Death SS – Intervista a Steve Sylvester
Il 04/01/2022, di Alessandro Ebuli.
‘Ten’, il decimo sigillo di casa Death SS, è stato pubblicato recentemente. Abbiamo incontrato Steve Sylvester per una esclusiva intervista nella quale l’artista pesarese ci svelato molte curiosità e raccontato la genesi dell’ultima fatica della band.
Ciao Steve, è un piacere trovarti per questa intervista per Metal Hammer. Come prima cosa ti chiedo come stai, che di questi tempi non è così scontato!
Ti ringrazio per la domanda. Fisicamente bene, moralmente come puoi immaginare meno, purtroppo risentiamo tutti di questi due anni di pressioni. Come sai però è appena uscito il nuovo disco e posso finalmente tirare un sospiro di sollievo anche se inevitabilmente si presenta tutta una serie di problematiche che conseguono l’uscita di un album come l’organizzazione e molte altre situazioni come la vita privata, gli impegni quotidiani, il lavoro, insomma c’è sempre molto da fare.
Sicuramente, riguarda tutti. Parliamo del nuovo sigillo di casa Death SS: ‘Ten’. Vuoi raccontarci la genesi dell’album, come è nata l’idea di iniziare a lavorare a questo nuovo disco anche alla luce di un anno nefasto come il 2020 e un altro sicuramente non facile come quello che si appresta a terminare.
In realtà io ho iniziato a lavorare al disco poco prima, nel senso che prima che iniziasse la pandemia avevo già iniziato a riordinare le idee, questo sempre per cercare di fare qualcosa di nuovo. Appena iniziata questa analisi e messo mano al materiale che avrebbe dovuto trasformarsi in canzoni e fatto parte del nuovo album, è successo quello che non ci saremmo mai aspettati. Sembrava tutto surreale, come la trama di un vecchio film horror/apocalittico degli anni ottanta, le strade deserte, non si poteva uscire, la bolla del virus, i telegiornali che ogni cinque minuti bombardavano con notizie pazzesche, visioni di carri funebri, pire, di tutto e di più, mi sembrava veramente di essere stato catapultato in un film horror e tutto questo non ha fatto altro che ulteriormente influenzarmi visto che io tratto horror da sempre, quindi mi sono trovato davvero nel vero orrore, quello che poi fa veramente paura. Ora come ora fa molto più paura un evento come la pandemia e anche tutte le restrizioni alle quali ci costringono indipendentemente dai colori politici, dall’essere o meno a favore del vaccino o del green pass, non voglio sbilanciarmi in questo senso anche perché ritengo che soprattutto in questi casi basterebbe del buon senso che come sappiamo, molto spesso non viene applicato. L’orrore vero è questo, quello che vedi tutti i giorni e con il quale ti confronti quotidianamente, ci sono persone che si sono anche suicidate per motivi economici. Come sai io stesso sono parte attiva nel settore della ristorazione quindi so bene di cosa sto parlando. Non sono certo i vampiri o i lupi mannari quelli che oggi fanno paura. Per tornare all’album la mia idea è stata quella di trasportare allegoricamente questa situazione in un concetto artistico, così da trarre una visione artistica partendo da qualunque spunto attinente alla realtà. Per esempio quale migliore riferimento se non quello dell’inferno di Dante per fare un parallelismo proprio perché sembrava di essere calati in un girone infernale e da lì ho trovato una serie di coincidenze. Intanto questo sarebbe stato il decimo disco di inediti che avrei composto come Death SS, è stata una cosa casuale, non avevo in mente di intitolare l’album ‘Ten’ fin dal principio ma è successo durante la fase operativa; il dieci è la somma dei primi quattro numeri e ‘Ten’ è un po’ la summa dei miei primi quattro dischi fino a ‘Do What Thou Wilt’ con influenze un po’ più metal rispetto ai dischi precedenti. Una serie di coincidenze, parallelismi, simbolismi che mi ha portato alla genesi, alla costruzione di questo ‘Dieci’. Poi il decimo canto dell’inferno si svolge nel sesto cerchio dove ci sono gli eretici che sono quelli che si ribellano alle autorità, per cui ho trovato tutta una serie di connessioni incredibilmente attuali in cui ho cercato di riversare questo all’interno delle dieci canzoni del disco: un orrore attuale allegoricamente riportato all’inferno in cui si trovano personaggi dei fumetti dell’horror come Zora e Suspiria oltre a tematiche a me care come il gothic e Crowley o ‘Temple of the rain’, insomma tutto questo ha rappresentato il mood che mi ha portato in questi due anni di tempo in cui effettivamente di tempo ne abbiamo avuto molto a disposizione, ed ha cambiato il modo di interfacciarsi con gli altri. Nel mio caso con gli altri membri della band che peraltro vivono tutti in città e regioni differenti per cui ho dovuto fare molto da solo affidandomi ad internet ed avvalendomi dell’aiuto di fidati collaboratori. È stato un approccio sicuramente diverso ma appagante e sono molto soddisfatto del risultato ottenuto. Alla fine l’album è quasi un concept, le dieci canzoni sono tutte collegate da un filo unico come faccio spesso e questo è una sorta di viaggio infernale come quello che ha accompagnato un po’ tutti noi.
Abbiamo parlato della parte attinente alle liriche quindi ora vorrei soffermarmi un momento sul sound del disco che a mio avviso riporta al classico suono Death SS al quale siamo affezionati, un trademark riconoscibilissimo ovviamente, ma al contempo ho avvertito un’aura magniloquente negli arrangiamenti più operistici – passami il termine – più marcati rispetto al passato. Immagino sia dovuto al massiccio utilizzo di tastiere molto in evidenza. È stata una scelta voluta oppure quei suoni sono emersi in modo naturale?
Direi che si tratta sicuramente della seconda ipotesi perché non parto mai con un preconcetto, non mi dico mai “ora faccio una canzone che deve suonare secondo questo stile”, ma vado avanti nella composizione secondo quello che ho in testa in quel preciso momento partendo da un concetto di base ed elaboro la canzone un po’ come fosse un film, quindi il soggetto, l’argomento di cui tratterà il brano, che ambientazione deve avere e la musica viene proprio cucita intorno alla canzone come un vestito. Devo dire che però probabilmente c’è un mood più “pop”, più “operistico”, nel senso buono dei termini. È sempre metal, ovviamente, ma l’orientamento che ha avuto è generalmente più “arioso”. Sai io non mi pongo mai dei limiti, non mi chiedo mai se ciò che sto componendo piacerò o meno ai metallari, ciò che compongo deve piacere principalmente a me. Ti faccio un esempio: se in un brano decido di inserire delle parti più bluesy non mi preoccupo di aggiungere elementi che induriscano il suono per compiacere qualcuno, non mi sono mai posto questo tipo di problematica. Il pregio di vivere da circa quarantacinque anni nell’underground è quello di non avere limiti di nessun tipo né pressioni da parte di case discografiche. Faccio al 100% quello che voglio. Quindi per tornare alla tua domanda sì, tutto suona più arioso, più “magniloquente” come hai detto tu, perché ho pensato che le canzoni lo richiedessero per essere meglio espresse. È come in un film, quando vuoi suggerire determinate emozioni allora ricorri a determinati tipi di luci, di coreografie o di sceneggiature piuttosto che ad altre, perché secondo la visione del regista rendono meglio.
La tua carriera del resto parla chiaro, la tua discografia è la prova evidente della tua limpida ricercatezza e chi ha avuto modo di leggere le tue biografie pubblicate lo scorso anno da Tsunami edizioni non potrà che vedere confermate nei dettagli tutte le tue affermazioni.
Come ti ho detto io lavoro essenzialmente per me stesso, poi se piace non posso che essere contento altrimenti pazienza, non cambia la mia vita se accade il contrario.
‘Ten’ esce a tre anni di distanza da ‘Rock’N Roll Armageddon’. In questo periodo hai avvertito pressioni da parte dei tuoi fan per un nuovo album, considerando anche il fatto che lo scorso anno ci hai deliziati con un’accoppiata autobiografica d’eccellenza e negli ultimi anni hai rilasciato una serie di uscite molto valide tra le quali, appunto, ‘Rock’N Roll Armageddon’ e la raccolta di outtakes ‘Horror Music – vol. 2 – Singles, Outtakes & Rare Tracks 1997-2007’.
Se guardo indietro agli anni Settanta penso a grandi gruppi come per esempio gli Uriah Heep che pubblicavano un album anche ogni sei mesi, parliamo di due dischi l’anno ed erano dei capolavori. Oggi non c’è più questa tendenza, non devi per forza timbrare un cartellino per uscire con qualcosa di nuovo, io ho sempre detto e lo sostengo fermamente che farò un disco soltanto quando avrò qualcosa di degno da dire; se non ho raccolto sufficiente materiale che io in prima persona ritengo valido non farò uscire niente perché nessuno mi rincorre, nessuno mi impone di fare qualcosa. Per quanto riguarda invece il mercato del Fan Club che seguo con attenzione mi sento molto vicino alle richieste dei fan e cerco di accontentare tutti in quanto sono io stesso un Fan e a casa ho edizioni particolari di dischi degli Sweet o degli Slade, ad esempio, da vero nerd maniaco, per cui cerco di assecondare gli umori dei fan in questo senso e tengo a curare particolarmente la qualità delle uscite, spesso limitate. Tieni conto che non si parla di grosse fette di mercato giacché questo ha virato considerevolmente verso il digitale, e tutto ciò che è fisico – che si tratti di singoli 7 pollici, degli LP, delle musicassette che oggi sono tornate di moda o Dvd o qualunque altra uscita mi riguardi – io tengo che periodicamente siano disponibili cose di questo tipo, destinate ai collezionisti direi, che siano curate nei minimi dettagli. Devo dire che questa è stata una mossa vincente perché il pubblico interessato è contento della qualità di queste pubblicazioni e ciò mi rende felice per il controllo che pongo su questo genere di operazioni; da parte mia è importante non deludere le aspettative visto che mi ritengo molto critico in questo senso.
‘Ten’ è il terzo album consecutivo con la stessa line-up, se escludiamo il batterista. Questo mi fa pensare ad un combo oramai consolidato non soltanto per quanto riguarda il profilo artistico/musicale ma anche, se non soprattutto, su quello umano e individuale. Ti chiedo quindi se ‘Ten’ sia la risultante naturale di una chimica tra le parti coinvolte nel progetto.
Devo dire che in questo disco c’è stata meno interazione a livello compositivo per i motivi che ormai sappiamo – pandemia, lockdown – e abbiamo lavorato a distanza, anche se il grosso del lavoro l’ho fatto con Freddy Delirio che è il mio chitarrista, co-produttore dell’album e possiede uno studio di registrazione, con il quale ci siamo sentiti praticamente tutti i giorni per tutto l’anno. Sai, siamo entrambi due maniaci del lavoro, dei veri perfezionisti, per cui ci siamo impegnati al massimo per dare al disco il sound che volevamo.
Vorrei ora fare un piccolo passo indietro al funesto 2020 per ricollegarmi alle tue autobiografie uscite per Tsunami edizioni: ‘Il Negromante Del Rock’ e ‘La Storia Dei Death SS’ (di cui trovate la recensione qui). Hai parlato di un’entità sovrannaturale che ha seguito te e la band fin dagli esordi. Non ti nego che quanto hai raccontato nel secondo volume non mi ha lasciato affatto indifferente, soprattutto per quanto letto nel capitolo 7 “Presenze Impalpabili” che raccontano dell’esperienza vissuta nello studio di registrazione nello Yorkshire, in Inghilterra, e del ricorrere del numero 444. Ti chiedo inevitabilmente se l’Entità abbia fatto sentire la propria presenza anche in ‘Ten’, perché immagino che qualche segnale sia arrivato, e di raccontarci qualcosa di questa presenza.
Io ho individuato questa entità come se i Daeth SS non fossero soltanto una band, una sensazione che si è rafforzata negli anni, come qualcosa che va avanti anche da sola indipendentemente da chi ne faccia parte; infatti tutti questi cambi di line-up che io ho cercato di spiegare nei libri non sono mai una cosa voluta da me come dittatore, niente del genere. Penso piuttosto che Death SS sia un progetto che deve essere alimentato da una determinata energia, e quindi le persone e i musicisti che ne fanno parte e che incarnano il personaggio e il ruolo della Mummia, del Lupo Mannaro, del Fantasma, ecc, devono fornire la propria energia al personaggio, di conseguenza all’entità. E di questo ho notato, non per svilire assolutamente le persone che hanno fatto parte della band perché sono stati sempre dei grandissimi musicisti, ma la band va avanti a prescindere da chi incarni il personaggio in questione, per cui non c’è più neanche la necessità di avere una line-up fissa. Io ho pensato che potrebbe andare avanti addirittura anche senza di me, io sono forse il portavoce dell’entità intendo come unico elemento originario rimasto da quarantacinque anni a questa parte. Però non escludo il fatto che i Death SS potrebbero esistere anche senza di me, secondo me a volte diventa necessario questo cambiamento e rinnovo per fornire una nuova energia quando l’energia vitale, l’apporto e l’entusiasmo di determinate persone nel progetto viene meno per i più svariati motivi – la vita privata ha un suo corso – soprattutto quando i livelli sono sicuramente professionali ma non ti permettono un riscontro economico sufficiente per vivere di musica. In questi termini è chiaro che possano esserci spesso degli avvicendamenti, potrebbero esserci presto, io sono sempre pronto ad affrontare questo tipo di problematica. Questo per dire che l’entità comunque andrà avanti da sola tutte le volte che avrà voglia di esprimersi. Io stesso sono stato tentato di abbandonare il progetto e dedicarmi ad altre cose, però mi è sempre successo qualcosa nella vita che mi ha fatto tornare sui miei passi per resuscitare l’entità, perché era come se non potessi neanche volendo staccarmene. Quello del numero 444 è stato un periodo della mia vita ben preciso e talvolta inquietante, ossessiva, io stesso non l’ho mai capito bene. Studiando la numerologia e i numeri angelici il 444 è un avvertimento da parte di un’entità paterna o di un defunto, di qualcuno che ti protegge e comunque non va intesa in modo negativo. Ora il numero verso il quale sono più ossessionato è il dieci, qualunque numero mi capiti faccio la somma ed esce sempre il dieci. C’è sempre un suo perché, capirne veramente il significato è difficile, io ho parlato con molti esperti in materia e le risposte sono contrastanti, possono essere tutto e il contrario di tutto, dipende probabilmente anche dall’energia con cui tu carichi certe esperienze, se tu hai un’energia positiva di base, l’esperienza sarà comunque positiva. Credo che l’importante sia essere persone positive e saper cogliere positivamente i segnali che offre la vita.
Personalmente devo però dirti con molta onestà di fare una certa fatica ad immaginare i Death SS senza la tua presenza e credo di poter parlare a nome di tutti i tuoi affezionati fans.
Perché ne sono il portavoce e perché vivo sulla mia pelle anche i capricci dell’entità, a volte assecondandola.
Nelle ultime tracce dell’album e mi riferisco a ‘Heretics’, ‘The World Is Doomed’ e ‘Lucifer’ ho sentito una componente elettronica molto più marcata rispetto alle altre tracce. Tra queste è proprio ‘Lucifer’ ad avermi ricordato per ritmica ed approccio un certo Industrial Metal, potrei fare un nome sacro come gli Skinny Puppy che dall’elettronica hanno virato sempre più verso il metal, o per avvicinarci ai nostri tempi a Rob Zombie, peraltro autore di un recente album molto valido, per darti un’idea di ciò che intendo.
Guarda: intanto ti dico che odio quando mi etichettano, soprattutto all’estero, ma questo perché odio le etichette in generale. Industrial metal? Industrial per me è tutta un’altra cosa, gli Einsturzende Neubeuten per esempio che erano ben lontani dal metal. Dire Industrial metal lascia un po’ il tempo che trova. Nel caso dei Death SS posso dire che di certo abbiamo uno stile che attinge anche dalla musica elettronica; non conosco bene gli Skinny Puppy infatti non saprei citarti i loro brani anche se sicuramente li avrò ascoltati, al contrario conosco benissimo Rob Zombie che ammiro tra l’altro anche come persona, come me è vegano e animalista, e per quanto riguarda la sua musica trovo alcuni suoi brani egregi, altri ripetitivi ma qui si tratta semplicemente di gusto personale. Attingo sicuramente anche da questo tipo di esperienze sonore, su tutti Trent Reznor è sicuramente un genio, ha composto cose eccelse con i suoi Nine Inch Nails specialmente a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, ma ecco da lì a definire i Death SS che fanno Industrial mi sembra eccessivo, noi siamo più di matrice rock’n roll, le mie radici personali non sono un mistero: io vengo addirittura dal Glam degli Sweet e degli Slade, Marc Bolan e i suoi T.Rex, ecc, per cui sicuramente c’è una contaminazione a 360 gradi. Se ci sta bene l’effetto elettronico, la tastiera con un certo sound che può richiamare vagamente qualcosa dell’industrial ben venga ma non è che noi ci definiamo i Rammstein italiani e facciamo industrial, assolutamente no.
È evidente che alla luce della mole di musica alla quale l’offerta attuale ci pone, nella composizione della propria musica influiscano fattori imprescindibili come i gusti e gli ascolti personali, ed è inevitabile che nella composizione di nuovi brani si incastrino influenza e ingredienti facilmente riscontrabili in altri ambiti musicali.
Se dovessi basare tutto soltanto su quello che ascolto mi ritroverei a scrivere musica anni Settanta legata anche al prog e non credo che i Death SS suonino rock settantiano di quella estrazione, diciamo quindi che gli ascolti sono una cosa, un’altra è ciò che vuoi esprimere in un determinato momento mentre componi della nuova musica. Quando feci ‘Humanomalies’ contestatissimo all’epoca proprio perché troppo industrial in quel periodo veniva fuori continuamente quella parola, ma in realtà è stato per il fatto che io all’epoca volevo fare un disco alienante, molto moderno, basato molto sulla corruzione della società odierna, quindi avevo bisogno di suoni di questo tipo. Quel concetto che volevo esprimere della deformità, della mostruosità della nostra umanità attuale non potevo farla con un suono per esempio alla Jethro Tull, per intenderci.
Il secondo singolo ‘Temple Of The Rain’ con il quale, insieme a ‘Zora’, avete deciso di utilizzare prima dell’uscita di ‘Ten’ è un brano che a mio avviso rappresenta appieno quel senso di magniloquenza di cui abbiamo parlato e penso che il video ne rappresenti l’ideale consecuzione. Hai scelto questo brano piuttosto di un altro perché per te rappresenta qualcosa in particolare che hai voluto comunicare al pubblico?
Guarda li amo tutti perché sono dieci momenti a sé stanti ognuno dei quali ha rappresentato una cosa importante di quello che è stato il mio percorso artistico di questo ultimo periodo, degli ultimi due anni. Sono dieci parti di me e per questo li amo tutti allo stesso modo. Nel caso di ‘The Temple Of The Rain’ riprende un po’ il mio filone gotico, non è certo una novità che io ami certe sonorità alla Sisters Of Mercy, Bauhaus, anche primi Depeche Mode, e le metto specialmente nei brani che compongo insieme a Gigi Masini che chiamo appositamente per ritrovare determinate sonorità dal feeling goth, e ‘The Temple Of The Rain’ che vede la presenza di elementi di magia sessuale, crowleiani ed elemento maschile si basa su un certo simbolismo che secondo me si sposa perfettamente con questo tipo di sonorità. Quando abbiamo fatto il video ho cercato di mettere in immagine anche queste sensazioni che volevo tirare fuori dalle liriche e con Andrea Falaschi che ha curato la regia del video ci siamo trovati perfettamente in accordo anche usando simbologie e animali per creare questo concetto in un tutt’uno artistico di rinnovamento dalla siccità alla pioggia che viene a fecondare la terra e quindi di rinnovo di ciclo della vita, che è un po’ quello che auspico dopo questo periodo chiamiamolo di siccità per ritornare di nuovo al raccolto, alla vita, che è questo simbolismo. Nonostante sia un brano dark è pur sempre un brano dal mood positivo, di speranza, di rinnovamento. Un altro brano al quale sono molto legato è quello uscito come primo singolo, cioè ‘Zora’, che è collegato alla mia passione per il collezionismo del fumetto horror degli anni Settanta e Zora la vampira è sempre stato uno dei miei personaggi preferiti. Per me è stata una grande soddisfazione sia lavorare con Emanuele Taglietti che era il disegnatore delle copertine principali del fumetto, sia con Luca Laca Montagliani che ha fatto proprio questa operazione di resurrezione dei vecchi personaggi creando nuove avventure. Sono diventato anche un personaggio del cast del fumetto di Zora, un grande onore per me diventare parte del fumetto che amavo da ragazzino. Da lì è nata la canzone e il video sexy che riprendeva un po’ le tematiche del fumetto in chiave molto ironica, c’è molta ironia in questo video, e ci siamo divertiti veramente molto a realizzarlo.
Hai vissuto molte esperienze in quasi quarantacinque anni di carriera. Mi riferisco ai primi difficili anni di vita della band, la separazione da Paul Chain e la ripartenza con “…In Death Of Steve Sylvester”, le critiche per le vostre performance live fino ad arrivare a vedersi cancellate numerose serate, le accuse di apologia di nazismo causate dell’incomprensione nei confronti della doppia esse del vostro monicker, le inevitabili problematiche dovute alle incomprensioni in studio con i numerosi avvicendamenti in line-up. Alla luce di tutto, ripensando a quando in giovanissima età sei partito da Pesaro, avresti mai immaginato di arrivare a scrivere una pagina tanto importante per la storia della musica metal italica e non solo?
Sinceramente no, anche perché tutte le volte che faccio qualcosa non la faccio mai pianificando, è sempre una cosa spontanea, nasce proprio in base ad un’esigenza del momento. Quando faccio una cosa penso anche che sia l’ultima che sto facendo, non è detto che debba farne poi un’altra, poi magari dopo un po’ di tempo, e come vedi noi non facciamo mai un disco dietro l’altro, nasce un’altra necessità artistica che devo esprimere in qualche modo e quindi nasce un nuovo progetto che si trasforma come oggi nel nuovo disco ecc. Quindi non avrei mai pensato di arrivare a questo, anzi da ragazzino quando ho cominciato ero un adolescente ancora minorenne che pensava che una persona a quarant’anni fosse già vecchia e avesse già detto tutto nella propria vita. E invece mi ritrovo che ne ho un po’ di più e sono ancora qui che mi sento come quando ero ragazzino, quel ribelle di Pesaro che negli anni Settanta sognava e a guardare indietro di acqua sotto i ponti ne è davvero passata molta. Finché c’è questa energia e la voglia, la possibilità di esprimere qualcosa di utile io ci sarò. Chiaramente deve essere qualcosa che io per primo valuto interessante da fare, mai e poi mai mi metterei a fare delle cose patetiche che non abbiano alcun senso artistico.
Tornando al nuovo arrivato ‘Ten’ è in programma un tour di supporto all’album?
Tour veri e propri non ne faccio più, coerentemente dopo il Settimo Sigillo non abbiamo più fatto tour ma soltanto date sparse anche per eventi importanti, unici e niente altro ed è una cosa che continuerò a fare anche adesso. Per il 2022 abbiamo previsto dei concerti importanti ma sto sempre aspettando che si sblocchi la situazione. Ho fatto delle apparizioni live con i miei amici dei Deathless Legacy (band nata come tributo ai Death SS) con ingresso contingentato, posti assegnati e numerati, pubblico rigorosamente seduto e munito di mascherina e ti assicuro che è assolutamente frustrante per un artista come me, abituato all’interazione con il proprio pubblico, doversi esprimere di fronte a persone sedute e immobili. Per cui aspetto che si sblocchi definitivamente la situazione e poi abbiamo in ballo situazioni importanti come il Wacken Open Air in Germania, il Castle Rock a Verona e un altro festival metal in Danimarca. Poche cose ma importanti.
Bene Steve, siamo arrivati alla conclusione di questa nostra chiacchierata. Grazie per il tempo che hai concesso a Metal Hammer, è stato davvero un grande piacere parlare con te. A presto!
Grazie a te e alla redazione di Metal Hammer. A presto.