Venom Inc – Back in Black
Il 12/09/2022, di Fabio Magliano.
Vedrà la luce tra pochi giorni via Nuclear Blast, ‘There’s Only Black’, la nuova fatica discografica dei Venom Inc. La band, sulla scia del successo riscosso dal disco di debutto ‘Avé’ alla cui furia originaria è stato, a questo giro, aggiunta una sana dose di rabbia figlia dello stop forzato a causa del Covid, presenta un disco oscuro, poderoso, violento sia da un punto di vista musicale che lirico, con il duo Tony “Demolition Man” Dolan e Jeff “Mantas” Dunn a portare sul campo di battaglia i loro 40 anni di esperienza nel mondo del metal estremo, ben supportati dalla new entry Jeramie “Warmachine” Kling cui spettava il non semplice compito di non far rimpiangere Abaddon. Un lavoro atteso quello della band britannica, ricco di spunti interessanti approfonditi con il sempre disponibile Tony Dolan.
Tony, a breve pubblicherete il vostro nuovo lavoro ‘There’s Only Black’. Che significato ha per voi un disco come questo?
“(Tony Dolan) Inizialmente l’album aveva un nome diverso… ‘Nine’ ispirato all’Inferno di Dante ed era diviso in due parti, però poi Mantas mi ha mandato una sua canzone che parlava della sua esperienza con la morte, di quando ha avuto l’infarto e si è trovato faccia a faccia con l’aldilà, e mi ha detto che l’aveva intitolata ‘There’s Only Black’. In quel momento ho avuto un’illuminazione e ho capito che sarebbe stato il titolo ideale per l’album… Perché il tema del disco riguarda il viaggio verso l’ignoto e tutte quelle domande con cui lottiamo tutta la vita per trovare una risposta. Cosa c’è dopo, cosa c’è oltre il nostro universo, come siamo arrivati qui, cosa c’è dopo la vita, cosa c’è in un buco nero… Se il sole si spegne? C’è solo il nero. Se le stelle si spengono? C’è solo il nero. Quando si chiudono gli occhi alla morte? C’è solo il nero… quindi per rispondere a queste e ad altre domande è necessario intraprendere un viaggio e l’album ha il buco nero in copertina che invita a entrare per vedere cosa cela. Il logo l’ho lasciato fuori dalla copertina perché non si adattava al tema e così ho scelto un carattere che ho visto su una lapide nel cimitero di Highgate, a nord di Londra, famoso per il suo culto dei vampiri che usano il cimitero in modo cerimoniale”.
Come è stata la lavorazione di ‘There’s Only Black’?
“Per un certo verso non semplice. Eravamo in isolamento durante la pandemia, quindi abbiamo condiviso tutto, suonato e fatto riunioni online… ma ad essere onesti non è stato impegnativo, ma piuttosto facile e, naturalmente, dato che siamo stati rinchiusi per così tanto tempo con le restrizioni, significava che avevamo meno pressione e quindi potevamo prenderci il nostro tempo e come risultato abbiamo finito per avere 24 canzoni, 12 delle quali sono finite su questo album. Lavorare in questo modo, però, personalmente mi ha anche insegnato a lasciare ai miei colleghi musicisti la libertà di esprimersi e di suonare come si sentivano… in questo modo non è artificioso o controllato da una sola visione, ma si ottiene il meglio da ogni esecutore. È sempre stata la mia etica, ma soprattutto in questo album c’è un perfetto equilibrio di espressione da parte di ogni musicista”.
Come hai affermato il disco è nato in piena pandemia. Credi che quei giorni così complicati e carichi di incertezze abbiano influito sul vostro modo di vivere la musica e, soprattutto, sul vostro sound?
“Sinceramente la pandemia non ha cambiato le cose per me… L’esperienza del post pandemia, suonando dal vivo, mi ha fatto apprezzare di più ciò che era stato interrotto per due anni. Qualcosa che avevamo dato per scontato. Ora nessuno lo farà più. Anche a livello di sound non ci ha condizionato più di tanto. Come ti ho detto le restrizioni ci hanno permesso di avere più tempo per scrivere e registrare in modo più rilassato, ma non hanno influenzato il sound o la musica”.
Se guardi indietro al precedente ‘Ave’, quali pensi siano le principali differenze tra quel disco e il nuovo lavoro?
“La produzione è diversa. Mantas ha preso una strada leggermente diversa, quindi sembra più grezzo e meno pesantemente prodotto… e ha un’impronta molto simile al nostro approccio live… e la velocità, naturalmente… questo è più frenetico ed energico… Ma credo che ‘Come To Me’, ‘Inferno’, ‘Tyrant’ siano tutte collegate per spirito e atmosfera ad ‘Ave’ …”
Quale pensi che sia l’atmosfera che “muove” questa release?
“L’atmosfera è… rabbia, furia, velocità, energia come un’esplosione di fuoco… La vita è breve e si muove così velocemente che devi goderti ogni momento che passa o non avrai un’altra occasione… quindi l’album ha questa sensazione… Volevo realizzare qualcosa che alla fine fosse percepito come se fosse finito troppo in fretta, in modo da farti desiderare di viverlo di nuovo e, a differenza della maggior parte delle cose nella vita… con l’album, puoi farlo!”
C’è un brano al quale sei particolarmente legato?
“Tutte, in realtà. Sei erano mie composizioni e sei erano di Mantas… ma anche così, entrambi abbiamo trovato i nostri significati nelle opere dell’altro e credo che questa sia la sfida della musica, riuscire a comunicare con le persone. Ognuno ottiene cose diverse per l’esperienza, ma quando non la sentono o non si connettono, hai fallito… quindi avere un album in cui ogni canzone si connette a me… significa che si connetterà anche ai fan… Quindi non c’è una canzone preferita, le amo tutte e sono tutte vicine a me”.
Personalmente ho trovato decisamente valida ‘How Many Can Die’, un pezzo dal significato decisamente forte dalla quale emerge tutta la vostra rabbia e anche una certa frustrazione…
“Assolutamente…Questa canzone pone la domanda ed è abbastanza diretta… quante guerre dobbiamo avere o quanti conflitti dobbiamo sopportare, quanti possono morire, prima che impariamo qualche lezione? Quante morti per mano nostra sono sufficienti? E’normale provare rabbia e frustrazione davanti a queste domande e a quanto sta accadendo nel mondo ogni giorno”
Un altro dei punti forti del disco, a mio avviso, è ‘Don’t Feed Me Your Lies’…
“Ti ringrazio… E’ una canzone che parla di una persona che conosciamo personalmente, che è sovversiva e ha passato la sua vita a mentire per ottenere simpatia e status e la sua manipolazione narcisistica ha convinto la gente che le sue bugie fossero vere e reali, quindi penso che il testo di Mantas rifletta lo smascheramento del suo mondo falso e della sua personalità. Tuttavia, la tempistica del singolo è stata perfettamente calibrata per essere un commento sulla politica mondiale e sui bugiardi che guidano i nostri paesi, quindi credo che le persone si siano sentite legate alla canzone… hanno potuto relazionarsi con il suo tema”.
A chi volete dedicare ‘Man As God’?
“A noi stessi… creiamo il paradiso e l’inferno e decidiamo il destino delle persone e creiamo la vita e la morte e quindi siamo il nostro Dio e il nostro Diavolo… buoni e cattivi… cerchiamo la cura per il cancro mentre vendiamo bombe, armi per denaro nelle zone di guerra e possiamo persino sganciare bombe nucleari sul Giappone, due volte, ma poi discutiamo su come aiutare i rifugiati con il cibo!”
‘Burn Liar Burn’ è un altro bel concentrato di rabbia…
“E’un brano di protesta, ha una base politica molto forte per questo tutta rabbia. Ma ti sei guardato attorno? Hai sentito le loro parole? Leader mondiali… bugiardi! Sfruttano la povera gente che hanno votato e che dovrebbero rappresentare. Dovete bruciare tutti!”.
Lasciamo da parte un attimo il vostro ultimo lavoro e concentriamoci sulla tua carriera. Quale pensi sia la soddisfazione più grande che ti sei tolto nel tuo lungo percorso nel mondo della musica?
“Ogni volta che salgo su un palco, penso. Quando avevo 15 anni ho fatto la copertina di un album per me stesso (la mia band), solo una, e l’ho messa nella mia collezione di vinili per sentirmi come se avessi fatto un album tutto mio… così il mio obiettivo era quello di fare un giorno un album… 40 anni e molti molti dischi dopo ho effettivamente superato il mio obiettivo… Un momento saliente è stato forse la creazione del progetto ‘Sabbatonero’ per raccogliere fondi per i lavoratori in prima linea contro la pandemia in Italia… e la cover di alcune delle più grandi canzoni dei Black Sabbath con artisti ospiti e amici e poi avere Geezer Butler in persona che ha detto che la nostra versione di ‘Symptom Of The Universe’ (la sua canzone preferita dei Black Sabbath) è stata la migliore che abbia mai sentito! Non c’è niente di meglio…”
E a livello discografico? Quali sono i dischi che hanno un significato particolare per te?
“Sicuramente ‘Future Warriors’ degli Atomkraft perché finalmente avevo realizzato il primo album professionale. Poi ‘Prime Evil’ con i Venom perché l’album precedente era stato così brutto e la gente pensava che la band fosse finita, ma quell’album ha avuto recensioni a 5 stelle e ha venduto più dei due album precedenti della band”.
Mentre invece pensando ai tuoi innumerevoli show?
“Impossibile individuarne uno… ma credo che il primo tour con i Venom e gli Exodus con gli Atomkraft nel 1985, partendo dall’Italia dove non ero mai stato prima, ha avuto e avrà sempre un posto speciale nel mio cuore…”
Che ne dici di raccontarci qualcosa di folle che ti è capitato in tour? Girano voci di aneddoti decisamente divertenti legati alla vostra attività live…
“Assolutamente, ma ce ne sono davvero troppe da poter essere raccontate tutte. Ricordo una data in Germania negli anni ’80. Ero ubriaco e mi stavo divertendo, ballavo in mezzo alla strada con i pantaloni abbassati e l’uccello di fuori, mi sono girato e ho visto la polizia in macchina che mi fissava… Sono corso sul ciglio della strada non riuscendo a tirarmi su i pantaloni e ho saltato una staccionata per cadere da 25 piedi giù per una collina proprio su un’altra strada dove c’era un’altra macchina della polizia”
Qual è il segreto per sopravvivere così a lungo in una scena non facile come quella del metal estremo?
“Beh, devi solo sapere chi sei, credo… Ci sono molte ragioni per smettere, abbandonare o perdere interesse, ma solo se non sai CHI sei! Era chi era Lemmy e quindi è morto facendolo! Lo farò anch’io… devi solo sapere che fa parte di chi sei veramente e allora non c’è più questione di smettere… la musica estrema non è fondamentalmente diversa dall’opera o dalla musica pop se sei un vero musicista… perché non lo fai per i soldi o per la fama, lo fai perché la musica ti fa sentire vivo…”
Siete considerati tra i pionieri del death metal. Sentite questa responsabilità in qualche modo?
“Anche se è un onore essere considerato un pioniere e io stesso ho iniziato il mio viaggio nel 1979, quando nessuno faceva forme estreme di metal… per vedere i Venom, poi i Bathory…e tutto ciò che è seguito e la ricchezza di talenti, band e generi incredibili di cui godiamo nel 2022, non sento tanto la responsabilità quanto il fatto di godermi tutto il più possibile e di essere felice di aver contribuito a creare e dare opportunità e ispirare un tappeto così ricco e sorprendente di musica e band migliori”.