Steve Lynch – Do Whatever You Like
Il 05/07/2021, di Andrea Lami.
Dopo aver approfittato della disponibilità e gentilezza di Steve Lynch per la nostra chart nella quale ci indicò i dieci titoli che più l’hanno influenzato, abbiamo contattato ancora una volta Steve per fare quattro chiacchiere, sul presente, sul passato e sul futuro, con un occhio particolare a un comune “amico” che ci ha abbandonato non troppo tempo fa.
Ciao Steve, prima di iniziare l’intervista vera e propria, ricordiamo ai nostri lettori chi sei e cosa hai fatto nel mondo della musica. All’inizio suonavi il basso. Perché sei passato alla chitarra?
“Sono passato dal basso alla chitarra il 18 settembre 1970, il giorno in cui Jimi Hendrix morì. Ero un suo grande fan ed ho sempre voluto suonare la chitarra, ma c’era un mio amico che viveva nella mia strada che la suonava già, così ho accettato di suonare il basso, in modo da mettere insieme una band. Era il 1967. Non ero contento di suonare il basso così quando Jimi è morto sono passato immediatamente alla chitarra”.
Sei conosciuto sia per essere stato il chitarrista degli Autograph nonché per la tecnica delle otto dita “hammer-on”. Puoi dirci come sei entrato in Autograph?
“I membri degli Autograph avevano suonato insieme in diverse band nella scena musicale di Los Angeles, ma non avevamo mai suonato insieme come band fino al 1983 visto che eravamo tutti amici, ci riunivamo nei fine settimana per divertirci e fare solo jam. Un fine settimana il produttore Andy Johns è venuto ad ascoltarci suonare. Gli abbiamo suonato un po’ del nostro materiale originale e gli è piaciuto moltissimo! Ha chiesto se volevamo registrare una demo in uno studio di Hollywood e ha detto che non sarebbe costato nulla perché lo studio gli doveva del tempo. Abbiamo accettato l’offerta e siamo andati nel successivo fine settimana a registrare un demo di 5 canzoni. Il batterista Keni era amico di David Lee Roth, il cantante dei Van Halen, e facevano jogging insieme ogni mattina. David voleva ascoltare il nuovo demo, Keni ha detto che avevamo appena registrato e quando l’ha suonato per David gli è piaciuto moltissimo! Ha chiesto se avremmo voluto fare un tour con i Van Halen per il loro prossimo tour del 1984. Abbiamo detto che ci sarebbe piaciuto, anche se all’epoca suonavamo tutti in altre band. Così nel gennaio del 1984 abbiamo inventato il nome Autograph e siamo andati ‘on the road’. La cosa successiva che accadde fu inaspettata, stavamo ricevendo offerte di contratti discografici da tutte le principali case discografiche negli Stati Uniti! Abbiamo deciso per la RCA Records e il resto è storia”.
Hai qualche aneddoto divertente sulla tua carriera con Autograph?
“C’è stato un incidente accaduto dopo uno spettacolo che abbiamo suonato durante il tour con gli Aerosmith. Questa strana ragazza è salita sul nostro tour bus, ma nessuno sapeva chi fosse. Tutti pensavano che qualcuno l’avesse invitata a salire sull’autobus, ma nessuno sapeva chi di noi lo avesse fatto. Aveva un pessimo odore e stava rendendo puzzolente tutto il tourbus, quindi l’autista ha chiesto che cosa fosse quell’orribile odore e tutti l’abbiamo indicata. Fermò l’autobus sul ciglio dell’autostrada e le disse di scendere, anche se era in corso una tempesta di neve. È scesa dall’autobus e mentre ci stavamo allontanando ci ha spinto fuori e ha urlato “Fuck you Aerosmith!” … pensava di essere sul tour bus degli Aerosmith! Ne abbiamo parlato agli Aerosmith il giorno successivo e anche loro hanno riso della cosa!”
Perché non suoni più negli Autograph?
“Nell’agosto del 2019 ho deciso di lasciare Autograph, anche se era una band che avevo fondato con i membri originali negli anni Ottanta. La nuova versione di Autograph aveva solo io e Randy il bassista, avevamo un nuovo cantante e batterista senza tastiere. Abbiamo scritto e registrato un nuovo album nel 2017 che è stato molto divertente ma volevo fare qualcosa di completamente diverso da quello che avev fatto prima. Nel 1995, sei anni dopo lo scioglimento dell’originale Autograph, registrai un album solista chiamato ‘Network 23’. Amavo la libertà che avevo nello scrivere, registrare, produrre e suonare la maggior parte degli strumenti del progetto. Volevo tornare a fare un altro album solista in cui avevo di nuovo quel tipo di libertà. Voglio fare un concept album come ‘Dark Side Of The Moon’ dei Pink Floyd. Quindi ho lasciato la band e da allora ho scritto nuovo materiale per il nuovo album”.
Come è nata la tua tecnica “hammer-on” a 8 dita?
“Ho iniziato a sperimentare con il metodo hammer-on per suonare la chitarra all’inizio degli anni Settanta dopo aver visto il chitarrista Harvey Mandel usarlo. Ho continuato a progredire per i successivi anni ed ho sviluppato il mio stile. Ma nel marzo del 1978, quando vidi Emmet Chapman, l’inventore del Chapman Stick, fare una clinic presso il Guitar Institute of Technology, (ora chiamato Musicians Institute, o MI), fu il momento in cui fui veramente coinvolto nella tecnica. Durante la clinic ha mostrato tutte le frasi a due mani che potresti creare sullo Stick. Ma volevo farlo con la chitarra, non volevo imparare un altro strumento per creare quei suoni. Quindi ho preso tutta la teoria che stavo imparando al Guitar Institute e l’ho scritta in modo da poter suonare tutte le scale, gli arpeggi, le triadi e gli intervalli, oltre a usare vibrato, bending, slide, hammer-on, pull-off, ecc. usando entrambe le mani sul manico. Tutte queste annotazioni/informazioni sono finite nel il mio primo libro ‘The Right Touch’, pubblicato nel 1979. In seguito ho pubblicato altri due libri ‘The Right Touch Books 2’ e ‘The Right Touch Books 3’ pochi anni dopo”.
Raccontaci qualcosa di ‘Network 23’, la tua band dopo gli Autograph…
“Ho parlato brevemente di quel ‘Network 23’ prima, ma per esporlo più profondamente, è stato un viaggio di esplorazione musicale di sé. Non avevo mai realizzato un progetto in cui avevo il controllo completo della scrittura, registrazione, produzione e riproduzione della maggior parte degli strumenti. Quindi questa non è stata solo una sfida per me, ma è stato anche un ‘laboratorio d’amore’ nonché un esperimento per vedere cosa potevo creare. In questo album ho registrato tutto ciò che sentivo di voler esprimere, e ho amato quella libertà di espressione senza che una casa discografica cercasse di interferire con il processo. È stato un peccato che la casa discografica con cui avevo firmato sia fallita, questo è il motivo per cui mi ci è voluto così tanto tempo per rilasciarlo dopo che era stato completato … ho dovuto pagare di tasca mia (ed è costato un sacco di soldi) per finirlo. Ho intenzione di rimasterizzare e ripubblicare ‘Network 23’ quest’anno così come il mio nuovo progetto.
Vista la recente scomparsa di Eddie Van Halen, puoi dirci qualcosa su Eddie che non tutti conoscono?
“Non ho comunicato molto con Eddie durante il tour del 1984, dato che entrambi eravamo sempre molto impegnati. Una cosa di cui mi sono reso conto è che gli piaceva fare festa… più di me! Una volta che ci siamo conosciuti un po’ siamo andati d’accordo, penso che mi abbia rispettato di più quando ha scoperto che ero un po’ più grande di lui, e che la mia tecnica a due mani non era in alcun modo ispirata da lui, che io ne avevo già scritto un libro prima di aver mai sentito parlare di lui. Questo lo fece sentire un po’ più a suo agio con me”.
Quanto sei stato influenzato da Eddie?
“Come accennato nella risposta precedente, non sono stato affatto influenzato da Eddie, anche se lo considero un grande chitarrista. L’ultimo chitarrista da cui sono stato influenzato è stato Allan Holdsworth quando frequentavo il GIT nel 1978. Dopo di lui, ho smesso completamente di ascoltare gli altri chitarristi, volevo solo lavorare allo sviluppo del mio suono”.
È vero che in tour con i Van Halen ti era proibito suonare con la tua tecnica a 8 dita?
“Mi è stato chiesto se fossi Steve Lynch, il ragazzo che ha scritto il libro sul metodo dell’’hammer-on’ all’inizio del tour. Ho risposto di sì, e mi hanno detto che era la cosa di Eddie e che non mi era permesso farlo. Ho chiesto scherzosamente se potevo usare un plettro, o anche quella era la cosa di Eddie? Il fatto di non poter suonare una tecnica che avevo sviluppato da solo non mi piaceva affatto e non ero felice. Ma durante il tour ne ho parlato con Eddie e lui sembrava non sapere nulla del fatto che mi mettessero delle restrizioni e poi ha detto ‘Fai quello che vuoi’. Sapeva chi ero quando è iniziato il tour, quindi ho trovato strano che mi avrebbe messo dei limiti. Credo che dietro tutto ci fosse il management, non Eddie”.
Ho sempre amato gli ‘Hammerhead’ tanto quanto gli ‘Eruption’… forse perché sono arrivati da me più o meno nello stesso periodo (1987). Quali sono i tuoi ricordi di ‘Hammerhead’?
“Ricordo di aver scritto ‘Hammerhead’ mentre stavo sviluppando modi più tecnici di suonare. Ho continuato a mettere insieme piccoli pezzi e l’ho visto crescere fino a diventare quello che è diventato. Stavo sperimentando con il 4° e il 5° intervallo durante la creazione, cosa che puoi sentire mentre ascolti. Quando l’ho registrato sul secondo album ho deciso di triplicarlo, il che significa che ho registrato la stessa identica cosa tre volte. Mi ci sono volute dieci ore intere per completarlo, ma alla fine ci sono riuscito. Puoi sentire che le altezze sono leggermente sfasate con ogni traccia, l’ho fatto apposta rallentando il registratore al 99% per la prima traccia, al 100% per la seconda traccia e al 101% per la terza traccia. Questo gli conferisce un effetto di tipo phasing quando combini le tre tracce, che puoi ascoltare durante la registrazione. Ho registrato tutti i miei assoli raddoppiati e utilizzando questo metodo per cambiare il tono accelerando e rallentando la velocità del nastro stesso”.
Chi sono i chitarristi del passato che ammiri?
“I chitarristi che ammiravo e studiavo erano Jimi Hendrix, Jeff Beck, Jimmy Page, David Gilmore, Al DiMeola e Allan Holdsworth. Quelle sono le uniche band/chitarristi su cui ho studiato consumando letteralmente i dischi, cercando di capire cosa stavano suonando”.
Invece, negli ultimi anni, ci sono chitarristi che ammiri?
“I chitarristi che ammiro oggi sono Steve Vai, Joe Satriani, John McLaughlin (anche se esiste dagli anni Sessanta) e Guthrie Govan. Anche se non mi hanno ispirato, mi piacciono molto le loro sensazioni, creatività e capacità tecniche. Devo ammettere che non ascolto molti chitarristi, quindi sono un po’ fuori moda. Ho abbastanza chitarra nella mia testa. Se ascolto un altro chitarrista, la mia testa potrebbe esplodere!”
Come è nata l’idea di fare un caffè con il logo Autograph e Ellefson?
“Siamo stati contattati dal nostro ultimo dirigente della casa discografica Thom Hazaert per creare il nostro marchio attraverso la compagnia di Ellefson. Abbiamo pensato che fosse una grande idea così abbiamo inventato la nostra miscela … e l’abbiamo chiamata ‘Get Off Your Ass’ … proprio come il titolo di un album degli Autograph”.
Quali sono i tuoi hobby?
“I miei hobby includono: fare escursioni nei boschi, viaggiare, leggere, guardare documentari, filosofia, spiritualità e suonare la chitarra … ovviamente!”
Guardando l’andamento del music business negli ultimi anni e avendo vissuto quello degli ultimi quarant’anni, cosa pensi che succederà nei prossimi?
“Penso che la tendenza musicale per il rock diventerà un po’ più sperimentale, come era negli anni Settanta… forse con un tocco un po’ industrial. Credo anche che la musica si espanderà in molti sottogeneri in cui si combinano stili diversi. Io stesso, ho intenzione di scrivere quello che sento … e ho la sensazione che anche questo diventerà popolare. Dico questo perché gran parte della musica ha perso l’emozione che aveva una volta. Questo deve tornare, perché condividere le tue emozioni personali attraverso la musica è la ragione principale del motivo per il quale ci si esprime con quest’arte”.
Come hai vissuto l’arrivo di Internet nella vita di tutti i giorni e nel tuo lavoro?
“Ho sperimentato la musica per la prima volta su Internet ascoltando YouTube. Ho pensato che fosse fantastico poter scegliere qualsiasi canzone per ascoltarla… questo mi ha davvero aperto un mondo completamente nuovo. Mi sono ritrovato ad ascoltare molta più musica dopo il concepimento di Internet… con una varietà illimitata. Trovo che avere la capacità di condividere le tue idee musicali attraverso il cyberspazio sia anche un modo incredibile per esternalizzare. Le nuove band non avevano modo di condividere la loro musica su una piattaforma mondiale fino all’avvento di Internet”.
Conosci qualche gruppo di giovani hair metal / sleazy rock che potresti consigliare di ascoltare ai tuoi fan / lettori?
“Non conosco nessuna band del genere degli anni Ottanta, a parte quelle che esistevano allora. Di solito ascolto musica classica, old jazz, progressive, alternativa e sperimentale, quindi non posso davvero essere di alcun aiuto per quanto riguarda le raccomandazioni dello stile di quell’epoca”.
Ci sono artisti con cui vorresti suonare o avere una band ufficiale? In caso affermativo, quali?
“Non ho davvero nessun artista conosciuto con cui vorrei suonare. Gli unici che sto considerando sono relativamente sconosciuti. Credo che ci siano così tanti artisti sconosciuti di incredibile talento che meritano un riconoscimento, quindi preferirei far luce su di loro. Il modo in cui sto procedendo con il mio nuovo progetto è con musicisti relativamente sconosciuti che hanno un suono emotivo e originale da condividere”.
Cosa fai attualmente oltre alle lezioni al GIT?
“Non insegno al Musicians Institute, in realtà ho insegnato lì solo un paio di clinic. Insegno due giorni alla settimana in una scuola di musica vicino a casa mia dove vivo in Florida. E attualmente sto finendo la mia autobiografia intitolata ‘Confessions Of A Rock Guitarist’, che uscirà a breve. Sto anche scrivendo per il mio nuovo progetto ‘Blue Neptune’, in cui pubblicherò le canzoni a partire dalla pubblicazione del mio libro. ‘Blue Neptune’ incarnerà ciò che sono come chitarrista, scrittore, compositore, produttore e musicista … e non vedo l’ora di condividerlo con tutti voi”.