Drabik – Twisting (y)our minds
Il 23/09/2022, di Gianfranco Monese.
Il fatidico giorno è finalmente giunto: i Drabik, quartetto alternative metal originario di Verona, hanno dato oggi alle stampe il loro album di debutto ‘Mannequin’! Noi di Metal Hammer Italia abbiamo deciso di festeggiare assieme alla band e, tre giorni dopo la recensione del disco, vi offriamo quest’intervista, risultato di una piacevole chiacchierata (condita da caffè e cornetti) avuta con Marco e Francesco, rispettivamente cantante e chitarrista. Preparatevi, perchè gli argomenti sono tanti, dal nuovo lavoro in studio, agli impegni futuri, a…
Ciao ragazzi! Grazie della vostra disponibilità e benvenuti a Metal Hammer Italia! Come state innanzitutto?
“(Francesco Castagna) Alla grande!”
“(Marco Micheli) Benissimo, grazie a te ed a Metal Hammer Italia per questa opportunità! Siamo reduci da degli ultimi impegni estivi dal vivo che abbiamo tenuto in compagnia di Fleshgod Apocalypse, Genus Ordinis Dei, Grail Knights e Arthemis.”
Nuovo logo, ma soprattutto nuova musica: volete presentarci il vostro album di debutto ‘Mannequin’, magari partendo proprio dal significato del titolo?
“(MM) ‘Mannequin’ prende il titolo da un brano presente nell’album stesso, appunto la titletrack. All’inizio il titolo del disco doveva essere un altro, ovvero ‘Cerebrum’, in quanto questo è un album che esplora molto la mente umana, parla molto delle sensazioni della gente, ci sono brani che addirittua personificano le emozioni negative delle persone, quindi tutto è parecchio legato all’aspetto umano e “cervellotico”. Per questo, appunto, si era pensato a ‘Cerebrum’, solo che successivamente, anche per una questione di marketing, non essendo ‘Cerebrum’ un titolo semplice, anche come pronuncia, si è scelto il titolo di uno dei nostri brani preferiti di questo disco. ‘Mannequin’ parla sempre dell’omologazione delle persone, il fatto che si sia come dei manichini, dei gusci vuoti vincolati da retaggi sociali un pò uguali per tutti, che impediscono di dare libero sfogo alla propria personalità: questo è il concetto, sia del brano che dell’album. Poi chiaro: nel disco ci sono anche altre storie, non è un qualcosa di monotematico, tuttavia questo è uno dei temi che si affrontano.”
Hai quasi anticipato una delle domande successive, che vado quindi a porti immediatamente. Parliamo dei testi: c’è un tema ricorrente che rende il tutto una sorta di concept, o avete voluto essere più vari?
“(MM) Dunque, il tema ricorrente è sicuramente la mente umana: si parla spesso di sentimenti ed emozioni negative, in quanto la nostra musica porta comunque a mettere da parte la gioia: è tutto in minore (ride, ndr.), di conseguenza ti porta a scrivere testi di questo tipo. Il tema ricorrente è quello che ti ho detto nella riposta precedente, tuttavia ci sono delle canzoni che si staccano del tutto, concettualmente parlando, e raccontano delle storie. ‘Lap Of God’ parla, ad esempio, della pena di morte: è la storia di una persona che commette un omicidio per vendetta, e per questo finisce sulla sedia elettrica. Si affronta un discorso di etica, diciamo. ‘Rough Hands’ è, invece, più pesante: si tratta di pedofilia, di una molestia vista con gli occhi della vittima, la quale cerca di affrontare la sua naturale crescita, e di come questa crescita, in realtà, non avvenga mai in quanto marchiata da questo episodio orrendo. Ecco: queste sono due storie che seguono una loro strada, mentre le altre canzoni sono più concettuali: ‘Chain Of Sorrow’ parla del dolore, dei sensi di colpa e di come, invece di liberarsene, essi vadano accettati, cambiando nel tempo la persona stessa. Può essere noioso da spiegare, lo immagino, ma a me piace molto che qualcuno possa immedesimarsi nei testi, creandosi una propria versione, in quanto essi non sono scritti in maniera didascalica, bensì interpretabile. E questo, secondo me, è il bello, in quanto ho notato che in ciascuna canzone più che contare tutto il testo, alla fine a contare sono le singole frasi, che molte persone rendono proprie. Per questo, in fase di scrittura, mi sono concentrato molto sulle singole frasi, mettendoci alle volte una vita a scriverle, in quanto devi poi cercare di incastrarle nelle musiche di quel brano.”
Il disco è stato prodotto da Marco “Maki” Coti Zelati, fondatore e bassista dei Lacuna Coil: come vi siete trovati?
“(FC) Bene! E’ stata una bella esperienza, innanzitutto di crescita professionale: interfacciarsi con un personaggio che di mestiere fa questo a tempo pieno, e che essendo la storia del metal italiano e mondiale ti aiuta a capire certe dinamiche, come gira e funziona questo mondo, come bisogna affrontare il processo di scrittura, di cosa tener conto e cosa tralasciare, è stata un’esperienza ottima, che non ci dispiacerebbe ripetere, almeno per me. E’ stato tutto molto intenso, anche dal punto di vista umano: in fase di pre-produzione abbiamo composto molto per via telematica, durante il secondo lockdown del 2020: ci si inviava le tracce, lui le scaricava, sistemandole. Ovviamente non ci si trovava, neanche tra di noi della band: ognuno ha fatto tutto da casa, è stato un pò devastante, sulla scia di ‘The Rocker: Il Batterista Nudo’ (film del 2008 con, tra i tanti, Rainn Wilson, Emma Stone, Jason Sudeikis e Bradley Cooper, vivamente consigliato dal sottoscritto, ndr.). Questo in quanto ti stai interfacciando con una persona che ti sta istruendo in videochiamata, o via WhatsApp, su un qualcosa per il quale stai investendo soldi, tempo e tutto il resto, in lockdown con metà della strumentazione che ti servirebbe: è stato un parto plurigemellare uretrale, però credo ci abbia formato e cresciuto tanto, in particolar modo Marco e Alessandro (cantante e batterista, ndr.). Io ho avuto la fortuna di registrare tutte la parti di chitarra a casa, ma in fase di registrazione, con “Maki” a fissarli, loro hanno sudato non poco, e sono stati formati molto da questa esperienza, secondo me.”
“(MM) Passata la pre-produzione, quando siamo andati a registrare, è stata una guerra. Mi trovavo a Milano, ed avevo sette giorni per fare tutte le voci del disco: calcola che non avevo mai fatto lo scream, infatti nella pre-produzione non c’erano nè scream nè growl. Nel frattempo, da un anno e mezzo, essendo autodidatta avevo iniziato ad andare a lezione da Rob Marconi, che mi ha sbloccato, alzandomi di un’ottava la voce, dato che ero parecchio baritonale, basandomi su personaggi come Lindemann dei Rammstein. Rob mi ha sbloccato di brutto, prima in pulito, poi in scream. Ecco: in quei sette giorni ero agli inizi delle lezioni di scream, motivo per il quale ci ho dato dentro come un pazzo. Ho avuto anche un giorno di down totale, durante il quale ero senza voce. Ma passato quello, sono tornato in studio che ne avevo il doppio! Finito il tutto, ovviamente, la soddisfazione era indescrivibile, e da lì in avanti abbiamo maturato un modo di lavorare diverso grazie a questa esperienza, che stiamo già applicando per quello che stiamo producendo in vista di una prossima pubblicazione.”
Chi si è occupato delle parti elettroniche?
“(FC) Sulle vecchie pre-produzioni avevamo fatto un lavoro certosino, soprattutto Marco; tanta roba è stata riciclata, altrettanta è stata fatta da “Maki”.”
“(MM) C’erano due colonne di synth, una si chiamava “synth DK” mentre l’altra “synth MK”: una era nostra, l’altra era la colonna Drabik. Amalgamandole, il suono che è uscito è quello che senti su disco. L’importanza dei synth è vitale: ho sentito i brani con e senza i synth, e devo dire che c’è un abisso. Alcuni synth magari neanche li percepisci, però ti cambiano comunque il pezzo: è come togliere il basso ad un concerto. Danno una saturazione incredibile al brano.”
“(FC) Ed il bello è che alcuni synth hanno un suono ricercato e preciso, che vai subito a cercare per un determinato pezzo, mentre altre cose sono nate quasi dal caso, come l’intro di ‘Chain Of Sorrow’, che ho creato io mischiando quattro plugin e premendo il la sulla tastiera: quanto ne è uscito è l’intro di quel pezzo. Quindi c’è materiale super studiato, così come questo “involontario” pattern ritmico creato da un synth.”
“(MM) D’altronde l’ispirazione la puoi trovare ovunque.”
Personalmente, credo che il nuovo materiale si discosti parecchio da quello passato, come ad esempio dal vostro singolo ‘Misfit’ del 2019. Anche il vostro nuovo logo sembrerebbe testimoniare una svolta, come se in concomitanza con il vostro primo disco, mostriate anche un vostra definitiva dimensione. Mi sbaglio?
“(FC) No, ci sta. E’ come quando vai ad acquistare un’auto d’epoca e la porti in carrozzeria per farla lucidare: la forma è sempre quella, ma lucidata ha tutto un altro aspetto. Il logo, alla fine, non si discosta molto da quello passato, è stato delineato anche in modo da renderlo ben visibile all’interno di una locandina: quello precedente era un pò dispersivo, nonchè vintage, come il genere old school che proponevamo. Questo è più moderno, nonostante la base sia quella, suppergiù: non è stato un cambio di logo drastico.”
“(MM) Oggetto di dibattito è stato se tenere la linea in mezzo o no: alla fine è stato deciso di non tenerla, era un taglio che all’epoca ci piaceva, ma ora lo riteniamo dispersivo.”
“(FC) Abbiamo studiato molto sul fatto di come questo logo possa risaltare all’interno di una locandina, su di un poster, in un sito. E, se ci fai caso, è un logo che risalta, non un logo di una band black metal ai limiti del comprensibile: questo è immediatamente riconoscibile, semplice ma efficace.”
Come definireste il vostro genere? Dove vi collocate?
“(FC) E’ una bella domanda. Personalmente odio la dicitura alternative metal, perchè vuol dire tutto e niente. Però quello è, penso. (ridiamo tutti, ndr.) Ti direi che è un mix tra In Flames, Gojira, Korn e Rammstein. Quindi, se dovessi riassumere, ti direi alternative perchè non saprei cos’altro dire.”
“(MM) A livello vocale è un mix tra Korn ed In Flames, secondo me, nonostante non sia stato un qualcosa di voluto o di cercato: ho fatto quello che più mi sentivo.”
Ed ora, come promuoverete ‘Mannequin’? Cosa c’è di segnato nella vostra agenda per questo autunno, e perchè no, in vista del prossimo anno?
“(FC) Dunque, tramite il nostro management, ovvero Matteo Baroni di Orion Agency, dovrebbe venir fuori qualcosa di promozionale verso gli ultimi mesi dell’anno, novembre e dicembre. Inoltre stiamo vedendo di organizzare qualcosa a livello europeo per inizio 2023, però è ancora tutto da definire.”
Siete arrivati al bel traguardo di pubblicazione del vostro primo album e nel frattempo, come accaduto in estate, state suonando a qualche evento. Dato che lo state provando sulla vostra pelle, com’è suonare un genere che, in Italia, ha sempre faticato per ottenere i giusti spazi e meriti?
“(FC) E’ difficile, perchè comunque non sei un dj che suona in discoteca consapevole che, bene o male, la clientela apprezzerà anche se non è esattamente il genere che adora, tuttavia ti può dare più soddisfazione, in quanto quei pochi che apprezzano ti fanno più piacere di quelle centinaia che ti battono una mano sulla spalla, dicendoti che sei grande. Certo: se ci fosse più interesse per quel che concerne la scena live, sicuramente diventerebbe tutto più semplice e più soddisfacente.”
“(MM) Abbiamo avuto la fortuna di suonare con band importanti, come appunto Fleshgod Apocalypse e Genus Ordinis Dei, che comunque un loro riscontro, in Italia come, soprattutto, all’estero, ce l’hanno. Di conseguenza, chi quest’estate è andato ad ascoltarli, ha ascoltato anche noi, quindi un buon numero di persone di fronte le abbiamo avute. Inoltre, abbiamo riscontrato parecchio interesse, dato da incontri avuti con persone che ci avevano da poco sentito, quando magari ci si metteva allo stand del merchandise. Io vedo interesse negli occhi della gente, anche durante le nostre esibizioni, e questo mi fa molto piacere: ti fa capire che stai facendo qualcosa che effettivamente può avere una presa sulle persone. Considera che, dal punto di vista live, siamo proprio agli inizi, magari il grosso partirà tra poco con la promozione del disco, però non mi posso certo lamentare degli eventi ai quali abbiamo appena partecipato, anche perchè ci siamo inseriti in situazioni interessanti, secondo me. Abbiamo volutamente evitato di effettuare le classiche date da “bar sotto casa”, scegliendo occasioni ben più stimolanti. Queste ci hanno dato delle grosse soddisfazioni, e se questi sono i presupposti, può andare solo che bene.”
“(FC) Anche perchè, secondo me, quello che facciamo è, come ‘Mannequin’ stesso, molto “easy listening”: se, ad esempio, quest’estate avessimo suonato con un gruppo black metal, credo che comunque qualcuno tra il pubblico avrebbe apprezzato. Questo per dire che, come disco, è abbastanza fruibile, anche per gente che normalmente non ascolta heavy metal.”
Bene, chiudiamo con un paio di domande generiche: quali sono i vostri tre dischi preferiti di sempre?
“(FC) ‘Death Magnetic’ dei Metallica, ‘Nightmare’ degli Avenged Sevenfold e ‘Sounds Of A Playground Fading’ degli In Flames.”
“(MM) Sebbene io abbia una malattia per i Rammstein e metta tutta la loro discografia sullo stesso piano, dico ‘Mutter’. Poi ‘Issues’ dei Korn, che mi ha cresciuto: ricordo ancora quando su MTV trasmettevano il video di ‘Make Me Bad’, robe da matti! E come terzo ‘Eiszeit’ degli Eisbrecher, un album che a livello di suoni e produzione è un qualcosa di mai sentito.”
…ed in un ipotetico futuro, accanto a quali nomi di un festival vi piacerebbe vedere accostato quello dei Drabik?
“(FC) Beh, ai Korn sicuramente. Poi mi piacerebbe molto in compagnia di Helloween e Ghost, nello specifico quelli del singolo ‘Square Hammer’, o del materiale scritto precedentemente.”
“(MM) Anch’io direi i Korn, poi Gojira, Vola e In Flames, nomi stilisticamente parlando un pò alla nostra portata.”
Ottimo, l’intervista è giunta al termine. Ringraziandovi ancora della vostra disponibilità, se c’è qualcosa che volete aggiungere per i lettori di Metal Hammer Italia, questo spazio è tutto vostro!
“(FC) Grazie infinite! Vi invitiamo a seguirci sui nostri canali social, supportateci ed ascoltate il nuovo disco ‘Mannequin’, perchè secondo me può piacere a tante persone che magari di norma non ascoltano questo genere. Inoltre, se siete interessati, dal sette settembre è uscito il nuovo video di ‘Black Hole’, opener del disco.”
“(MM) E perchè no, ‘Mannequin’ magari potrebbe aprirvi le porte verso questo genere, o anche a generi più pesanti. Con questo lavoro si può iniziare a “masticare” l’heavy metal, diciamo, perchè per chi normalmente non lo ascolta non è immediato il passaggio verso questo pianeta, di norma non si fa un salto dal pop al death metal: esistono degli step, secondo me, e noi possiamo rientrare proprio in quel piccolo settore degli step. Dopo ci si può anche fermare lì: io stesso mi sono fermato agli step, senza andare oltre.”