Speed Stroke, the dogs returns its vomit
Il 18/03/2022, di Andrea Lami.
Si dice che l’assassino non torna mai nel luogo del delitto, noi di Metal Hammer siamo testardi e dopo aver ascoltato e recensito qui ‘Scene Of Crime’ l’album degli Speed Stroke, abbiamo deciso di approfittare di questo detto per approfondire il discorso ed avendo sotto mano Jack l’assassino, l’abbiamo sottoposto ad un quarto grado nel quale al posto che uscirne con le ossa rotte, ci ha raccontato un sacco di cose interessanti
Per chi vi conosce poco, hai voglia di raccontarmi come è nata la band? Come è nato e cosa significa il nome ‘Speed Stroke’?
“(Jack) La band è nata nel 2010 dalle ceneri dei Johnny Burning, gruppo molto attivo in quegli anni, di cui ero estremamente fan… le modalità con cui sono entrato nella band sono molto simili a quelle del film ‘Rock Star’ ma decisamente in scala ridotta! Da lì abbiamo iniziato a lavorare, soprattutto in ambito live con il desiderio di creare una realtà hard rock di qualità e con l’ambizione di farsi valere anche in ambito internazionale… la scalata è ancora lunghissima ma la fame è tanta! Il nome Speed Stroke è stato proposto dal nostro bassista Fungo ed è subito sembrato il più adatto visto che ogni significato rispecchiava ciò che sentivamo in quel momento; può essere sia un’opera artistica creata di getto senza pensare o un impulso di un motore o il classico colpo secco (in senso medico). Siamo sempre stati molto impulsivi nello scrivere e nel proporre la nostra musica in sede live, ogni cosa impostata ci sta leggermente stretta quindi o agiamo d’istinto o lavoriamo in maniera spasmodica per interiorizzare anche le cose più complesse per farle risultare naturali”.
Siete arrivati alla pubblicazione del terzo album, come è nato? Avevate già un’idea di massima o vi siete riuniti ed avete guardato quello che veniva fuori? Ci sono state delle band alle quale vi siete ispirati per la realizzazione di questo album (e di quelli precedenti)?
“Un po’ di uno e un po’ dell’altro. Molto del materiale viene dalla composizione dell’album precedente e di riff che avevamo in cantiere già da un po’, il nostro ex chitarrista Niko ha avuto molto impatto su alcune tracce e nel momento in cui è subentrato Michael nella band abbiamo cercato di implementare il suo sound il più possibile e abbiamo applicato uno dei nostri metodi di composizione preferiti: il ritiro spirituale in una casa in campagna isolata da tutti e suonare minimo 12 ore al giorno. Quindi è nato in maniera ibrida, sia la jam session estenuante sia la preproduzione frammentaria dovuta anche dalla distanza geografica tra di noi. E’ stato un album molto intenso che ha richiesto molto tempo, non per essere scritto, ma per essere portato al massimo potenziale (per noi) di resa; ascoltando l’album potrebbe non sembrare che ci sia dietro così tanto lavoro data la semplicità delle strutture, ma è frutto di un lungo processo di limatura e scrematura di eventuali eccessi che ci hanno creato non poche (amichevoli) discussioni in sala prove. Per quanto riguarda le ispirazioni di scrittura ci sono sempre i soliti pilastri del rock quali Skid Row, Ac/Dc, Guns’n Roses, Van Halen e molti altri ma anche più recenti come Hardcore Superstar, Turbonegro, Airbourne, i primi Crashdiet ecc. La produzione invece ruota tutta attorno a Ac/Dc e i primi Van Halen, abbiamo cercato di creare un suono spazioso, scarno ma al contempo potente e ruvido”.
Parlando di testi, quali sono i temi del disco?
“Vorrei poter fare lo splendido dicendo che ci sono fili conduttori creati volontariamente, ma come al solito me li ritrovo uniti in qualche modo solo dopo aver concluso il disco. A loro modo hanno tutti un mood ricorrente al quale, però, si approcciano in maniera differente: l’insicurezza. Il disco parte molto positivo e motivato, ‘Heartbeat’ è un inno al non arrendersi mai anche quando tutto va in malora, andando avanti si avverte la spensieratezza in ‘Scene Of The Crime’ dove quasi si elogiano le proprie malefatte. Man mano si scende nella malinconia o nell’aggressività nel difendere le proprie motivazioni fino ad arrivare a ‘Red Eyes’ che è un vero e proprio esaurimento nervoso tra cosa sia giusto o sbagliato dal quale piano piano si riflette e si manda tutto a quel paese per poi ricominciare il ciclo da capo! E’ un viaggio nella disperata ricerca di fare sempre la cosa giusta, quando di oggettivamente giusto non c’è nulla. Anche solo la copertina realizzata da un artista che ho sempre apprezzato moltissimo, SoloMacello, è un riassunto di quello che c’è all’interno del disco: un ragazzo con un coltello in fuga dalla polizia con un sorriso stampato sulla faccia, sicuro di averla fatta franca, mentre appena dietro l’angolo lo attendono svariati poliziotti sicuri quanto lui di averlo in pugno. Tutto è relativo, niente è certo ed è tutto una scommessa, come la formula per fare buona musica”.
Avete suonato con svariate band di spessore. Cosa avete imparato da queste band e qualche aneddoto divertente di queste date dal vivo?
“Abbiamo imparato che la strada da fare è ancora troppa! Ogni volta rimaniamo incantati a vedere la magia caratteristica di ogni singola band che le ha portate ad essere dove sono ora, ognuna ha la sua. Noi ogni volta cerchiamo di capire e coltivare cosa ci rende migliori e cosa magari stiamo trascurando, impariamo costantemente e questo ci rende ancora più ambiziosi ogni volta che scendiamo dal palco. Poi c’è quella competizione silenziosa impagabile per cui vuoi strafare e dare quasi fastidio agli headliner ma allo stesso tempo sei terrorizzato da loro, questa è una cosa che ti porta a creare degli equilibri nuovi che stimolano e divertono tantissimo. Una scena memorabile fu quella di una simpatica partita al gioco delle tre carte tra me e Adde (Hardcore Superstar) post concerto. Solo che le tre carte erano bicchieri da cocktail, due pieni di vodka liscia e uno di acqua, senza pensare andavano tirati giù alla goccia… il fatto che io sia finito nella sua auto in corsa con le gambe fuori dal finestrino cantando ‘I Got Erection’ dei Turbonegro alle tre di notte fa decisamente capire i risultati di questo gioco”.
Con tre album all’attivo, c’è qualche canzone che col senno di poi non vi soddisfa? O che oggi avreste cambiato qualcosa?
“Alcune canzoni del primo disco forse avrebbero meritato un po’ più di cura del loro potenziale, ad esempio mi piacerebbe rimettere mano a ‘Flesh and Nerve’. Mentre per quanto riguarda il secondo forse lo avremmo accorciato leggermente per poter inserire qualche pezzo in questo disco o in uno successivo per dargli molto più risalto di quanto ne abbiano ricevuto, ‘Lock Without a Key’ e ‘Monnaliesa’ per me ne sono un esempio”.
Vi piacerebbe collaborare con qualche artista straniero?
“Sicuramente i sopra citati Hardcore Superstar con cui sentiamo una affinità di mood particolare. Personalmente mi piacerebbe molto collaborare con Lizzy Devine (The Cruel Intentions – ex Vains of Jenna), che è stato un mio idolo contemporaneo in adolescenza e con il quale ho stretto un buon rapporto negli ultimi anni trovandoci sul palco insieme. Anche Dregen dei Backyard Babies è un altro mio sogno nel cassetto”.
Fate parte della scena hard rock italiana insieme a tante altre buone band. A vostro gusto, quali sono le band ‘migliori’?
“Partirò dai miei personalissimi preferiti, che sono i The Sade e gli Small Jackets. Band che per me dovrebbero stare in un Olimpo tutto loro! Tra le band che stimiamo di più sicuramente è impossibile non citare quelli che per noi sono come fratelli, ovvero i Superhorror e i Reckless; hanno sempre lavorato durissimo per farsi valere e gli auguriamo sempre il meglio. Menzione obbligatoria anche per ottime band come Hell in The Club, Bad Bones, John Dallas, Vicolo Inferno e ITsALIE”.
Quali sono gli obiettivi che vi siete fissati quando avete formato la band? Quali avete raggiunto e quali altri obiettivi sono arrivati col passare del tempo?
“Come ho detto precedentemente, abbiamo sempre sentito fortemente il desiderio di imporci la qualità come obiettivo primario e di usarla come mezzo per essere, sulla mappa, un punto di riferimento per l’hard rock (underground almeno) in Italia. La strada per riuscirci è tortuosa e piena di rallentamenti ma sono dieci anni che non molliamo e non abbiamo nessuna intenzione di farlo. Nel tempo abbiamo visto tanti demoralizzarsi e smettere, quindi ci piacerebbe molto essere d’esempio per qualche band che sta muovendo i primi passi in questo panorama e vedere ripopolarsi una fauna che ha sofferto gravi perdite”.
Essendo il rock un genere che dal il meglio dal vivo, avete mai pensato ad un album dal vivo, magari come bonus in un prossimo cd di inediti?
“Ci abbiamo pensato tante volte e, pandemia permettendo, abbiamo qualche idea in cantiere che aspetta solo di essere realizzata. Un disco dal vivo forse potrebbe essere possibile in vista di qualche ccasione o tour importante, non si sa mai nella vita. L’unico vero ostacolo è la nostra pignoleria e la nostra feroce autocritica, rischieremmo di impiegare più tempo a cercare l’esecuzione che ci soddisfi al 100% che fare un album in studio!”
Visto che il mercato della musica sta cambiando, alcuni artisti non stampano più i loro nuovi lavori, voi cosa ne pensate? Siete ancora affezionati ai supporti musicali come MC, LP o CD?
“Fortunatamente questo cambiamento ci ha colpiti in maniera relativa… credo che l’hard rock, il metal e relativi sottogeneri puntino ancora molto sul formato fisico. Si sente molto il desiderio di supportare in maniera attiva gli artisti (sicuramente meno di una volta) e il CD e il Vinile sono sempre i mezzi preferiti per farlo, anche se il secondo in maniera più dirompente nella nostra esperienza. Vedo che in alcuni ambienti di heavy metal classico o estremo è tornato come oggetto di culto la cassetta. In generale da quando si è persa la necessità di questi supporti come unico mezzo di ascolto, c’è stato sicuramente un iniziale disprezzo con conseguente ricerca del supporto più ‘comodo’ di ascoltare musica ma ora sta tornando sotto forma di ‘piacere’. Oggi diamo per scontata l’accessibilità della musica e andiamo verso il fisico quando vogliamo cercare un qualcosa di più, un’esperienza attiva, non siamo più ‘obbligati’ ma ‘liberi’ di farlo quando ci va. Personalmente, nonostante sia cresciuto a CD vuoti e chiavette da 128KB, ci sono gestualità a cui non sento di voler rinunciare quando ho voglia di immergermi in un disco”.