Avantasia – Il potere dell’immaginazione
Il 29/10/2022, di Dario Cattaneo.
Inizia con qualche difficoltà la nostra telefonata con Tobias Sammett questa volta… problemi tecnici ci impediscono di ricevere la chiamata, con la promozione della Nuclear Blast che si vede costretta a cercarci su un numero di backup… prendiamo quindi la telefonata col simpatico frontman con diverso ritardo, e lui – desolato – ci avvisa che avremo poco tempo per le domande. Per fortuna con uno come Sammett il tempo (anche se poco) è sempre speso bene, e tutte le domande sono ben riposte, considerato il modo assolutamente interessante che ha di esporre ogni suo punto di vista… e così da soli quindici minuti a disposizione, ecco il risultato di una piacevole chiacchierata, incentrata ovviamente sull’album appena uscito: ‘A Paranormal Evening With The Moonflower Society’.
Esce un nuovo album firmato Avantasia, e stiamo tutti aspettando una nuova storia… potresti parlarci del concept che si nasconde dietro questo lavoro dal titolo così… originale?
“Ecco, cominciamo col dire che questa volta non si tratta di un vero e proprio concept… E’ più come se avessi immaginato di visitare una sorta di teatro magico, in cui ogni protagonista invita – ma forse è meglio dire ‘trascina’ – lo spettatore in un altro mondo parallelo. Il suo mondo personale. Questo nuovo approccio mi ha dato modo non soltanto di scrivere una storia; ma piuttosto mi ha permesso di dipingere undici diverse scene distinte, ognuna delle quali narra la propria vicenda peculiare. Ognuna di queste storie mi ha permesso come sempre di creare ambientazioni fantasy/misteriose come al solito; ma mi hanno anche permesso di inserire una percentuale maggiore di mie emozioni, di miei sentimenti. Non si tratta quindi di un vero e proprio concept, o storia come hai detto tu, ma piuttosto di un collage di storie unite dalla cornice di questo teatro magico che ho voluto creare nella mia mente.”
Dal lato musicale l’album mi è sembrato più distante dagli ultimi lavori… forse si avvicina di più a ‘Mystery of Time’ come stile, non sei d’accordo?
“Beh, tra tutti non lo paragonerei proprio a ‘Mystery Of Time’… ma, sì, questo disco è molto più metallico in generale, e se vogliamo, è più album e meno opera, se capisci cosa intendo. Le canzoni sono più corte, ma non perché ho finito le idee, ma perché proprio volevo tenere il tutto il più breve e stringato possibile, senza ovviamente perdere nulla di quanto volevo dire! Ti confesserò una cosa… pensando alle scalette live per i prossimi tour, mi sono reso conto che avevo così tanti brani lunghi che cominciava ad essere difficile incastrare bene una scaletta per uno show di due ore. Mi serviva materiale più corto, dritto al punto, che andasse bene anche sotto quell’ottica, che rimane importantissima. E così ho lavorato a brani che potessero dire tutto con meno fronzoli, diciamo.”
Ti sembra di aver semplificato la scrittura quindi?
“No, non era quello che volevo dire. Non ho semplificato la scrittura, l’ho resa più efficace. Se ascolti l’album noterai che sull’intera mia carriera questo è quello con più stratificazioni e contemporaneità vocali. Si, le canzoni sono più corte, ma è anche l’album con le costruzioni vocali più complesse: su ogni brano ci sono due, tre o quattro cantanti che eseguono i propri pezzi assieme, non ognuno il proprio come ho sempre fatto. Una sorta non solo di dialogo quindi, ma di discorso più corale, come sul palco di un teatro appunto. Questo penso sia una diretta conseguenza della pandemia, la quale mi ha costretto a lavorare da solo nel mio studio. Ho dovuto concentrare tutta la mia creatività, tutta la mia concentrazione nel fuggire dalla situazione di merda che c’era fuori, e quindi ho lavorato a tutte queste linee da solo, incidendo delle demo praticamente complete senza l’aiuto di nessuno, nemmeno di Sasha (Paeth, co-produttore). Senza la presenza degli altri artisti ho potuto lavorare a dare più spessore a brani più corti, arricchendoli, invece che allungare il minutaggio con altre parti scritte o aggiunte dopo.”
Parlando della pandemia mi è sembrato di cogliere un senso di escapismo nelle tue parole… scrivere musica ti serve per scappare dal mondo, per evadere dalla realtà?
“Sì, hai capito perfettamente la situazione attuale, ma io non sono così come potrebbe sembrare dalle tue frasi che hai appena detto. E’ vero che l’escapismo è importante per me, ma non tanto per abbandonare la realtà, quanto per integrarla con quanto mi serve. I miei mondi magici che mi creo e nei quali scappo quando compongo non rappresentano l’unico mio mondo, che raggiungere per fuggire da quello reale; ma piuttosto costituiscono una realtà parallela, utile per trovarci dentro quello che mi manca dall’altra parte. Le due realtà coesistono, non sento il bisogno di abbondarne una per vivere nell’altra. Quindi non direi che scappo dalla realtà, però lascio che la mia immaginazione viva liberamente tra i due mondi, prendendo quello che serve da entrambi. La dimostrazione di ciò, è che i mondi magici che dipingo non sono sempre stupidamente belli e felici… niente lande inesistenti dove io sono il re e tutti mi vogliono o cazzate del genere. Sono luoghi con luci e tante ombre, posti magici ma anche misteriosi, che esplorano il profondo delle mie emozioni e che mi servono per creare una casa per delle parti di me stesso. E’ ben diverso dall’immaginarsi un posto dove va tutto bene… è più un mezzo per proiettare pezzi di me ed esplorarli, capirli meglio.”
Quando parli di mondi mi ricordi me quando costruisco con il LEGO, una delle mie passioni. Comincio ad attaccare i pezzi e vedo cosa viene fuori, immaginando di dare vita a quanto sto costruendo… Tu come vivi la composizione? Parti un pezzo alla volta e vedi cosa viene o hai già un idea fin dal principio di quello che vuoi costruire?
“Di solito costruisco i pezzi poco alla volta. Ho un’idea di massima di come vorrei che suonasse il pezzo alla fine, ma è solo una traccia. Io comincio a percorrerla e poi vedo dove mi porta. Lascio sempre che sia l’immaginazione a guidarmi, e se l’immaginazione mi porta a dirigere un pezzo verso lidi che non avevo per niente progettato… beh, la lascio fare! Sono un fan della mia musica da quel punto di vista, e voglio essere sorpreso dal pezzo, esattamente come tu quando mi compri l’album. Mi è piaciuto il tuo parallelismo con il LEGO, anche io ne sono un fan, e quindi la sfrutto. Io adoro il lego dei castelli, sono i miei preferiti. Quando inizio una costruzione, so di voler fare un castello, e so in generale che caratteristiche avrà. Poi se mentre costruisco mi trovo in mano i pezzi di una torre, o di una merlatura, che non avevo pensato ma vedo che ci sta bene…. beh, la metto e il castello avrà una torre in più. Sempre un castello rimane, ma le caratteristiche vengono definite mentre lavoro, diciamo.”
Lo so che abbiamo poco tempo, ma le interviste per gli Avantasia finiscono sempre con il parlare degli ospiti… anche stavolta hai lavorato con un manipolo di fedelissimi che chiami sempre: oramai li vedi come parte della famiglia? Siete oramai una band a lineup stabile?
“Si, oramai con queste persone ho un rapporto speciale. Sono parte della famiglia, come dici tu, e mi piace ovviamente averli a bordo. Ma devo dire che c’è anche una ragione utilitaristica per lavorare sempre con Bob Catley, Michael Kiske, Sasha Paeth e gli altri, ed è che mi danno l’intera tavolozza delle sensazioni che mi serve. Mi permettono di coprire tutto quello che posso voler dire. E quindi, avendoli al mio fianco mi sento sicuro di avere sempre pr così dire il colore giusto per il mio dipinto. Poi ad ogni album ho sempre voluto aggiungere qualcuno di nuovo, e questa volta sono stati Floor Jansen e Ralph Scheepers, e sono stati perfetti. Però, visto che questa domanda me la fate sempre, voglio specificare ancora una volta che sebbene il nome dell’ospite possa risultare altisonante o meno, l’attenzione per me è sempre sulla canzone. E’ la canzone che esprime quello che io voglio, e il cantante giusto mi permette di sottolineare in maniera efficace ciò. Ma è sempre la canzone che compongo a guidare il discorso, i cantanti fanno un lavoro splendido nel permettermi di valorizzarla al massimo.”
L’ultima domanda! Qual è l’album che ti è stato più caro comporre? Non il migliore, quello di cui hai i ricordi più cari, quello che senti più tuo.
“Li amo tutti, in questo momento sono molto legato a questo album per i motivi di cui abbiamo parlato prima, però devo dire che i lavori che mi sono rimasti più legato per motivi diversi sono ‘Moonglow’ e ‘Scarecrow’. Ti dico questi due.”