Dobermann – Il Rock è sempre stato fregarsene di non essere perfetti
Il 01/03/2022, di Andrea Lami.
I Dobermann approfittando del momento di pausa live forzata per colpa della pandemia si sono dedicati anima e corpo al nuovo album (‘Shaken To The Core’, trovate la nostra recensione qui). Con la dovuta pazienza ci siamo avvicinati al terzetto per fare una chiacchierata proprio sulle tematiche e sulla composizione di questa ultima loro fatica.
Ciao ragazzi, andiamo subito al nocciolo della questione ed approfondiamo un po’ il discorso del vostro ultimo album. Come è nata l’idea di collaborare con Alessandro Del Vecchio?
(Ritchie Mohicano) Ciao a tutti i lettori di Metal Hammer e ciao alla redazione! E’ sempre un piacere fare due chiacchiere assieme. Dunque, conoscevamo le leggendarie imprese di Alessandro Del Vecchio, che potrebbe tranquillamente essere paragonato ad un Desmond Child o ad un Rick Rubin dei giorni nostri, per prolificità, know-how e connections! Non lo avevamo considerato ‘subito’ perché una sorta di pregiudizio positivo ce lo faceva legare a dischi e band di sonorità AoR e, come ben sapete i Dobermann sono un trio d’attacco basato su un sound molto diverso. Ma una scintilla mi ha attraversato la mente proprio a ridosso della preproduzione che stavamo concordando con un altro grande produttore del panorama rock/pop italiano. Decisi di contattare Ale, non volevamo lasciare strade intentate! Una piacevole conversazione con lui convinse tutti all’unanimità. Fu grandioso sentirlo parlare di noi in maniera preparata. Avremmo mantenuto la nostra identità di suono, avremmo evoluto quanto cominciato con ‘Pure Breed’ ed avremmo valorizzato tutti i nostri punti di forza, puntando ad una produzione più genuina possibile, che catturasse al meglio il nostro ‘tiro’ live e lo immortalasse per sempre senza fronzoli! Con dei presupposti simili, dubbi non ne esistevano più!
(Paul Del Bello) In realtà il nome di Alessandro Del Vecchio è arrivato all’ultimo secondo. Dopo qualche mese di ricerca, eravamo a giorni da chiudere l’accordo con un altro produttore. Avevamo già fatto un incontro preliminare, inviato la demo, preso accordi, tutto fatto. Un giorno Valerio ha proposto ‘Perché non proviamo a sentire Ale Del Vecchio?’ All’inizio non ero molto convinto, non per le sue capacità e il suo curriculum, che sono straordinarie e assolutamente fuori discussione, ma perché ho sempre ritenuto le sue produzioni, che conoscevo bene, troppo diverse dal nostro stile, seppure grandiose. Ma dopo aver fatto due chiacchiere al telefono ho capito che eravamo sulla stessa lunghezza d’onda e che sarebbe filato tutto liscio. Così abbiamo disdetto con l’altro produttore, letteralmente sul fotofinish!
Come abbiamo appena detto, Alessandro Del Vecchio è più vicino a sonorità hard rock melodiche, voi siete da sempre più duri e puri. Avete trovato una sorta di compromesso musicale?
(Antonio Burzotta) Alessandro, grazie alle sue ottime competenze, ha tirato fuori un bellissimo suono da trio di cui andiamo più che fieri. È riuscito a farci sentire a nostro agio, ci ha lasciato liberi di esprimere noi stessi, come musicisti. Ci ha chiesto cosa volessimo ottenere e ci ha accontentati al meglio, mettendoci lo zampino, che molte volte si è dimostrato determinante!
(Paul) Non siamo dovuti scendere a nessun compromesso musicale, Del Vecchio si è adattato benissimo al nostro stile. E sinceramente non c’era altro modo di fare questo disco! Sin dall’inizio abbiamo insistito sul tenere il sound più ‘live’ e sanguigno possibile, cercando di suonare da trio e senza utilizzare tutti gli espedienti da studio che sono all’ordine del giorno, e che secondo me stanno distruggendo la musica rock, uniformando le band a un sound ‘standard’. Su ‘Shaken To The Core’ non abbiamo praticamente usato trigger, non c’è quantizzazione, i cori hanno quasi sempre solo tre tracce, una traccia di chitarra, spesso abbiamo rinunciato anche alle sovraincisioni di chitarra ritmica durante i soli. Suona come dovrebbe suonare una band come la nostra. La traccia di batteria di ‘Run For Shade’ è stata fatta in una take sola. Quella vocale anche, ed è stata, se non ricordo male, la prima traccia che ho registrato. Insomma, ‘buona la prima’, o quasi. Non sono perfette, certo, ma il Rock N Roll non è mai stato perfezione, è sempre stato fregarsene di non essere perfetti. Inoltre c’è stato uno sforzo deliberato, da parte mia e di Anto, di non avere una sezione ritmica ‘pane e salame’ tutto il tempo. Credo sia l’elemento compositivo che davvero diversifica questo disco rispetto al resto della nostra discografia e soprattutto alle altre produzioni del nostro circuito. Si tende sempre ad avere una sezione ritmica molto semplice, sulla quale si appoggiano riffoni di chitarra e melodie vocali. Abbiamo tenuto i riffoni, ma abbiamo aggiunto un po’ di movimento anche ai piani bassi. Il rock moderno gira sempre intorno a voce e chitarra, sono praticamente gli unici elementi che distinguono una band dall’altra. Volevamo davvero cambiare questa formula. ‘Four On The Floor’ è bello, ma ce n’è abbastanza.
Ale è stato bravo a rispettare e a non toccare tutto questo. Anche a livello di songwriting è intervenuto relativamente poco rispetto ai nostri precedenti lavori. Se su ‘Pure Breed’ abbiamo dovuto quasi riscrivere alcune parti, su ‘Shaken To The Core’ ci siamo limitati a qualche piallata qui e lì. Anche in fase decisionale è stato un elemento importante. In certi casi l’ultima parola spetta al produttore. Sono molto contento del risultato. Normalmente dopo sei mesi dalla pubblicazione comincio a odiare i nostri album, qui non è ancora successo!
Come sono nati gli undici brani che compongono questo nuovo lavoro?
(Ritchie Mohicano) La storia dietro la nascita di una canzone è sempre un elemento di grande fascino per me. La ricetta non si ripete mai uguale. Ricordo il momento preciso in cui durante un soundcheck, nell’ormai lontano novembre 2017, trovammo “IL” ritornello più catchy della nostra carriera. Si trattava di “Stiff Upper Lip”, sulla quale macinavamo jam in cerca di una struttura sensata, che potesse renderla un brano di tutto rispetto. Quello fu il momento in cui capimmo di avere a che fare con la prima nuova canzone successiva al disco di ‘Pure Breed’. E sapevamo che sarebbe stata una delle più acclamate e ‘facili’ da ricordare. Tutt’ora dal vivo è uno dei brani più attesi! Il 2018 vide sfornare le prima versioni di ‘Over The Top’ e ‘Dropping Like Flies’: due bozze furiose, due jam che implicitamente dichiaravano il forte desiderio di esplorare altri modi di interagire tra di noi. La sessione ritmica di entrambe le canzoni è decisamente lontana dai cliché di genere, e comprendemmo che assieme alla ‘zampa’ americana che contraddistingue il mio modo di suonare la chitarra, stavamo creando una ‘formula’ molto interessante. La primavera 2019 ci vide alle prese con quella che sarebbe diventata ‘Staring At The Black Road’: avevo buttato giù una serie di idee di chitarra fantastiche, cariche di identità. Finirono col diventare il riff principale ed il ritornello della canzone. Vi aggiunsi lo ‘special’ con tanto di coro. Durante una jam trovammo una quadra per la strofa, Paul vi aggiunse una parte di basso slappata e il resto lo fece la magia di Anto. Il testo oscuro aggiunto da Paul ne fu la ‘sweet cherry on top’! Che canzone, ragazzi! Nello stesso periodo Paul propose un’idea di testo e progressione di accordi molto malinconica e ricca di significato. Ci colpi fin da subito l’atmosfera di ‘Talk To The Dust’. Fui particolarmente ispirato nell’aggiungervi il riff di chitarra acustica che vi potete ora godere nel brano immortalato in studio. ‘Shaken To The Core’ si guadagnò una genesi frenetica. Avevo il riff di chitarra, avevo il bridge pre-solo e tutta la parte strumentale del solo. Paul aveva da parte un testo claustrofobico che non aveva mai usato e che aspettava solo l’ossimoro di un pezzo esagitato per poter essere espresso. In due jam chiudemmo il pezzo e Alessandro in studio ci aggiunse il cambio di tempo dimezzato che finisce sfumando sul finale! Ne siamo orgogliosissimi! Tutto il resto del disco, seguendo questa meravigliosa e caotica logica imprevedibile di un riff che accoglie un testo, o di un testo sul quale sviluppare accompagnamento melodico, nacque pochi mesi prima della preproduzione, tra Dicembre 2019 e Febbraio 2020. A giugno dello stesso anno, entrammo in studio ad incidere il nostro capolavoro!
(Paul) Ogni canzone ha una genesi diversa, per alcune tracce siamo partiti da una bozza di ritornello, per altre da un riff di chitarra o di basso che poi abbiamo sviluppato in sala prove. ‘Stiff Upper Lip’ è la prima canzone che abbiamo composto, è stata in giro un paio d’anni e già la suonavamo dal vivo. ‘Over The Top’ l’abbiamo messa insieme in una stanza di hotel in Inghilterra, in un paio di serate libere durante qualche tour. ‘Rolling With The Times’ è una canzone che abbiamo messo insieme (inizialmente in italiano, si chiama ‘Filo Spinato Intorno Al Cuore’, abbiamo appena messo fuori un lyric video) per un gruppo di Vercelli che realizza carri di carnevale.. era la loro colonna sonora per la sfilata, la stavamo suonando dal vivo a tutto volume, sul loro gigantesco carro a tema ‘Ruggine’, quando ci è arrivata la notizia che i festeggiamenti del Carnevale erano stati improvvisamente interrotti per l’esplosione del Covid, quindi tutti a casa, letteralmente a metà sfilata. ‘Run For Shade’ era in realtà una canzone rimasta in cassaforte dal lontano 2014, avrebbe dovuto finire dentro il nostro EP ‘Testarossa’ ma è rimasta indietro per qualche motivo, e aggiungo meno male, perché al tempo non saremmo riusciti a renderle giustizia. ‘Shaken To The Core’ e ‘Last Man Standing’ erano in realtà due testi che avevo nel cassetto da un paio d’anni e che aspettavano le giuste circostanze.
(Anto) È stato un lungo lavoro, che oscillava tra emozioni improvvise e alcune fasi di stallo. Per quanto riguarda la stesura melodica e armonica, i miei colleghi Paul e Valerio sono stati eccezionali, portando molte idee da poi plasmare e rendere delle vere e proprie canzoni. Personalmente il mio apporto è più basato sulla ritmica dei brani, sulle sfumature e i cambi di struttura.
Ho trovato questo album meno ‘straight to your face’ essendoci solo tre brani tirati. Come è nata questa scelta? Avevate intenzione di mostrare qualche vostro ulteriore aspetto oppure è nato tutto spontaneo?
(Anto) Questa evoluzione è stata piuttosto naturale, le idee, rispetto al passato, andavano in una direzione meno hard ma più melodica. I brani tirati non mancano, soprattutto se ti chiami Dobermann, ma ci siamo divertiti a sperimentare qualcosa che andasse oltre ciò che si aspettano i nostri fans. Speriamo di avervi stupito in positivo!
(Ritchie Mohicano) Avevamo voglia di divertirci! Il processo creativo è stato totalmente spontaneo. La versione pre-studio delle canzoni che ascoltate ora in ‘Shaken To The Core’ era già pari all’ 80% di quello che sarebbe stata poi la loro forma finale. Alessandro in studio ha aggiunto dei grandi e significativi highlights qua e là, ma a differenza di ciò che potrebbe far pensare il suo background, i Dobermann avevano già optato per questa direzione meno ‘prevedibile’. Volevamo un disco che suonasse ‘vero’, senza troppe sovraincisioni e senza trigger, volevamo un disco che esaltasse la nostra sessione ritmica e la nostra chitarra, volevamo un disco che reggesse le trame delle nostre armonizzazioni vocali, volevamo un disco con ritornelli, riff e assoli memorabili. Volevamo emozionarci nell’ascolto e volevamo che vi emozionaste quanto noi nell’ascoltarlo. Le canzoni tirate non mancano, i Dobermann però sono TENACIA, MAZZATE e CUORE. E credo che questo disco sia riuscito a realizzare una bella diapositiva di questo periodo così incredibile del nostro percorso.
‘Rolling With The Times’ mi ha ricordato Disco Inferno dei The Trammps. Sia per il giro di basso che per l’atmosfera creata ad inizio pezzo. E’ una cosa voluta?
(Paul) No! È colpa di Antonio. Io avevo in mente un pezzo molto più lineare con il basso in stile disco per dargli un po’ di brio, ma alla fine abbiamo detto ‘ Se dobbiamo fare disco.. che disco sia!’ E quindi abbiamo allineato anche il resto. Eravamo un po’ perplessi su questa canzone, diciamo che nessuno di noi la considera la punta di diamante dell’album. Ovviamente, credici o no, è quella che viene più citata nelle recensioni .. diciamo che si è presa una bella rivincita!
(Anto) Purtroppo, appena ho sentito il giro di basso di Paul, ho marchiato quel riff col charleston in levare. Nonostante le proteste, questa condizione non è cambiata, quindi il brano ha preso quel mood che può ricordare Disco Inferno (che tra l’altro mi piace tantissimo), anche se poi la canzone ha uno sviluppo più rock e presenta molti cambi d’atmosfera. Penso sia uno dei brani più interessanti del disco.
‘Talk To The Dust’ e ‘Last Man Standing’ sono a mio parere due grossi passi avanti per la vostra carriera. Sono due step affrontati e superati che ampliano il vostro ventaglio musicale.
(Paul) Sono d’accordo e mi fa molto piacere che tu le abbia citate. È la prima volta che ci misuriamo con dei pezzi ‘lenti’. È la prima volta che ci sono delle chitarre acustiche su un disco dei Dobermann. È la prima volta che usiamo il piano. È la prima volta per un sacco di cose. E dopo 10 anni di band lo trovo molto positivo. Un sacco di gente dirà che non ho la voce adatta per questo tipo di sonorità, ma me ne frego, le canto lo stesso. Sono state due belle prove, da un punto di vista vocale, molto difficili e molto lontane dalla mia comfort zone. Non ce l’avrei mai fatta senza la mia vocal coach. Ciao Michela!
(Anto) In questo disco abbiamo voluto percorrere strade ancora inesplorate dai Dobermann e questo aspetto regala al nuovo album una buona varietà. Speravo che prima o poi avremmo tirato fuori una canzone come ‘Talk To The Dust’ e devo dire che il risultato è stato positivo. In una ballad, la parte di batteria è più delicata da affrontare, non bisogna pestare i piedi a nessuno, cercando comunque di arricchire dove possibile. Oltre a Paul e Valerio, che hanno avuto idee grandiose su questo pezzo, va fatto un plauso a Del Vecchio per averci costretto ad utilizzare la chitarra acustica!
Voi che siete una band prettamente live, avrete vissuto in maniera terribile questo lockdown… come l’avete affrontato?
(Ritchie Mohicano) Inizialmente io ne ho colto l’unico lato positivo: avevo bisogno di fermarmi un attimo, di lavorare su me stesso, come musicista e come uomo. Ne ho approfittato per studiare molto di più, per imparare cose nuove, per solidificare ciò che sapevo fare e per cimentarmi in nuovi aspetti di vita, come quello della cucina, che è diventata una mia grande passione. Quando si parla dei ‘Dobermann’, è doveroso rendersi conto di avere a che fare con persone che non perdono il loro tempo piangendosi addosso senza reagire. Il nostro modo di ottimizzare i tempi è stato quello di registrare il nostro nuovo album e di pianificarne a puntino la promozione. C’è un grande lavoro dietro l’uscita di un disco, che coinvolge moltissimi aspetti. Non è solo la fase di ascolto dei primi mix a richiedere grande energia. Serve ispirazione per il concept grafico, serve una linea guida per capire come procedere a livello pubblicitario. Occorre individuare un team di registi per i video per i singoli che sono stati designati. Coordinare gli store digitali, stampare il nuovo merchandise e rimettere mano al calendario live, seguire le interviste radio, le interviste scritte per i magazine, realizzare materiale promo, dedicarsi alla stampa del supporto fisico del disco… fare tutto questo in tour è ciò che abbiamo sempre fatto. Rompere gli schemi per una volta e occuparci di tutto senza la frenesia dei concerti ha avuto i suoi lati positivi. Per il resto, per chi come noi vive di musica, il lockdown ha messo a dura prova la fede negli dèi, il sistema nervoso ed il conto in banca. Avremo a che vedere con questo spauracchio ancora per qualche tempo a venire, purtroppo. Ma i Dobermann hanno le gonadi d’acciaio!
(Anto) La parola terribile è forse esagerata. Sicuramente ci ha frenato i live, come tutti, ma siamo riusciti a sfruttare il tempo per ultimare la registrazione del disco con più serenità. Il lockdown è stata una dimensione molto particolare come per tutti. A me ha dato tempo per lavorare su me stesso e dedicarmi anche ad altri strumenti musicali, come il pianoforte. Pare che il peggio sia passato e che si stia tornando alla normalità, ma meglio non dirlo troppo forte!
Domanda che in altri tempi sarebbe risultata banale ma che alla luce della pandemia, lockdown ecc. diventa attualissima. Che progetti avete per il futuro? State riuscendo a programmare qualche data?
(Ritchie Mohicano) Noi ci stiamo mettendo entusiasmo ed energia nello schedulare concerti. Siamo consapevoli che molte cose potrebbero andare in maniera diversa da quella che ci auguriamo. Il nostro sito riporta tutti i nostri spostamenti passati e futuri ed è costantemente aggiornato. Vorremmo portare lo show del tour di ‘Shaken To The Core’ in più paesi possibili, pandemia permettendo. Riprendere il regime dei ritmi pre-Covid al più presto possibile è il nostro imperativo. Bisogna avere pazienza e non mollare la presa. In tutto questo periodo di difficoltà siamo già riusciti comunque a siglare qualche grande accordo per il prossimo futuro! A novembre 2022 saremo ospiti del leggendario ‘Hard Rock Hell’ UK, un festival prestigioso, in compagnia di grandi nomi come The Darkness, Skid Row, Ugly Kid Joe e tanti altri.. (link evento) e suoneremo proprio a ridosso degli headliner! Si sono accorti di noi, dopo anni di inseguimento da parte nostra (e anni di tour estenuanti in Regno Unito!!) e questa è già una bellissima soddisfazione che speriamo di poterci togliere! In cantiere ci sono altre trattative da capogiro che speriamo ci possano vedere in altri cartelloni blasonati! Rimanete sintonizzati!!
Ultima domanda di attualità, visto che vi hanno paragonato ai Maneskin in qualche rivista… un po’ di curiosità: cosa ne pensate dei Maneskin? Sia della band sia della loro vittoria Sanremo/Eurovision?
(Anto) Sicuramente in comune abbiamo l’uso dell’eye-liner e l’energia rock che si sprigiona sul palco durante il concerto. Dal punto di vista ‘batteristico’ mi piace molto il lavoro fatto da Ethan; un bel suono rock e parti tecnicamente non banali! In generale mi piace tutta la band e penso che chi li critica senza una reale motivazione faccia solo la figura del ‘rosicone’! Trovo che questo ritrovato entusiasmo per il rock possa portare molti benefici, a partire da quelli ai più giovani, che si avvicinano con più facilità alla musica “suonata”, fino ad arrivare all’esportazione all’estero di musica italiana finalmente Rock!
(Paul) Straordinari. Belli, giovani, magri, look giusto, canzoni che vengono al dunque senza cercare di stupire o strafare, sound scarno, essenziale e diverso dai soliti cliché rock 70’s o 80’s, strutture liriche originali e cazzute, davvero, è esattamente questo di cui c’è bisogno per risollevare le sorti del rock. Musicisti eccezionali? Forse no, ma che importa? Hanno il ‘drive’. In Italia abbiamo una bella scena metal, ma non abbiamo mai avuto la band ROCK rilevante a livello mondiale, gli Scorpions o gli Europe del caso, mi auguro che sia la volta buona. Hanno stabilito un precedente importante anche pubblicando un album in lingua mista, italiano e inglese. E soprattutto, ora sappiamo che anche per una rock band italiana, è possibile farcela. Non è una questione di lingua, e non è una questione geografica. Non ci sono più scuse. Forza Maneskin!
(Ritchie Mohicano) Io trovo che i Maneskin siano davvero in gamba. Non sono un fan della loro musica, qualcosa mi piace, qualcosa mi convince meno, ma li trovo molto più credibili dell’esercito dei boomer (tra cui molti colleghi) che gli scaglia contro qualsiasi indecenza. Hanno identità e coerenza. Questi ragazzi NON fanno “musica da compromesso”! A loro è sempre interessato il “mainstream” fin dai primi passi che hanno mosso e lo dimostrano anche i video inerenti al loro passato. Non si stanno “sacrificando” per il successo. Li trovo oltretutto grandi showman, capaci di reggere una pressione mediatica soffocante a dir poco, sopra e sotto al palco! Damiano è un frontman pazzesco, intonatissimo, istrionico, capace di un inglese con una pronuncia credibile a livello internazionale. Hanno un pubblico esagerato e io trovo che tutto quello che di bello stia a loro accadendo sia una giusta conseguenza del dilagante effetto domino prodotto dalla loro vendibilità e trovo che all’Italia faccia solo bene! Mi convince anche la loro formula. Semplice, essenziale, un sound da trio pop rock con voce graffiante e look da star. Lunga vita a loro! E smettetela di cercare il “genio” di Frank Zappa, di Bonamassa o di Mozart in quello che propongono, per poi puntualmente lamentarvi, se non lo trovate. Esistono i vinili apposta per tutti i nostalgici. Vivete e lasciate vivere, che questi ragazzacci intanto si divertono un sacco!