, dark wave o nordica che credo sia alla base di questo genere.
Quello che potrebbe accomunarci probabilmente è l’aspetto ritualistico ed evocativo anche se personalmente mi sento molto più legata alle influenze mediterranee che non a quelle nordiche e sento di essere più contaminata dal punto di vista musicale mescolando molte tecniche e generi diversi tra loro.
Penso che molto del merito dell’attuale popolarità di questo tipo di musica arrivi soprattutto da altri campi, come quello cinematografico legato alle colonne sonore ma anche dai video giochi il cui sviluppo negli ultimi anni è piuttosto sbalorditivo e sempre più vicino all’esperienza cinematografica se non addirittura alla saga epica. Le immagini vengono accompagnate sempre più spesso da una certa evocatività sonora e tamburoni, cori e voci eteree sembrano prestarsi meglio che altro….o almeno per il momento…”
Chitarrista, compositrice e performer, stratificatrice di suoni che amalgama ambient, noise, psichedelia, folk, blues, metal e lirica. Chi è oggi Lili Refrain e come guarda alla Lili degli esordi?
“Non siamo persone così diverse sebbene siano passati 15 anni e una grande quantità di esperienze e cambiamenti nel mezzo. Non ho mai abbandonato le mie radici, so bene da dove vengo e cosa mi ha portata fin qui. Sono immensamente grata a tutti i manici di scopa graffiati per tenere su un microfono, gli squat, i bar, gli scantinati, gli innumerevoli locali dove ho suonato e i luoghi dove ho potuto esprimermi liberamente, confrontarmi e crescere. Ho avuto la fortuna di avere attorno persone che hanno creduto in me e mi hanno spronata, supportata e incoraggiata, e ho avuto la fortuna di incontrare persone che mi hanno ostacolata, criticata e mortificata rendendomi più caparbia e forte nel portare avanti il mio percorso con maggiore determinazione e consapevolezza.
Ho affrontato momenti che mi hanno fatta sprofondare negli abissi più oscuri e momenti di gioia purissima… la musica è sempre stata lì ad accompagnare ogni istante, mi ha permesso di tradurre, esorcizzare, sublimare, dialogare col visibile e soprattutto con l’invisibile. Mi ha aiutata a trovare degli equilibri che non sono certa avrei avuto altrimenti e a tirare fuori lati di me che ho potuto esplorare meglio grazie a quelle preziosissime sei corde con cui è iniziato tutto e grazie alle quali sono ciò che sono oggi”.
Quali sono i punti di forza e quali le criticità nel portare avanti un progetto solista, di essere una one-woman band in un mondo principalmente di one-man band?
“Avendo avuto diversi gruppi posso dirti che il punto di forza di avere un progetto solista è che non devi mettere d’accordo nessuno se non te stessa per decidere ogni cosa….ma la criticità è la medesima, devi fare tutto da sola e a volte non è affatto semplice…. soprattutto quando viaggi con un’ottantina di chili!
Pesi a parte, essere da soli su un palco implica una responsabilità totalmente diversa rispetto a quando si suona con qualcuno. Con una band è più semplice coprire tutta la gamma di frequenze sonore, creare stacchi, dinamiche, così come è più semplice anche dissimulare errori o eventuali tempi morti, da soli è un altro paio di maniche e per alcuni aspetti, sebbene possa sembrare più semplice, il lavoro che c’è dietro è più ampio perché non puoi nasconderti dietro nulla. (Se non usi un computer ovviamente!!!)
L’essere da soli implica anche un certo grado di approfondimento sulla tecnica, poiché in caso di improvvisi problemi durante un live, sei l’unico in grado di capirne immediatamente la provenienza e come risolverli senza fermare il concerto possibilmente. Nel mio caso di cose da gestire ce ne sono davvero parecchie, ma 15 anni di attività dal vivo mi hanno forgiata alla suprema ninjitsu, tanto che nel tempo ho imparato a complicarmi la vita da sola aggiungendo strumenti nuovi e ancora più looper (attualmente gestisco 3 diverse loop station dal vivo, ognuna associata ad uno strumento)
Viaggiando spesso da sola ho la fortuna di confrontarmi con una moltitudine di persone, con diversi modi di essere e attitudini verso il mondo. Posso dirti che in mezzo a tutto questo variegato universo il binomio donna/uomo diventa abbastanza ridicolo, resta che affrontare un lungo viaggio con poche ore di sonno alle spalle, caricare e scaricare notevoli pesi e dare il meglio sul palco senza l’aiuto di nessuno e in preda ai dolori più efferati di un mestruo violento è qualcosa che possiamo capire davvero in pochissime temo!! Così come saper gestire ed affrontare qualsiasi tipo di situazione imprevedibile totalmente da sole nei territori più disparati”.
Da veterana della scena, cosa consiglieresti ad una ragazza che volesse seguire le tue orme?
“Di ricordarsi di avere una vita sola e di fare ogni scelta con questa consapevolezza”.
Raccontaci ‘Mana’, il tuo ultimo album, avanguardia dark folk, inquietudine tribale fusa all’elettronica. Cosa ti ha portato verso queste nuove sonorità?
“”Mana” è nato ad Aprile del 2022 dopo un lavoro pazzesco assieme a Stefano Morabito, il magistrale fonico del 16th Cellar Studio di Roma con cui ho collaborato in questa avventura. È un lavoro totalmente diverso da tutto ciò che ho creato precedentemente. Per i miei primi 4 album chitarre e voci sono sempre state al centro di tutto essendo i miei principali e unici strumenti, dal punto di vista delle frequenze ho sentito il bisogno di scendere verso quelle basse ed esplorare anche altri strumenti che mi permettessero di approfondirle. Ho introdotto percussioni e sintetizzatori che non avevo mai usato prima se non in una velocissima apparizione in ULU (2020). Il Taiko è sicuramente lo strumento che mi ha spalancato universi ulteriori da questo punto di vista. Mi sono letteralmente innamorata di questa percussione giapponese che unisce due delle mie passioni più grandi che sono la musica e le arti marziali. Ho iniziato a studiarlo nella scuola di Rita Superbi, maestra eccelsa e donna splendida che ha accettato il mio invito a suonare “Eikyou” assieme con me e il risultato è stato davvero epico! Usare vari tipi di percussioni e i droni profondi del synth mi ha permesso di esplorare anche altre tecniche vocali dal throat singing alla lirica lasciandomi molto più libera di muovermi sulle melodie, la chitarra appare pochissimo in questo disco ma dal vivo sto continuando ad usarla. Non pensavo che “Mana” potesse essere accolto così potentemente, ne sono felicissima e molto curiosa di continuare questa esplorazione ancora più in profondità”.
Quali sono le tue fonti di ispirazione? Da cosa attingi energia, positiva o negativa che sia, per plasmarla in musica?
“Tutto ciò che mi è arrivato dalla vita nel bene ma soprattutto nel male è stato il principale motore di tutto questo. Le parole non sono mai state sufficienti per me, molte di loro finivano soffocate in ingestibili nodi in gola che solo i suoni hanno saputo sciogliere e tradurre al meglio. Suonare inizialmente è stato come un esorcismo per me, mi ha liberata da molti pesi e mi ha permesso di osservarli da un punto di vista impensabile senza musica. C’è tutta la mia vita in ciò che suono. Anche se non uso parole per raccontarla”
Qual è il sogno nel cassetto di Lili? E coincide con quello di Liliana?
“I miei sogni sono tutti fuori dai cassetti e sono proprio qui, davanti a me”
Si ringrazia per il contributo fotografico Spiegelwelten Photography.