DAMPF – See You On The Other Side
Il 13/08/2022, di Nick Guglielmi.
Progetto importante e ambizioso, quello messo in piedi dallo svedese Martin Erikson, uno che non mollando neanche un centimetro ha assemblato una band forte di ex componenti dei Bathory e gente che milita nei Sabaton. Non solo death o gothic metal, ma molto, molto di più da come si sviluppa dal debut album ‘The Arrival’. Per saperne di più, basta scorrere la seguente intervista…
Qualcuno di voi si ricorda di Martin Erikson? E di E-Type? Oppure di A-Tron? Trattasi sempre della stessa persona… ma basti dire che la carriera di questo artista ha vissuto molteplici colpi di scena nel corso degli ultimi tre o quattro decenni…
Martin esordisce nel mondo della musica suonando la batteria per la gloriosa underground band svedese Maninnya Blade, che si cimentava in uno speed metal primordiale negli anni Ottanta. A seguire un’esperienza negli Hexenhaus, nati dalle ceneri dei Maninnya Blade, ed infine… la svolta pop! Prendendo atto delle difficoltà associate all’avviare una carriera stabile nel fantastico mondo del metal, Martin ha pensato bene di re-inventarsi come “E-Type” e di creare un prodotto pop-dance basato sull’applicazione della formula Eurodance basata sull’utilizzo spropositato di sintetizzatori, che contro ogni pronostico attendibile ha riscosso un successo clamoroso in giro per il mondo, con l’aiuto di produttori esperti della materia quali Max Martin e i famigerati Cheiron Studios di Stoccolma. Dopo aver cavalcato l’onda della pop dance fin dove umanamente possibile, e al termine di un periodo di inattività più o meno lungo, Martin ha deciso che fosse giunta l’ora di ritornare finalmente alle origini, dando vita ad un progetto musicale nuovo di zecca, fondato questa volta sul primo amore: il metal.
Nascono così i Dampf, termine che in tedesco significa Vapore, che però piuttosto che rappresentare un nuovo inizio, o un taglio netto con il passato, sembra inglobare tutti gli elementi musicali che hanno caratterizzato la carriera di Martin.
Nasce così una band che unisce vari generi musicali che spaziano dal dark/gothic al metal melodico, al pop, con qualche elemento anche di metal estremo, e tanta ma tanta scenografia. L’esordio, ‘The Arrival’ (su Gramophone Records), promette bene, ma la vera sfida per Martin sarà riuscire a trasformare questo progetto di sua esclusiva espressione in una band vera e propria, con formazione stabile e un programma a medio-lungo termine. Per il momento, Martin si sta avvalendo di una serie di collaboratori straordinari, come potrete leggere nell’intervista che segue, che sicuramente aiutano a mantenere alto il livello di attenzione intorno ai Dampf. Ma passiamo ai contenuti della nostra recente piacevole conversazione con Martin…
Allora Martin, dato che stiamo parlando di una band nuova di zecca abbiamo sostanzialmente carta bianca… quindi comincerei dal nome Dampf: cosa significa?
“Beh, quando ho finalmente deciso di andare avanti con questo progetto e di farlo diventare qualcosa di tangibile, ho deciso che avrei voluto richiamare nel nome qualcosa che facesse riferimento ad un tempo prima della nascita dell’uomo, qualcosa di naturale, con la sostanza che ricordasse il magma e i vulcani. Ho avuto un sogno in cui mi trovato in uno scenario naturale meraviglioso, io ero seduto e guardavo dall’alto su un panorama pieno di nebbia. Inoltre, avevo anche deciso che questo progetto dovesse essere in lingua tedesca, che è un po’ folle considerando che neanche lo conosco il tedesco… quindi per le prime dieci canzoni del progetto ho utilizzato google per tradurre i testi in tedesco! Il mio producer mi ha chiesto di rimettere tutto in inglese, ma io mi sono rifiutato. Poi ci si è messa anche la casa discografica: nel corso di una cena prima mi hanno chiesto in modo educato di fare il disco in inglese, poi dopo qualche bicchiere di vino sono diventati più aggressivi e allora ho capito che era giunta l’ora di mollare! Però ho deciso di conservare il nome del progetto Dampf, che in tedesco significa vapore. Non me la sentivo di cambiare tutto, ho già cambiato così tanto rispetto alla mia idea originale”.
Come si collega il progetto Dampf con tutte le altre cose che hai fatto nella tua carriera?
“Anche per me è difficile capire come si incastra questo progetto nel mosaico delle mie esperienze. Tutte le canzoni che ho fatto in passato, che chiaramente erano dance, le ho rifatte nel 2003 in chiave metal, ho ingaggiato Mikkey Dee, ora batterista degli Scorpions, Pontus Norgren, chitarrista degli Hammerfall, Marcus Jidell degli Avatarium, e abbiamo anche fatto un tour in Europa in venti-venticinque serate. A quei tempi abbiamo inciso tre o quattro di quelle canzoni, e ho sempre pensato che avrei voluto farne un album completo, ma non è mai successo. Ho riversato tutta la mia musica in questo nuovo album, ci sono tante tastiere, che è il mio strumento, e ci sono tante sonorità pop, nonostante che la musica sia dura. Il songwriting è sempre il mio, quindi alcune canzoni, tirando via le chitarre e lasciando solo le tastiere potrebbero essere facilmente trasformate in canzoni pop, si potrebbe dire lo stesso dei Metallica: se prendi ‘For Whom The Bell Tolls’ e ci tiri via le chitarre e metti dentro una tastiera ti ritrovi con una canzone pop dalle tonalità piuttosto cupe. Quindi per me fa tutto parte di uno stesso principio; chiaramente la gente che mi segue fa un pochino più di fatica. Ma le persone che mi conoscono, e che conoscono la musica che ho ascoltato per tutta la mia vita, lo capiscono benissimo, anzi casomai lo pensano perché io ci abbia messo così tanto a fare questo disco”.
D’altronde le tue origini affondano nel thrash e death metal degli anni ’80, quindi sorprende fino ad un certo punto che tu abbia sentito la necessità di avviare questo progetto.
“Assolutamente. Che poi la moneta ha due lati, ma in questa storia di lati ce ne sono almeno quindici! Prendiamo ad esempio il COVID 19. Improvvisamente mi sono ritrovato con un sacco di tempo libero a disposizione, allora ho messo insieme velocemente tre o quattro canzoni. Poi ho incontrato questo produttore eccezionale, Jonas T, che si è innamorato delle canzoni e ha deciso che voleva produrre a tutti i costi l’album. Lui ha detto che se anche nessuna casa discografica avesse voluto pubblicarlo, lo avremmo fatto noi in modo indipendente. L’altro elemento è stata questa voglia rinnovata di voler scrivere musica ogni giorno, ogni sera, che è una cosa che non facevo più da dieci o quindici anni ormai. Anche perché non aveva più senso per me… prima avevamo Cherion e Max Martin, che erano i produttori con cui lavoravo, ma loro stanno negli USA, e tutto è diventato così complicato oggigiorno, che sinceramente rifare un altro album in chiave dance sulla base di quello che abbiamo fatto in passato mi sembrava impossibile. A dirla tutta, non credo di avere più neanche una base di seguito per poter giustificare un’impresa simile. Certo, il mio seguito ce l’ho, ma non stiamo più parlando di centinaia di migliaia di ragazzi che vogliano ascoltare un nuovo album di E-Type. In questo momento io e Jonas ci stiamo divertendo tantissimo con Dampf, a tal punto che stiamo già preparando il secondo album, che è già stato scritto per metà”.
Immagino che il materiale dell’album sia stato composto interamente da te, corretto?
“Sì, esattamente. Io compongo la musica, poi creo dei demo che invio a Jonas, e poi parliamo di testi. Allora lui mi chiede: di cosa tratta questa canzone, e io glielo spiego, e da lì cominciamo a comporre i testi insieme, dato che tra l’altro lui è molto più bravo di me con l’inglese! Ma i concetti partono da me. Molti testi hanno come tema centrale la natura, e le condizioni attuali del nostro pianeta, e di come le cose stiano andando nella direzione sbagliata, e di quello che dobbiamo fare per cambiare la rotta pericolosa che abbiamo intrapreso. Abbiamo creato un team molto affiatato, un po’ come con Max Martin vent’anni fa; similmente a quei tempi, diciamo che l’85% del prodotto viene da me, ma manca comunque quella fase di collaborazione che serve per direzionare il materiale e completare l’opera”.
In termini di mettere insieme la band, come ti sei mosso? So che hai arruolato il chitarrista dei Sabaton e anche l’ex bassista dei Bathory.
“Sì, Frederick Melander suonò in una delle prime formazioni dei Bathory, nell’epoca 1983-1984. Insieme a lui nei Bathory c’era anche Jonas Akerlund, suo cugino, che era un mio compagno di scuola, mentre Frederick aveva un anno in meno di noi. Jonas aveva cominciato a suonare la batteria con i Maninnya Blade, ma poi aveva deciso di trasferirsi a Londra per iniziare la sua carriera di produttore di video, così mi aveva chiesto se ero interessato a suonare la batteria al posto suo con i Blade. E così sono cominciate le nostre carriere, ci conosciamo da una vita. E poi c’è Tommy Johansson dei Sabaton, che è molto più giovane di noi, ma è un musicista straordinario. Mettere insieme una band valida in quest’epoca di quasi post-COVID è veramente un’impresa ardua, perché tutti sono super impegnati con le proprie band e i progetti, i tour, le registrazioni… la Svezia in fin dei conti è un paese piuttosto piccolo. E i musicisti con cui vorrei collaborare sono pochissimi e molto occupati.
Così all’inizio avevo pensato di avviare un progetto stile Ghost di Mathias Forge, anche perché volevo fare un progetto musicale in cui tutta l’enfasi fosse sulla musica. Non volevo che Dampf venisse giudicato in base al mio passato, a quello che avevo fatto musicalmente come E-Type, volevo che la gente giudicasse la musica senza pregiudizi, e se ti piace bene, altrimenti va bene lo stesso! Purtroppo nel giro di poche ore in Svezia tutti sapevano del mio nuovo progetto per quello che dicevo prima, ovvero che il Paese è molto piccolo e le voci girano velocemente! Ma tornando alla band, pensavo che sarebbe stato molto più difficile assemblarla, invece è stato quasi l’opposto: quando le persone che volevo nel progetto hanno saputo quello che stavo facendo, loro hanno reagito dicendo: “ah, finalmente! Era ora che facevi questo album metal!”.
Quindi da quel punto di vista le cose sono andate via molto bene. Piuttosto, il vero problema è stato quello di plasmare il suono che cercavo, e in tal senso invece mi aspettavo che sarebbe servito meno tempo. Avevo già quattro date per i festival estivi organizzate e nella mia testa nel giro di un paio di rehearsal saremmo stati pronti per salire sul palco, invece ho scoperto che per avere il suono che cercavo ci sarebbe voluto molto più tempo ed impegno! Ma le persone che sto coinvolgendo non hanno così tanto tempo da dedicare ai Dampf, così ad esempio il primo batterista che ho coinvolto, che ha una sua carriera anche come presentatore in televisione, e che ha suonato su quasi tutti i brani dell’album, mi ha detto che non poteva stare con la band per più di una settimana intera per fare le prove in studio, allora ho dovuto chiedere a David Wallin degli Hammerfall, che mi ha subito detto “io posso farlo!”. Quindi la band sta evolvendo come uno strano organismo vivente cosmico che cambia forma continuamente… ma mi auguro che dandole del tempo essa si stabilizzerà.
Credo che dopo la prima serie di concerti, che abbiamo programmato per l’estate, potremo avere un’idea più precisa di come potrebbero evolvere le cose. La formazione attuale è fantastica, ma credo che ci vorrà più tempo per solidificare una formazione che potrà essere considerata stabile”.
Beh, giudicando in base ai primi ascolti dell’album, sicuramente hai messo insieme del materiale molto particolare… una sorta di crossover di molti generi musicali: c’è sicuramente una componente dark e gotica, ma si mescola in modo credibile a influenze sia pop che metal, con anche molta melodia, che può rendere il materiale appetibile a quasi chiunque. Anche i video che hai preparato sono abbastanza sorprendenti. Intanto, mi sembra che tu abbia potuto fare affidamento su un budget non indifferente, e si vede che ci è andato un sacco di lavoro ed impegno nella loro produzione.
“Sì, i video me li sono prodotti da solo. E il secondo in particolare mi ha impegnato giorno e notte per quasi due settimane intere. Quindi tanto lavoro ma anche tanta soddisfazione perché posso fare le cose esattamente come le voglio, questa è la cosa che più amo di questo progetto. Questo è il bello di avviare progetti nuovi ed originali come Dampf: non hai ancora un pubblico da soddisfare, e nessuno ti conosce! Quindi puoi fare quello che vuoi, hai carta bianca. Non devi preoccuparti di far contenti i tuoi fan perché ancora non ne hai! Mi sto divertendo così tanto che ho già preparato la sceneggiatura del terzo video, l’unico problema è che non so quando riuscirò a lavorarci, perché abbiamo i nostri concerti da fare in estate e poi ho anche una serie di altri impegni. E chiaramente il nuovo video dovrà essere più bello di quello che lo ha preceduto, che a sua volta era più bello di quello che lo ha preceduto. Detto ciò, alla fine la produzione dei primi due video non è costata neanche troppo.
Diciamo che ho fatto leva di tutto quello che avevo e di tutto quello che potevano procurarmi le persone che conosco, e così sono riuscito a metterli insieme con dei budget piuttosto ridotti. Ad esempio, le due barche vichinghe che appaiono nel video di ‘Who Am I’ sono mie! Ma per usarle ho dovuto sistemarle, dato che non venivano utilizzate da più di tre anni a causa della pandemia. Quindi, più che di problemi di budget economici veri e propri, si è trattato di fare parecchio lavoro manuale e di sostanza per predisporre tutto quello che serviva per i video”.
A questo punto della tua carriera, cosa rappresenta Dampf per te? È un punto di arrivo o semplicemente un altro capitolo della tua variegata carriera?
“Io quando penso a Dampf non penso ad un gruppo musicale, ma piuttosto a una piattaforma per la creazione e produzione di arte, se puoi capirmi. La musica, i video, i testi, come appariremo dal vivo, sono tutti diversi aspetti di un’espressione artistica in divenire. Ci sono ancora tantissime decisioni da prendere, ma la possibilità di avere accesso a diverse opzioni mi fa sentire vivo. Tra l’altro io ho le idee abbastanza chiare su quello che voglio realizzare, ma allo stesso tempo sono molto aperto a consigli ed idee da altri. E così ad esempio per i video si è creata una bella collaborazione con Ted Linden, che mi sta aiutando a produrli, che ha contribuito tante idee su come realizzarli, che io ho accolto con entusiasmo. Un po’ come con Jonas quando siamo in studio”.
A proposito di look on stage, visto che lo hai menzionato: cercherai di riprodurre in qualche modo quello che abbiamo visto nei video, oppure assumerete un approccio più standard?
“Assolutamente! Tutti i musicisti che si vedono nei video appariranno nello stesso identico modo anche sul palco. Ognuno ha il suo look e il suo nome d’arte. Ma non voglio anticipare troppo, quindi mi fermo qui!”.
Dai tuoi testi mi sembra di capire che credi molto nella presenza di spiriti intorno a noi, e non necessariamente in una forma che debba essere percepita come un pericolo… questa cosa è molto interessante e volevo chiederti di elaborare un pochino su questo tema. In particolare, sul nuovo singolo ‘The Other Side’ tu canti: “When you feel the other side, reach out; let them know that you are there…”. Cosa significa?
“Sì, io credo molto nell’aldilà, e credo che noi possiamo avere dei rapporti con questi spiriti, allora dico che quando tu senti la loro presenza, fagli sentire anche tu che ci sei, e aiutali ad entrare. Fagli capire che non hai paura e cose interessanti possono succedere. Chiaramente ci sono persone malvagie sulla terra e quindi ci sono anche spiriti malvagi, ma la maggior parte di loro sono semplicemente persone morte che non riescono a riposare, c’è qualcosa che li trattiene ancora. Persone che muoiono serenamente, magari di vecchiaia, non li vediamo come fantasmi, i fantasmi hanno un motivo di permanere in quella forma perché per qualche motivo non sono soddisfatti. Loro hanno bisogno di qualcosa e noi possiamo aiutarli a trovare la pace. Loro non fanno male a nessuno”.
Quindi chiaramente credi nella vita dopo la morte?
“Assolutamente, non esiste alcuna forma di energia sulla terra che scompare. Ogni forma di energia si modifica. Cambia struttura, forma, colore, magari diventa calore, ma non scompare. Succede la stessa cosa con la nostra anima. L’anima è energia, e si trasforma in qualcosa di diverso e va da qualche parte, ma non sparisce.
Tutti i miei cari che sono morti, ho sentito la loro presenza per qualche settimana dopo la loro morte. Di solito, loro assistono al proprio funerale, riescono a comprendere ed elaborare quello che sta succedendo, se ne fanno una ragione e dopo un po’ trovano la pace e vanno via, se sono contenti e soddisfatti della vita che hanno vissuto. Ma alcuni fantasmi hanno centinaia d’anni e non riescono a trovare la pace e a riposare, per situazioni che hanno vissuto durante la loro vita, e quindi si rifiutano di passare dall’altra parte, e vanno via. Io questo lo dico perché li ho incontrati, altrimenti non avrei tutte queste certezze. Bisogna sempre avere nella vita una mente aperta, su tutto: sulla musica e anche su cose di questo tipo”.