Unwelcome – The Sound Of Sickness
Il 29/05/2022, di Fabio Magliano.
‘BeUnwelcomeOrDie’ segna il ritorno in grande stile degli Unwelcome, band piemontese protagonista, sul finire degli anni Novanta, in quella scena crossover tricolore in grado di sfornare band e dischi di caratura internazionale, frenata forse solo da quella vena di esterofilia che, all’epoca, pareva pesare come un fardello sulle spalle dei gruppi nostrani, forse un po’ troppo penalizzati da chi tendeva a guardare più all’estero rispetto a quanto di buono sfornava la nostra Penisola. Ma gli Unwelcome, nonostante diverse vicissitudini avverse, non hanno mai mollato, forti di una coerenza, di una integrità e di un’attitudine unica, e dopo essere tornati nel 2020 a mettere la testa fuori prima ripubblicando l’ottimo ‘Independent Worm Songs’ del 2001, quindi uscendo con un disco inedito, ‘Rifles’, ed oggi bissando quanto di buono mostrato con l’album precedente grazie appunto all’eccellente ‘BeUnwelcomeOrDie’. A parlarcene in modo più approfondito tocca al cantante Andrea e al batterista Maxim, con i quali ripercorriamo le fasi salienti della storia di una band che di cose da dire ne ha davvero tante…
Avete fatto parte di una scena, quella crossover italiana, che negli anni Novanta pareva poter diventare realmente qualcosa di grande, grazie a gruppi come voi, i Linea 77, Crackdown, H-Strychnine, Livello Zero, Folder … Che ricordi avete di quel periodo?
“(Andrea) E’ stato un periodo bellissimo e forse irripetibile, la musica negli anni Novanta era coraggiosa, c’era voglia di fare, di sperimentare. C’erano decine di band interessanti, c’era molta collaborazione e supporto ed il pubblico era sempre numeroso e partecipe, la musica era vissuta in modo viscerale, c’era qualcosa di magico nell’aria e siamo davvero orgogliosi di aver fatto parte di quella scena”.
“(Maxim) Aaaah i meravigliosi anni Novanta! Periodo fantastico, c’era un fermento pazzesco underground, un sacco di band strafighe con cui abbiamo condiviso il palco, un sacco di amici, mi sta per scendere una lacrima…”
Quale è l’insegnamento più grande e quale la più grande delusione che vi portate dietro da quel periodo?
“(A) L’insegnamento più grande è stato quello di mantenere la nostra integrità. Abbiamo sempre e soltanto fatto quello che ci piaceva, senza scimmiottare questo o quel trend, senza scendere compromessi e senza snaturarci…siamo rimasti noi stessi e penso che questa cosa a lungo termine sia stata percepita. La più grande delusione, penso, sia stata la progressiva perdita di interesse da parte del pubblico ed il conseguente ridimensionamento di tutto il movimento, senza che ci fosse stato un effettivo “salto di qualità” in termini di importanza e di successo “commerciale”, tale da permettere alla scena di continuare ad esistere ed alle band di concentrarsi esclusivamente sulla musica”.
“(M) Beh io sono una persona ottimista di natura, quindi non penso mai alle delusioni, tutto quello che abbiamo fatto è servito a farci crescere e migliorare. Se devo dirti l’insegnamento più grande, è stata sicuramente la consapevolezza che l’arte finisce quando esci dalla sala prove da li in poi comincia la parte imprenditoriale. Noi siamo stati molto “artisti” e poco “imprenditori”.
Il fattaccio Attack Records e il passaggio dalla possibilità di vedere la vostra musica proiettata su scala mondiale a un immobilismo forzato causato proprio dalla label. Quanto ha segnato il vostro percorso??
“(A) Purtroppo è stato un colpo durissimo, perché le nostre aspettative erano molto diverse e fondamentalmente ci ha costretti a perdere il cosiddetto “treno che passa”. Pensavamo di aver firmato il contratto della vita, ed invece è stata una grandissima delusione. Però lasciami dire che siamo stanchi di tutta quella storia, sono passati tanti anni, ci abbiamo messo una pietra sopra, siamo andati avanti e l’unica cosa che mi sento di dire è un grande “vaffanculo”.
“(M) Ecco di questo non voglio proprio parlare. Mi riallaccio alla risposta precedente, di quel periodo mi sono rimaste le emozioni: volare Oltreoceano, registrare in uno studio tappezzato di dischi d’oro, le risate, i video di Kid Rock, il cibo jamaicano e la pizza pepperoni. Coffee ??”.
In compenso in quel periodo avete avuto modo di andare a registrare in Svezia agli ordini di Eskil Lovstrom, un’esperienza questa che vi ha lasciato molto…
“(A) Essere in studio con Eskil Lovstrom, produttore di ‘The Shape Of Punk To Come’ dei Refused, disco meraviglioso, che avevamo scelto proprio per il tipo di suono, di ricerca e di ibridazione è stato un momento magico: il fatto di essere riusciti a produrre un disco che ci rappresentava al 100% e soprattutto ci differenziava da tutte le altre band…è stato davvero importante, anche per capire che cosa volevamo che diventassero gli Unwelcome”.
“(M) Quella è ancora più emozionante! Registrare ai Tonteknik Studio con Eskil era già di per sè una cosa da doppia libidine, se poi ci aggiungi: che per una settimana è stato sempre giorno, che i bus arrivavano un quarto d’ora in anticipo, lo snus, king of the muntagn, che Umea è una cittadina universitaria di 100mila abitanti di cui metà studenti con età media 33 anni e un rapporto uomo/donna 1 a 3 …è tombola!”
Dopo la pausa forzata della band, vi siete buttati in diversi progetti: TheBuckle, Gr3ta, Kessler…quanto c’è in essi degli Unwelcome?
“(A) Kessler è nato subito dopo aver deciso di prenderci una pausa con gli Unwelcome. E’ stato interessante soprattutto confrontarmi con l’italiano, e ci ha dato modo di collaborare con Riccardo Tesio (chitarrista dei Marlene Kuntz) che è un fantastico musicista, oltre che un caro amico. Gr3ta invece mi ha dato modo di esplorare e di approfondire la mia passione per l’elettronica e per l’industrial, ed inoltre mi ha permesso di imparare a fare tutto da solo. TheBuckle è una cosa molto rock’n’roll. Siamo solo io e Maxim, solo chitarra/voce e batteria, ed è stato molto divertente ed istruttivo riuscire a fare funzionare tutto a livello sonoro utilizzando soltanto due strumenti. Ci ha obbligato ad essere creativi! Sicuramente a livello inconscio c’è molto degli Unwelcome in tutti questi progetti, ma allo stesso tempo abbiamo sempre cercato di non fare cose già fatte ma anzi di differenziarci il più possibile”.
Perché l’esigenza di tornare con gli Unwelcome?
“(A) In realtà non siamo mai andati via, diciamo che ci siamo presi una lunga pausa. Come detto alcuni di noi hanno continuato a fare musica con altri progetti, ma abbiamo sempre saputo che gli Unwelcome erano e saranno sempre la nostra priorità. Serviva soltanto una scintilla”.
“(M) Più che un’esigenza è stata una voglia. Dopo la pubblicazione di ‘Swedish Files’ e gli inediti di ‘Rifles’, come si suol dire…l’appetito vien mangiando…ed eccoci qua!”
E la scintilla è stata ‘Rifles’, album nato nel pieno della pandemia. Quanto ha influito la tensione di quei giorni nel sound di quel disco?
“(A) ‘Rifles’ è stata appunto la scintilla. In realtà sebbene sia uscito soltanto nel 2020, in piena pandemia, si tratta di registrazioni di quasi vent’anni prima…erano i brani che avevamo composto e registrato dopo l’uscita di ‘Independent Worm Songs’, ma che non avevamo mai pubblicato. Tutto è nato da Kappa, boss di Ammonia Rec., che un bel giorno ci ha chiesto se avessimo intenzione di ri-pubblicare il disco uscito nel 2001 e se avessimo, per caso, qualche pezzo inedito da aggiungere…la nostra risposta è stata “beh, in effetti abbiamo praticamente due dischi inediti!”. E così abbiamo prima pubblicato la versione “svedese” di ‘I.W.S.’ (quella prodotta da Eskil Lovstroem) e poi abbiamo pubblicato ‘Rifles’ mettendo insieme tutto quello che avevamo appunto registrato tra il 2002 ed il 2004. Quindi direi che la tensione dei giorni della pandemia non ha avuto modo di influenzarci in quanto si trattava di brani molto più datati. Però è stata appunto la scintilla necessaria a farci tornare la voglia di fare musica insieme. L’anno scorso abbiamo fatto uscire il singolo ‘Colors Of War’ e poi ci siamo messi al lavoro sul disco nuovo”.
“(M) I pezzi di ‘Rifles’ sono semplicemente stati pubblicati, in quanto inediti, in quel periodo ma in realtà risalgono a parecchi anni prima per cui direi che la tensione che si “avverte” nel sound non è dovuta alla pandemia bensì ai nostri disagi precedenti”.
Come si pone ‘BeUnwelcomeOrDie’ rispetto a ‘Rifles’?
“(A) Mi piace pensare che gli Unwelcome siano sempre stati una band ben ancorata nel presente, al passo coi tempi, non importa se ci siamo presi una pausa o meno, abbiamo ricominciato esattamente dove avevamo lasciato. Nel senso che noi facciamo la nostra cosa e la facciamo a modo nostro, siamo come spugne che assorbono continuamente nuove influenze e nuovi stimoli per poi rielaborarli con il nostro linguaggio. Quindi ‘BeUnwelcomeOrDie’ è l’evoluzione di ‘Rifles’, che era l’evoluzione di ‘Independent Worm Songs’, perché per noi è importante non ripeterci, è importante continuare ad evolvere il nostro sound”.
L’impressione è che nel nuovo disco ci sia una maggiore ricerca della melodia rispetto al passato, con song più accessibili pur rimanendo una base di rabbia e di malessere di fondo…
“(A) Ti ringrazio, penso che la melodia sia sempre stata parte del nostro sound, anche se è sempre stata un po’ “sottovalutata”. Credo che già i pezzi di ‘Rifles’ fossero già più attenti alla melodia, alla ricerca di qualcosa di più che non fosse soltanto rabbia e malessere, e penso che questa volta sia uscita in modo più evidente che in passato, che ci sia stata più ricerca e più consapevolezza. Dopotutto noi siamo cresciuti, siamo maturati anche come musicisti, e le nostre esperienze ci hanno segnato e condizionato, e si riflettono nel mood di ‘BeUnwelcomeOrDie'”.
“(M) In realtà io personalmente voglio sempre fare i pezzi tirati, gli altri invece che sono invecchiati e guidano la “diligenza” del buon padre di famiglia, sono diventati più melodici. Battute a parte, non credo ci sia tutta questa ricerca voluta della melodia, nel senso che facciamo quello che ci pare e piace e se esce più melodico va bene così, non è che lo studiamo a tavolino. Sarà che a 20 anni forse la rabbia e il malessere di fondo venivano fuori più prepotenti rispetto a oggi”.
‘The Dobermann’ reca in sé un messaggio molto forte, ne parliamo?
“(A) ‘The Dobermann’ in realtà era solo un abbozzo, non aveva una vera struttura né altro, ma sapevamo che aveva qualcosa di speciale e l’abbiamo registrata e poi le abbiamo dato una forma in fase di produzione/mixaggio…ed è stato come un fulmine a ciel sereno. Sapevamo che aveva esattamente quella componente “space-core” che ci caratterizza da sempre: chitarre spaziali, melodia malata e una personalità schizoide. Per quel che riguarda il testo io non parto con un’idea precisa, i miei testi non parlano mai di qualcosa in particolare. La musica mi suggerisce delle immagini o delle idee, e lavoro su quelle. Non voglio lanciare messaggi o tematiche in particolare. Sono più che altro flussi di coscienza o di incoscienza ‘The Dobermann’ aveva in sé qualcosa di malato, di claustrofobico, ed il testo riflette – in modo anche scherzoso – quel tipo di mood”.
‘Freejazzpunkblahblahblah’…esperimento coraggioso estemporaneo o canzone che indica la strada che prenderete in futuro?
“(M) E’ uno dei nostri preferiti. Già il titolo rappresenta questo nostro essere contro al voler sempre dare un’etichetta o un’inquadratura a tutti i costi. Non penso sia un particolare indicatore del nostro futuro compositivo nel senso che, come già ribadito a più riprese, noi facciamo quello che cazzo ci pare, quindi se prossimamente ci prenderà bene inserire in un pezzo l’ukulele piuttosto che i bonghi o il controfagotto lo faremo senza problemi. Se ci piace è GO!”
“(A) E’ un pezzo che esemplifica perfettamente il nostro approccio ed il tipo di suono che vogliamo ottenere. Per assurdo è un pezzo che ”gira” da un sacco di tempo…ogni tanto lo suonavamo in sala prove ma non era mai stato registrato. Questa volta invece ci sembrava perfetto per ‘Be Unwelcome Or Die’ e penso che sia una delle cose migliori che abbiamo mai fatto. Questo disco è stato prodotto, registrato e mixato dal sottoscritto, e sono molto soddisfatto del risultato. Volevo un suono moderno, ma che non somigliasse a nulla in particolare. Ad un certo punto mi sembrava che ci volesse qualcosa di “diverso dal solito” per spingere la canzone su territori che non avevamo ancora raggiunto…ed il sax mi è sembrata l’idea giusta. Come dicevo a noi piace la definizione “space-core”, e penso che questo pezzo sia perfettamente esemplificativo di quello che intendiamo. Non saprei dirti se possa indicare o meno la strada che prenderemo in futuro, anche perché ci annoiamo in fretta e non ci interessa ripetere cose già fatte. Senz’altro continueremo a sperimentare e – perché no – inserire altri strumenti per ampliare ulteriormente la nostra tavolozza”.
Un altro tassello che spiazza di questo disco è la cover ‘Drive’ dei R.E.M. Come mai questa scelta?
“(A) Perché no? A noi piace moltissimo quella canzone, personalmente ascolto da sempre i R.E.M. e penso che ‘Automatic For The People’ sia un capolavoro, un disco emozionante e bellissimo, e ci siamo approcciati alla meravigliosa intimità dell’originale cercando di mantenerne la stessa intensità e la stessa inquietudine seppure amplificata da un suono oscuro e distorto. La scelta di farne una cover, però, è nata quasi per gioco. Kappa, il boss di Ammonia Rec., la nostra etichetta, ci aveva parlato della possibilità di far uscire una compilation con varie band alle prese con cover di pezzi più o meno famosi…e sapendo che lui detesta i R.E.M., ovviamente, quella è stata da subito la nostra scelta! Poi della compilation non se ne è più fatto niente ma la nostra versione di ‘Drive’ ci piaceva tantissimo ed è rimasta. E poi già ai tempi di ‘Independent Worm Songs’ avevamo fatto una cover di ‘Close To Me’ dei Cure…e millenni fa suonavamo pure una nostra versione di ‘La Isla Bonita’ di Madonna”.
Quanto c’è di istinto e quanto c’è di ragionato in questo disco?
“(A) E’ difficile risponderti, perché allo stesso tempo c’è molto istinto e molta immediatezza, anche perché la nostra “regola aurea” è che un pezzo deve funzionare subito, deve avere la scintilla. Se dobbiamo continuare a lavorarci sopra significa che probabilmente non funzionerà, e lo abbandoniamo. Però poi abbiamo lavorato moltissimo in fase di produzione e di mixaggio, affinchè ogni dettaglio ed ogni particolare fosse esattamente come doveva essere”.
“(M) Tutto sempre molto di istinto per quanto riguarda le composizioni dei pezzi. Non siamo mai stati una band che “ragiona”, siamo tutto cuore e rock’n’roll. Se una cosa ci piace la facciamo e basta senza pensare troppo. Di ragionato c’è sicuramente la produzione e gli arrangiamenti che sono frutto del grande lavoro di Andrea in fase di mixaggio/editing/mastering”.
Un altro aspetto importante di questo disco è il suo artwork curato da un Artista di fama internazionale come Valerio Berruti. Come è nato? Avete dato carta bianca a Valerio o ha realizzato l’artwork ispirato dal sound del disco?
“(A) Valerio è un amico di lunga data ed un artista che adoriamo. Abbiamo iniziato a collaborare negli anni ’90, quando Valerio aveva realizzato le scenografie dei nostri concerti, ed ovviamente siamo sempre rimasti in contatto. E’ stato naturale chiedergli di realizzare la copertina del nuovo disco, e siamo grati a lui per aver accettato e per aver realizzato una vera e propria opera d’arte. In realtà la scelta dell’opera è stata nostra, e tutto l’artwork è riuscito perfettamente ad esprimere con le immagini le sensazioni che cerchiamo di ricreare con la nostra musica”.
“(M) Valerio è un amico da illo tempore, iI live in “Chiesa d’arte” a Verduno rimane fra i più bei ricordi almeno per quanto mi riguarda. Lui ha da sempre carta bianca quando fa qualcosa per noi. Tutto quello che fa è sempre stupendo”.
In chiusura, pensate ci possa essere la possibilità di vedere gli Unwelcome su un palco per promuovere ‘BeUnwelccomeOrDie?
“(A) La dimensione live è fondamentale, ed è anche la cosa più divertente dell’essere in una band. Purtroppo siamo appena usciti da un periodo molto difficile per la musica dal vivo, dopo due anni e oltre di chiusure e restrizioni per colpa del Covid…ed ora che tutto sta ripartendo ovviamente ci vuole un po’ di tempo affinché tutto torni come era prima (se mai succederà). Sicuramente stiamo cercando di organizzare qualche concerto in estate per presentare e promuovere adeguatamente il disco, ma come ho già detto questo è un periodo un po’ caotico e noi vogliamo fare le cose per bene”.
“(M) Ovviamente il live è la cosa più bella e piacevole di una band. Ci stiamo organizzando. Stay tuned”.