Destrage – Nuove declinazioni dell’alternative metal
Il 16/09/2022, di Alessandro Ebuli.
I milanesi Destrage in quasi vent’anni di attività hanno saputo esplorare territori musicali strettamente legati all’Alternative Metal di matrice americana, con una profonda ricerca in elementi talvolta non direttamente legati al mondo Metal, in una commistione di stili davvero intrigante. Tre anni dopo l’ultimo album in studio ‘The Chosen One’, la band meneghina torna in pista con un nuovo lavoro che si presenta come un prodotto ancora più alternative dei precedenti, in cui la sperimentazione e la commistione sonora si muove liberamente su un tessuto Metalcore denso e compatto. Noi di Metal Hammer per l’occasione abbiamo incontrato il vocalist Paolo Colavolpe che ci ha svelato le fasi di lavorazione del nuovo ‘SO MUCH. too much’ in uscita il prossimo 16 settembre, e qualche curiosità sul percorso artistico del gruppo. Lasciamo la parola a Paolo per farci accompagnare nei segreti di questo nuovo e appassionante album.
Per iniziare la nostra intervista ti chiedo di raccontare ai nostri lettori chi sono i Destrage.
“I Destrage sono una band formatasi a Milano nel 2005 e musicalmente basata sull’Alternative Metal, anche se mischiamo tanti generi e abbiamo tante influenze; i primi due nostri album sono usciti per la Coroner Records e adesso abbiamo preparato un nuovo album che è il nostro sesto in ordine di uscita”.
Il nuovo album dal titolo ‘SO MUCH, too much’ verrà pubblicato il 16 settembre. Vuoi raccontarci com’è nato e quali sostanziali differenze possiamo trovare rispetto al precedente ‘The Chosen One’ del 2019?
” Sicuramente la genesi di questo album, a differenza di quanto si possa pensare, non è avvenuta durante il lockdown; anzitutto il precedente ‘The Chosen One’ è stato completamente mozzato a causa della pandemia, date live cancellate anche in molti festival, nessuna promozione, è stato un grave danno per la band. Vista la situazione abbiamo però utilizzato questa pausa forzata per staccare la spina e fare di necessità virtù, erano anni che non ci si fermava e tutto ciò è stato rigenerativo dal punto di vista dell’ispirazione, c’era la necessità di fermarsi un attimo e respirare. Al contempo però ci siamo resi conto che nonostante questo fermo imposto, il lockdown non si conciliava con la composizione, perché la scrittura è figlia dell’esperienza e della condivisione, per cui l’isolamento non permetteva di comporre. L’unica canzone figlia di quel periodo è ‘Everything Sucks And I Think I’m A Big Part Of It’ e si sente, è un brano estremo, schizofrenico, cervellotico, cambia tanti stili e generi. Poi una volta allentate tutte le misure restrittive abbiamo cominciato a rivederci, a scrivere, a scambiarci idee ed è nata la necessità di tornare con un nuovo disco”.
Parlando invece della parte musicale del nuovo album. Nel vostro sound avete inglobato una forte base di Metalcore e Alternative Metal come hai detto poco fa, ma in ‘SO MUCH, too much’, rispetto ai vostri precedenti dischi e a ‘The Chosen One’ in particolare, ho riscontrato una maggiore propensione alla commistione tra differenti generi che però si amalgamano molto bene tra loro.
“In realtà ‘The Chosen One’ è forse un’eccezione da questo punto di vista, perché ‘The King Is Fat ‘n’ Old’ e ‘Are You Kidding Me? No.’ risentivano di una forte contaminazione, mentre su ‘A Means to No End’ e ‘The Chosen One’ questa contaminazione era un po’ diminuita, avevamo cercato di essere il più compatti possibile, e con questo ultimo disco abbiamo adottato un approccio più aperto, sentivamo la necessità di essere liberi e uscire dagli schemi, di fare qualunque cosa ci passasse per la testa e amalgamarlo alla nostra maniera, che era l’approccio usato per ‘Are You Kidding Me? No.’ anche se poi il processo compositivo è risultato essere diverso perché è inevitabile, si cresce, si cambia, non amo le band che amano ripetersi con la volontà di fare ogni volta lo stesso disco, soprattutto penso che non si possa cercare di fare qualcosa di uguale al passato in un diverso momento della propria vita proprio a fronte del fatto che si cambia e si fanno nuove esperienze, ci si evolve. Anche se poi ovviamente le matrici sonore e il proprio background rimangono, si diventa persino riconoscibili ma con sempre qualcosa di diverso nel proprio sound ed è giusto che sia così, non siamo capaci di ripeterci. Mi viene in mente una band che amiamo molto come per esempio i Mastodon, che hanno più volte esplorato territori stilistici variegati, pur restando fedeli al proprio sound perfettamente riconoscibile”.
A questo proposito, visto che ognuno di voi oltre ad essere un musicista è anche un fruitore di musica, ti chiedo quanto le vostre influenze personali abbiano contribuito e soprattutto in questo nuovo album quanto sono state caratterizzanti per la stesura dei brani e nella commistione dei differenti stili che si fondono tra loro.
“Il nostro background è tutto da un punto di vista di apporto alla composizione perché noi veniamo da influenze e passioni molto spesso diverse tra loro, e questa è un po’ la scintilla, la miccia che ha acceso i Destrage, persone curiose da un punto di vista musicale, ma con gusti spesso e volentieri e soprattutto in termini specificamente di materia musica molto diversi. Ciò si riflette ovviamente sulla nostra musica ma col tempo anche sul nostro lato challenging e per quanto riguarda le nostre composizioni, un lato che rende il tutto piuttosto cervellotico per l’ascoltatore ma per noi è il vero divertimento riuscire a creare qualcosa di veramente contaminato”.
Nel vostro sound ho riscontrato a tratti anche una forte matrice Hip/Hop Rap, probabilmente forse più in certe trame ritmiche piuttosto che nel versante prettamente melodico, con alcune reminiscenze di band che della versatilità sonora fanno un vanto come i Mars Volta, per citarne una a caso. Ecco, voi riuscite a centrifugare una grande varietà di influenze e ne fate un vostro trademark riconoscibile.
“Non ci sono mai piaciuti i collage, non ci piace l’approccio compositivo non progressivo, laddove la progressione nella musica è una questione fondamentale in quanto progressione è evoluzione, soprattutto nel riuscire a far arrivare al momento giusto all’ascoltatore quell’amalgama di suoni che andiamo a comporre e creare; tutto questo approccio in primis ci diverte, sono cose che ci piace fare e che talvolta possono spiazzare l’ascoltatore ovviamente, però noi siamo così. Al contrario non saremmo noi”.
Quando ho ascoltato l’album sono rimasto affascinato da questa commistione sonora che in effetti, per chi è avvezzo a sonorità non soltanto ferme in zona Metal, spazia in territori molto più lontani. Nella conclusiva ‘Everything Sucks Less’ per esempio ho riscontrato una forte componente cantautorale, mi riferisco in particolare alla tua prestazione vocale che mi ha ricordato molto da vicino il compianto Elliott Smith. È una tra le tue influenze oppure si tratta soltanto di un caso?
“In realtà no, non ascolto Elliott Smith, l’idea del mio approccio vocale su ‘Everything Sucks Less’ è dato dal giro di chitarra di Matteo (Di Gioia) che una sera mi ha mandato e nel giro di poco ho registrato la mia linea vocale. Forse da un punto di vista stilistico per quanto riguarda la mia voce una forte influenza, del quale peraltro sono un grande fan, può essere quella di Sufjian Stevens (cantautore dichiaratamente ispiratosi ad Elliott Smith, n.d.r.), un artista che mi piace molto e il suo album ‘Carrie & Lowell’ per me è un disco clamoroso, fantastico, quindi se devo pensare ad una ispirazione moderna per ‘Everything Sucks Less’ sicuramente faccio il suo nome. Poi tieni conto che in profondità nel mio approccio vocale c’è sicuramente il cantautorato anni Sessanta, in particolare legato ai Beatles, ma anche Settanta, che comunque fa parte del mio background”.
Parliamo invece ora del primo singolo, ‘Italian Boi’, del quale avete girato anche un videoclip piuttosto irriverente e ironico, come anche le liriche del brano. Cosa puoi dirci in merito?
“‘Italian Boi’ parla di una storia d’amore tra due persone, una italiana ed una straniera, possono essere maschio e femmina, senza alcuna distinzione di sesso, nella quale una delle due viene inizialmente ammaliata da tutti i lati positivi italiani, ma più va avanti più si rende conto del fatto che certi stereotipi che si raccontano sugli italiani si rivelano essere veri. Chi ci conosce sa che questo è il nostro approccio, è tutto sarcasmo, autoironia, in cui l’ascolto diventa anche uno spunto di riflessione di determinati nostri atteggiamenti e comportamenti che in alcuni casi non rispecchiano assolutamente lo stereotipo dell’italiano medio, altre volte invece sì. Non dobbiamo nascondere la nostra italianità, nel bene e nel male”.
Alcuni anni fa avete intrapreso un tour oltreoceano con i Protest The Hero. Cosa puoi raccontarci di quel periodo?
“È stato fantastico, una delle nostre esperienze più belle in assoluto, è stato il nostro unico tour americano perché fino ad allora avevamo fatto soltanto tour europei e giapponesi, ma l’America è un territorio che necessita di diverse condizioni particolari per affrontare un tour, soprattutto per evitare di indebitarti visto che le spese sono sicuramente maggiori e avere una struttura attorno come quella degli amici Protest The Hero ci ha permesso di poter affrontare il tour dando il massimo di noi stessi, come peraltro sempre facciamo, ma in quell’occasione non abbiamo dovuto pensare a questioni tecniche che esulassero dalle esibizioni. Quando ci è stato chiesto di partecipare abbiamo subito accettato anche perché l’America per i generi come il nostro è davvero un terreno fertile, è stato tutto fantastico. Per me e per tutta la band intraprendere quel tour è stato raggiungere un importante obbiettivo e siamo davvero felici di questo”.
Tornando a ‘SO MUCH, too much’, nel brano ‘Private Party’ compare un importante featuring: Devin Tonwsend. Come siete entrati in contatto con lui?
“La collaborazione di Devin Townsend nasce in seguito al contatto con Federico (Paulovich, batterista), ti parlo del tardo 2019, avevano già parlato di una collaborazione e si erano incontrati, poi Federico ha registrato due brani per il ‘Quarantine Project’ di Devin e sono rimasti in contatto. Successivamente Federico ha proposto a Devin di fare una guest vocal su un nostro brano, cosa che Devin solitamente non ama fare, ma per l’amicizia con Federico ha fatto un’eccezione e così ha prestato la sua voce su ‘Private Party’”.
Queste sono di fatto le collaborazioni più valide, le più sincere, quelle che nascono da situazioni non previste e da particolari incastri tra le parti che rendono il contributo unico e sincero.
“Ma certo, per me le collaborazioni devono necessariamente essere così, altrimenti diventano una forzatura e non rendono giustizia alla composizione. Dev’esserci un effettivo apporto professionale e questo nasce se di base c’è la stima e il reciproco rispetto oltre all’amicizia tra le parti coinvolte”.
Nell’album ‘The Chosen One’ avete voluto giocare con il titolo, facendo scegliere ai vostri fan tra una rosa di tre titoli uno dei quali sarebbe stato quello ufficiale del vostro quinto album. Inoltre era presente un brano intitolato con un numero che in realtà non significava nulla ma aveva destato molta curiosità. Avete in mente qualche altro scherzo per ‘SO MUCH, too much’?
“No, questa volta nessuno scherzo a parte il takover di ‘Italian Boi’ che aveva preso possesso dei nostri social e ci hanno contattato in molti pensando ci avessero hackerato i profili. Invece si trattava soltanto dell’inizio della promozione del singolo. Volevamo creare un po’ di scompiglio e ci siamo riusciti. Riguardo ‘The Chosen One’ ci siamo divertiti a far scegliere ai nostri fan uno fra i tre titoli proposti dicendo loro che quello che avrebbe ricevuto maggiori consensi sarebbe stato il “prescelto”, appunto ‘The Chosen One’. Abbiamo voluto giocare con le parole e i nostri fan alla fine sono rimasti spiazzati ma hanno apprezzato”.
Avete un tour in programma di supporto a ‘SO MUCH, too much’?
“Sì, è già in programma un tour europeo e al suo termine abbiamo già cinque date fissate in Italia, una al Firenze Metal ad ottobre, oltre a Milano, Roma, Verona e Cesena”.
Paolo, vuoi aggiungere qualcosa prima di salutarci?
“Sì, certo. Invito tutti ad ascoltare il nostro ultimo album ‘SO MUCH, too much’ e ringrazio tantissimo Metal Hammer per lo spazio e il supporto”