Drakkar – Il dio del Caos
Il 03/05/2021, di Roberto Sky Latini.
L’intervista online ha messo in campo tre dei cinque componenti la band, come tre moschettieri in posa che incrociano le lame metalliche per presentarsi al pubblico. Nonostante la loro musica irruenta, c’è molta pacatezza e rilassamento nello spiegare disco e gruppo. Se il capitano Beretta appare sobrio e affabile, a differenza delle immagini che in giro lo ritraggono in costume di scena, se il bassista Gritti appare altrettanto pacato e gentile, il più guascone sembra il cantante Dell’Orto, ma in fondo è il frontman, deve esserlo, anche se alla fine anch’egli si mostra cordialissimo. E così la chiacchierata scorre tranquilla ma piena di concetti.
Ormai il monicker Drakkar ha una evidente visibilità. Dopo ventitré anni dall’esordio, qual è la sensazione di esserci ancora?
Beretta: Io sono l’unico rimasto della formazione originale, però Davide è ormai con me dal 2000, quindi una vita ormai, e anche Simone, pur essendo entrato nel gruppo solo di recente, fa parte della scena musicale metal e affini più o meno anche lui dallo stesso tempo. Perciò siamo tutti dei vecchi ormai [ride, ndr.], ma se siamo ancora qui è comunque perché siamo appassionati. Per noi la musica, soprattutto fare musica propria, è passione, è passione comporre, poi suonare anche dal vivo (finché si poteva). Speriamo di poterlo fare di nuovo presto. Non è tanto una questione razionale, di fare tanti ragionamenti, ma semplicemente è proprio una questione di passione che negli anni, non solo non se ne va, ma anzi è andata poi aumentando. Stiamo facendo molte più cose adesso per la band rispetto a quelle che facevamo dieci o quindici anni fa.
Dell’Orto: Più invecchi più hai voglia di evadere dalla routine lavorativa e di vita. Più ti vien voglia di suonare, più questa passione si fa forte. Poi, a forza di dai e dai, l’affinità è totale, quindi è proprio divertente far musica assieme. Non vedo quindi perché smettere anche se sappiamo tutti che il mercato musicale sale e scende. Chi se ne frega, tendenzialmente lo facciamo per noi e ci divertiamo un sacco nel farlo. ecco.
Beretta: Poi ho notato nel corso degli anni che molti gruppi che ho visto esordire dopo di noi, alcuni dei quali anche molto validi e promettenti, si sono sciolti nel giro di poco tempo. Questa è sempre una cosa che mi fa un po’ riflettere, nel senso che anche noi abbiamo avuto, nel corso dei ventisei anni da quando è nata la band, quei momenti in cui ci siamo detti “quasi quasi sarebbe il caso di piantarla qui”. Però alla fine prevale sempre la voglia di portare avanti il progetto. E alla fine i risultati arrivano. Se noi avessimo messo insieme altri tre o quattro gruppi in questi anni invece di portare avanti sempre il nome Drakkar, ogni volta saremmo ripartiti da zero, invece così abbiamo una storia alle spalle che bene o male la gente riconosce e apprezza. Molti ottimi gruppi si sono sciolti alle prime difficoltà ed è un peccato perché è solo portando le proprie idee negli anni che si arriva a ottenere un determinato tipo di soddisfazioni.
Arriva il sesto full-lenght della vostra carriera, ma la strada l’avete disseminata di ben 3 EP. Come mai questa discontinuità nella produzione musicale?
Beretta: In realtà questa cosa è da imputare soltanto al periodo tra il 2002 ed il 2012. Durante quel periodo lì la band non si è mai sciolta ma ha fatto soltanto un EP, fino a quando nel 2012 è uscito ‘When Lightning Strikes’. Il motivo è molto semplice e banale, ed è che dopo il 2002, nel gruppo avevamo raggiunto una età per cui si usciva dal mondo della scuola per entrare nel mondo del lavoro, e quindi abbiamo affrontato tutti una serie di situazioni personali che ci hanno impedito di concentrarci fino in fondo sull’attività del gruppo, il quale però andava avanti e continuava a fare concerti. Dal 2012 abbiamo ripreso abbastanza bene e abbiamo fatto altri tre album e due EP, tanti concerti, anche più di prima. Siamo contenti, poi la vita è quello che è: ogni tanto ti mette davanti a delle situazioni per cui devi tenere duro.
Dall’Orto: Aggiungerei anche che dopo ‘Razorblade God’, Christian Fiorani, il nostro vecchio batterista, era andato a vivere altrove. E all’inizio è stato molto difficile trovare una formazione compatta quanto quella precedente quindi c’è stato un po’ di rallentamento, poi pian pianino le cose si sono sistemate fino a oggi, dove siamo belli attivi.
Nella vostra produzione musicale quanto valgono questi EP? Quale peso dobbiamo dargli rispetto agli album?
Beretta: Io non li ho mai considerati una produzione di serie B; per me hanno lo stesso valore degli album. Sono sempre brani in cui abbiamo creduto. In realtà è un formato che a me piace. Siccome ormai tutte le band hanno la necessità di uscire in maniera molto regolare per sopravvivere, il formato sta tornando in auge, e a me questa cosa fa piacere. Non vedo il valore inferiore di pubblicare tre o quattro brani invece di pubblicarne otto o nove. Soprattutto se sei convinto che quei brani siano tutti validi. A volte è meglio uscirsene con quattro brani come si deve piuttosto che accelerare per farne otto o nove con dei filler. Poi vabbè, ci son state delle contingenze particolari, come è successo per l’EP realizzato l’anno scorso nel 2020. ‘Falling Down’ è figlio della situazione della pandemia: sarebbe dovuto uscire questo album che era già pronto, ma l’esplosione del COVID ci ha convinto ad aspettare, e siccome noi abbiamo una pagina Patreon molto attiva, con abbonati che ci seguono, per dare loro un contributo costante è nata l’idea di registrare un EP con tre pezzi che avevamo già pronti per un futuro successore di ‘Chaos Lord’. Abbiamo deciso semplicemente di registrarli subito, e abbiamo realizzato il cd fisico solo per gli abbonati alla nostra pagina Patreon, mentre la versione digitale è presente su Bandcamp per tutti.
A questo punto una curiosità. I brani erano già finiti prima dell’album, o sono stati scritti dopo?
Beretta – Sono stati scritti subito dopo le registrazioni di ‘Chaos Lord’. Paradossalmente è uscito prima l’EP con materiale più recente rispetto a quello dell’album [sorrisetto sotto i baffi che sottolinea la curiosità del caso, ndr.].
L’ingresso del nuovo bassista?
Gritti: ‘Cold Winter’s Night’ è stato il mio primo ingresso nella registrazione. Ero entrato nel 2017 grazie a Davide che mi aveva segnalato alla band. Io e Dave avevamo suonato insieme agli inizi duemila, prima che lui entrasse in pianta stabile nei Drakkar. È stato bello entrare con un progetto che era un EP, ma che ha avuto una continuità con l’album che era in procinto di iniziare le registrazioni, e poi fare le prime date live. L’EP mi ha dato una mano a entrare attivamente subito nell’organico della band. Insomma io mi trovo benissimo. Loro per me sono la seconda famiglia .
La band ha avuto parecchi cambi di formazione. Questa instabilità ha ragioni legate allo stato della musica in generale o a fatti personali dei membri?
Beretta: È stato un po’ di tutto. Le prime line-up sono state abbastanza stabili, poi da un certo punto in poi è cominciato un tourbillon di personaggi. Noi siamo in buoni rapporti praticamente con chiunque abbia suonato nella band. Non mi viene in mente nessuno con cui si abbia litigato. Penso che questo sia la riprova che comunque i motivi erano principalmente personali. Chiaro, che se noi fossimo stati un gruppo che era in grado di vivere di musica o andare in tour mondiali, magari questa cosa non sarebbe successa. Nel nostro caso sappiamo che si tratta comunque di progetti pesanti dal punto di vista dell’impegno. Per noi è quasi un secondo lavoro, però è un lavoro che non ti dà da arrotondare lo stipendio. È fisiologico che la gente dopo un po’ possa mollare. Ovviamente dipende anche dall’età, da tante cose. Poi però c’è anche stata gente che è rimasta con noi per tanti anni, in maniera anche molto soddisfacente e con cui siamo rimasti in buonissimi rapporti. La formazione precedente a quella attuale erano ragazzi fantastici con cui siamo tuttora in rapporti splendidi, che però semplicemente a causa della distanza non avevano più la possibilità di seguire il progetto. Io e Dave eravamo convinti di dover aumentare un po’ gli impegni, e del tutto serenamente, gli altri si sono tirati indietro; in quel momento è nata la formazione attuale che sta andando molto bene. Siamo tutti molto concentrati, poi cosa succederà domani non lo sappiamo.
Come vi ha trattato il mercato in questi anni ?
Beretta: Abbastanza bene. L’unico disco che non rispettò le aspettative fu ‘Razorblade God’ nel 2020, ma penso per due motivi principali. Uno era un il cambiamento del nostro stile andando sulla musica un po’ più aggressiva, quindi forse spiazzante per chi veniva dai primi due album. Due, il momento storico, che è stato quello in cui il mercato è crollato. Tutte le band che hanno vissuto quegli anni hanno avuto il crollo verticale delle vendite. Per il resto le ultime produzioni, ovviamente nel contesto di quello che è il mercato oggi, sono andate molto bene, assolutamente entro le nostre aspettative di gruppo underground.
Dell’Orto: ‘Razorblade God’ veniva dopo ‘Gemini’, che è stato il disco con maggior successo. Non è stato assolutamente facile ripeterlo.
Lo stile è più o meno rimasto lo stesso del precedente ‘Run With The Wolf’. Questo nuovo album però mi appare più ispirato e anche più vario.
Beretta: Sono un po’ come figli, perciò è difficile fare confronti su delle opere dove comunque hai messo tutto te stesso. Ogni disco secondo me è stato diverso dagli altri, non credo ce ne siano due uguali nella nostra discografia. Ognuno ha fotografato quel momento. Dove questo disco è sicuramente vincente su tutti gli altri è dal punto di vista della produzione, nel senso che Mattia (Stancioiu ndr.), nostro producer della Elnor Studio, è andato migliorando negli anni e secondo me questa cosa si sente. Dal punto di vista musicale due dischi di cui sono molto contento, ma la produzione, in questo lavoro, è stato un aiuto a far risaltare meglio i brani. Sul fatto che ‘Chaos Lord’ sia molto vario, sicuramente lo è, e penso che abbia dentro un po’ tutto quello che abbiamo fatto nella nostra carriera. Ci sono addirittura delle cose che possono richiamare ‘Quest For Glory’, il primo album, e ci son delle cose che richiamano ‘Run With The Wolf’, oltre a qualche riff più pesante come era all’epoca di ‘Razorblade God’. Senza voler fare un paragone assurdo, un po’ come è stato ‘Firepower’ per i Judas Priest, questo in piccolo è il nostro ‘Firepower’.
Dell’Orto: Come osi Dario! [ride, ndr.]. Rispetto a prima, io aggiungerei che da ‘Cold Winter’s Night’, da quando cioè c’è questa formazione, stiamo andando molto di più in saletta, al di là di questo ultimo periodo storico che ce lo impedisce, e magari la miglior riuscita è anche il frutto di ciò. Molto più suonare in saletta, molto più confronto; sicuramente molta più maturità musicale di ognuno. Questo si può percepire anche se a noi piacciono tutti i nostri dischi, ovvio!
Cosa pensa Simone di ‘Run With The Wolf’? L’avrai ascoltato no?
Gritti: Hai voglia! Sono un fan. Almeno due/tre brani live dall’album li suoniamo. Sono affezionato, andavo a vedere i miei attuali compagni dal vivo che presentavano le canzoni da ‘Run With The Wolf’. Una componente che influisce molto è che adesso siamo tornati a formazione con due chitarre; l’organico si trova in situazione differente e nuova, e questo incide nel fluire dello scrivere le canzoni. E poi son passati degli anni. Personalmente ‘Chaos Lord’ mi piace molto, poi c’è la collaborazione con Mattia Stanciou che è sempre molto attiva.
In ‘Run With The Wolf’, la stupenda title-track aveva un colore alla Deep Purple, con un suono vintage che nel nuovo ‘Chaos Lord’ non appare più…
Dell’Orto: Sì, quella con gli Hammond. Devo dire che anche dal vivo è una delle canzoni più gettonata, è una di quelle, io non ho i capelli, che fa sbattere la testa al pubblico [muove la testa stile headbanging, n.d.r.]. Quel sound era dato dal vecchio tastierista Corrado [Solarino, n.d.r.] che era un appassionato di Hammond e quando è entrato nel gruppo ha messo ovviamente il suo feeling; poi il tastierista è diventato Lele [Laghi, n.d.r.], grande anche lui, che ha progressivamente instaurato il proprio stile, un po’ diverso. È giusto lasciare spazio ai musicisti, permettendo libertà compositive ed espressive. Quindi se il tastierista precedente era più seventies, Manuele è più da sinth e altri tipi di suoni; quindi il sound generale si è evoluto in quel senso.
Beretta: Alla fine siamo arrivati alla decisione di restare in cinque, e non avendo più tastierista fisso, anche questo ha influito sul fatto che nei brani di ‘Chaos Lord’ vi sia un diverso sound. Le tastiere ci sono dato che Lele ha fatto tutto l’album con noi, ma un po’ ridotte di quantità. Ma è così che sono nati i brani e così si sono sviluppati. Per me è stato molto difficile rinunciare alla presenza fissa, dopo tanti anni, del tastierista. Comunque il modo con cui si è evoluta la band con l’ingresso della seconda chitarra ha creato le sonorità nuove che andavano in quella direzione in maniera naturale. Anche per questo le sonorità vintage di cui parlavi si riducono. Alla fine non ci sembrava giusto tenere una persona legata al gruppo con tutti gli oneri che il gruppo comporta, anche se ci sono gli onori, per poi avere un ruolo di secondo piano. Quindi in amicizia abbiamo preferito continuare con la formazione a cinque. Però le tastiere ci saranno anche in futuro, sebbene con questo ruolo limitato.
Ma tornando alla variabilità del disco ultimo, non sembra che abbiate una formula univoca per la creazione dei brani, avete diverse sfaccettature. Per caso ognuno ci mette qualcosa?
Beretta: Il lavoro è un gioco di squadra, anche se io sono sempre stato il principale compositore della band, e continuo a esserlo. Però non mi sono mai messo a dire agli altri cosa dovevano suonare. Generalmente lavoro sul pezzo dal punto di vista dell’ossatura del brano, magari il ritornello, i riff, la struttura, poi però per esempio le linee vocali le ho sempre affrontate insieme a Davide, lasciandogli la libertà di farle come preferisce, così come tutti gli altri musicisti hanno sempre messo, nelle parti del loro strumento, quello che sentivano di metterci. Tra l’altro ultimamente l’apporto di Simone e di Marco, l’altro chitarrista, si è fatto ancora più importante. Infatti Marco ha scritto quasi tutto il pezzo ‘Through The Horsehead Nebula’ sul quale abbiamo collaborato insieme, ma la buona parte del brano l’ha portato lui. Simone mi ha dato una mano su tanti brani; sui prossimi brani, quelli su cui stiamo lavorando, egli è ancora più coinvolto con le sue idee. Per esempio il giro di basso che c’è all’inizio in ‘Chaos Lord’ è cosa sua, me lo ha passato e io l’ho integrato nella canzone perché funzionava. Era perfettamente nell’atmosfera del brano che stavo scrivendo. Forse questa line-up è la più attiva da tale punto di vista, senza nulla togliere alle altre, soprattutto a Corrado che per anni è stato molto importante per i nostri pezzi. Ma nel complesso questa line-up è quella dove tutti ci mettono qualcosa di proprio. Ciò contribuisce alla varietà dato che tutti abbiamo gusti e preferenze diverse.
Gritti: Io mi trovo molto bene. Sin da subito mi è stata data la possibilità di esprimermi. Da tradizione si dice sempre che lo strumento del basso sia un pochino lasciato in cantina, in realtà ho potuto esprimere alcune mie idee legate a riff un po’ particolari, a me che piacciono i Symphony X. Provo a buttare là la cosa particolare purché sia nell’organico del pezzo. Il fatto è che lavoriamo molto bene sia in saletta, sia a distanza. Ci siamo dotati di strumenti per lavorare anche in situazioni difficili, come questo della pandemia, e riusciamo a portare avanti un discreto bacino di canzoni, rielaborarle, sentirle, riprenderle. Questa cosa è gratificante perché tanto l’attività live, al quale sono molto legato, è ferma, e di conseguenza rimaniamo attivi senza avere i famosi scarti che possono avere altre band che malauguratamente lavorano solo in sala prove. Abbiamo diversi fronti sui quali operiamo bene, e quindi anche sul songwriting.
Per i testi cosa racconta questo disco?
Beretta: I testi li ho sempre scritti io, stavolta no. Con l’altro chitarrista, Marco, suoniamo insieme anche nei Crimson Dawn, la nostra band epic doom, e già lì, sin dall’inizio del gruppo, abbiamo collaborato nella stesura dei testi. Una volta entrato nei Drakkar è stato naturale per me dargli la stessa fiducia sui testi. Gli argomenti sono sempre gli stessi che ci hanno caratterizzato, quindi sempre storie epico-fantastiche, dalla science-fiction alla fantasy, all’horror, ogni volta con dei risvolti epici e con un filino di metafora. La mia ispirazione principale dal punto di vista dei testi è sempre stato Ronnie James Dio, quindi lyrics fantastiche che però poi rimandano ad una metafora sulle nostre situazioni di vita reale quotidiana.
Dell’Orto: E infatti arriviamo a ‘Horns Up’!
Beretta: ‘Horns Up!’ ha un testo molto divertente. Una roba epica, una cosa di vita vissuta no? Il classico inno metallaro, come fu ‘Raising The Banner’ sul nostro primo album. Quella di ‘Raising The Banner’ è stata l’unica altra volta in cui abbiamo scritto un pezzo di questo genere. Dopo tutti questi anni ci stava di farne un altro, e alla fine sono molto contento perché secondo me è venuta fuori con la giusta dose di ironia. Chiunque abbia fatto o faccia parte in un gruppo underground ci si ritroverà.
Nel brano ‘Horns Up!’ percepisco anche la frizzantezza degli Helloween. In altri vari momenti invece sento questi altri tre gruppi: Iced Earth; Iron Maiden ed Elvenking. Ma quali sono le vostre reali ispirazioni?
Beretta: Io ascolto un po’ di tutto a livello di hard rock e metal, dall’AoR fino alle cose estreme, anche se sull’estremo il vero esperto è Marco, l’altro chitarrista, io meno ma ci sono alcuni gruppi Death Metal che apprezzo. I miei ascolti sono sempre stati molto vari. Sicuramente per le influenze principali quando si parla delle sonorità specifiche dei Drakkar, ti posso dire i Blind Guardian [e fa vedere la t-shirt che indossa, appunto dei Blind Guardian, ndr.], ma forse i Running Wild più di ogni altra band. E anche, vabbè, i Judas Priest. Uno dei miei gruppi in assoluto sono però i Thin Lizzy, e se ho deciso di tornare a due chitarre, chiedendo a Dave se era d’accordo a prendere un altro chitarrista, è stato proprio per poter usare quelle loro classiche doppie armonie che sono una mia grande passione. Sul discorso degli Iced Earth sono d’accordo, nel senso che ci sono dei riff abbastanza massicci.
Per quanto riguarda gli Iced Earth, li sento non solo nei riff, ma anche nel modo di cantare, almeno su ‘Lord Of The Dying Race’ e su ‘Battle’.
Dell’Orto: Su questa cosa più di una persona infatti mi ha detto: “Cavolo, assomigli a Matthew Barlow”, quindi gli Iced Earth di Barlow. Io in realtà non è che li conoscessi tanto. Io vengo da James Hetfield, la mia formazione viene proprio da lì, dai Metallica. Poi evolvendomi ho adorato Ronnie James Dio e oggi il mio mito è Russen Allen. Quindi la roba di Barlow è stata casuale, ve lo giuro perché non è che fossi uno che ascoltava quella band anche se la conoscevo. Poi è logico che sono andato a sentirmi gli Iced Earth e ho detto: “Cavolo, è vero!”. Però non è una cosa voluta. Comunque adoro tantissimo gli Angra, soprattutto i primi tre dischi, quelli con Matos, anche se io non c’entro nulla con Matos. Magari! ‘Holy Land’ è stato un disco che ho consumato. Tantissimo i Symphony X; e “Wow!” David Coverdale e quindi tutti i Whitesnake e i Deep Purple suoi.
Gritti: Oltre a unirmi ai ragazzi per le band che hanno nominato, i miei preferiti sono soprattutto i Symphopny X. Ascolto tanto anche il Death metal melodico: Amorphis, In Flames, Dark Tranquillity; è una frangia che mi attira parecchio. Poi ultimamente ho scoperto il piacere del Doom, grazie a un sacco di segnalazioni che mi ha fatto Dario. Quindi sto nelle sonorità dure o un po’ più prog. Come bassista mi piace suonare come Markus degli Helloween, per le scelte melodiche e le scale che fa. Questi sono i riferimenti, anche se, come vedi, non sono quelli più tecnici.
Be’, i Symphony X mi sembrano abbastanza tecnici. E venendo alla chitarra, essa fa sempre assoli pregevolissimi, molto espressivi. Momenti bellissimi anche quando sono brevi. Chi li decide?
Beretta: Sia io che Marco abbiamo delle parti soliste, forse sono leggermente di più le mie, ma per il semplice fatto che io sono stato comunque l’unico chitarrista fino a ‘Run With The Wolf’. Ero abituato a sobbarcarmi il peso di tutte le parti soliste. Lui ha uno stile melodico che a me piace molto; io sono quello un po’ più irruento, più tirato e aggressivo, che tende a sparare un po’ più in velocità pur senza essere un mostro di tecnica. Secondo me i due stili si integrano bene, un po’ le stesse dinamiche di Dave Murray e Adrian Smith, dinamiche che funzionano bene in un gruppo di heavy metal tradizionale. Meglio che se fossimo tutti e due con uno stile simile.
Nella costruzione delle canzoni sento tante piccole sorprese con stacchi, inserimenti e modulazioni che rendono dinamico l’insieme, pur nella compattezza del metal suonato, dove gli strumenti si danno la mano e in cui anche i cori hanno lo stesso impatto. Ciò avviene nella fase di scrittura, o quando state insieme a suonare?
Gritti: A me sono piaciute le parti che ha fatto Dave. Non le ho sentite subito, le ho sentite dopo, e quando le ho sentite ho detto che il pezzo aveva cambiato faccia ancora un volta, diventato qualcosa di più ricco e arioso. Ecco, così quando Dave mi fa l’amatriciana, me la fa ancora più buona [ridono n.d.r.].
Dell’Orto: Il segreto delle nostre composizioni è l’Amatriciana.
Beretta: Sono cose che in parte vengono spontanee, e in parte sono determinate dal ragionamento sul brano. Come ho già avuto modo di dire, nel caso di ‘Chaos Lord’ lo stacco che c’è in mezzo col basso protagonista, Simone me l’ha mandato chiedendo cosa ne pensassi, e io che stavo scrivendo la canzone ho risposto “È perfetta per il brano che sto scrivendo io, si incastra alla perfezione”. Montato in mezzo alle due parti soliste della chitarra ha funzionato alla grande. Ovviamente noi siamo i nani sulle spalle dei giganti, i gruppi che ti abbiamo citato prima erano dei maestri. Gli stessi Helloween hanno usato questo modo di scambiarsi le parti soliste col basso e la batteria. Fanno parte del nostro bagaglio; un po’ viene spontaneo perché ce l’abbiamo dentro, e un po’ è il ragionamento sul singolo brano, sulle sensazioni che ti dà e sul come renderlo interessante. La cosa principale secondo me è sempre che le parti strumentali siano interessanti, non diventino una sterile esibizione di tecnica, che peraltro non abbiamo [ride, ndr.]. Questo lavoro è stato suonato tutto in saletta prima di arrivare in registrazione, quindi quello che tu avverti come alchimia fra gli strumenti penso possa derivare da quello. Ci sono più contributi dei singoli.
In questa elaborazione non statica, sento che contano anche le linee melodiche che non sono solo d’impatto, ma piuttosto modulate. Anche grazie alla ricchezza dei cori..
Dell’Orto: Le linee melodiche vengono dopo le parti strumentali, e quindi devono seguire il filone delle chitarre e del basso. Le costruiamo assieme, i ragazzi fanno i loro desiderata, poi cerchiamo di amalgamare il tutto. Si costruiscono sull’atmosfera musicale del pezzo, mantenendo il suo mood.
Beretta: Poi ci sono dei piccole differenze tra quello che proponiamo e quello che fa Dave, e queste piccole differenze poi si rivelano molto più importanti di quello che potrebbe sembrare all’inizio e danno un colore diverso a quel punto del brano, al quale magari io non avevo pensato. C’è sempre un lavoro di squadra. Io sono molto focalizzato sui ritornelli, ma il resto è frutto di molta collaborazione, e il chorus stesso, se Dave sente di poterlo migliorare, ha la possibilità di farlo.
Riguardo alla voce, la preferisco quando Dave sceglie le azioni di forza. Rispetto al passato sembra più incisiva, in grado di spingere di più.
Dell’Orto: Ho un po’ più conoscenza delle mie capacità e dei miei limiti. Cerco di sfruttare al massimo le mie caratteristiche. Ho la fortuna come altri di collaborare con altra gente, con altri generi, magari più Hard Rock; ciò ha formato a 360° il mio stile, e riesco a valorizzare le mie caratteristiche. Io sono un po’ più grintoso, ecco perché forse le parti più tirate sono poi quelle che escono meglio. Di contro ho anche una impostazione epica; lirica tra virgolette, sul vibrato. È un po’ la mia comfort zone.
Quali sono i brani del disco a cui siete più affezionato?
Dell’Orto: Mi metti in crisi. Forse ‘Chaos Lord’, ‘Horns Up!’ e Firebird’. ‘Horns Up!’ perché ha un testo che veramente adoro, sai, alla fine devo interpretare I testi, e interpretare quella mi è venuto davvero facile. ‘Firebird’ perché faccio tutti gli urlettini, quindi le mie reminiscenze simil-halfordiane, e in ‘Chaods Lord’ una voce bella piena, non troppo alta e non troppo bassa, è quel range di note che è mio, quella che sembra più costruita per me. Il tipo di voce che c’è dentro è quella più mia.
Suonate epico e folk, ma la base è strettamente Heavy Metal classico. Per la vostra musica sembrate dei portatori della fede metallica. Due brani, per esempio, sono costruiti come inni, uno è il già citato ‘Horns Up’, e l’altro è ‘True To The End’. Lo fate pensando al carattere musicale del gruppo o lo pensate per una dimensione live?
Beretta: Le due cose vanno insieme, ci è sempre piaciuto suonare dal vivo. Sono fatti anche per essere cantati. Su ‘Run With The Wolf’ c’è quella parte centrale rallentata con la ripetizione del chorus, sulle chitarre pulite, ed è nata sin dall’inizio con l’idea che “quando la facciamo dal vivo la tiriamo alla lunga; finchè la gente canta la facciam cantare”. E infatti ogni volta la facciamo e ogni volta funziona. Sono le malizie che impari con gli anni. Ti potrei citare un’altra influenza che non ho citato prima, per questo tipo di cose io adoro gli Accept che sono assolutamente dei maestri nel creare le situazioni che permettono dal vivo di coinvolgere la gente. Quel lato lì non lo trascuriamo perché il coinvolgimento delle persone è fondamentale. Non saremo mai una band che nasce per fare il lavoro da studio e basta. I nostri pezzi non sono fatti per essere ascoltati solo in cameretta, devono essere sentiti anche dal vivo.
Senza le date dal vivo, in effetti la musica dei Drakkar non ha il giusto sfogo. Ma il disco è uscito in un momento silente per i concerti…
Beretta: Quando l’abbiamo rimandata speravamo che uscisse quando si potesse suonare, invece alla fine siamo arrivati prima noi della fine della pandemia pur avendo rimandato di un anno. Però non si poteva aspettare in eterno. Per il momento possiamo concentrarci solo nella promozione del disco con i mezzi che abbiamo. Sfruttare la nostra pagina Patreon, pubblicando il “playthrough” della chitarra, il “track by track”, queste cose un po’ più fredde, nell’attesa di poter suonare dal vivo. Dal vivo secondo me questi pezzi avranno una resa enorme. Siamo ansiosi, speriamo che fra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo si possa ricominciare.
Dell’Orto – Dovremo stare davvero attenti perché avremo tanta voglia che il rischio è che, dopo il primo pezzo, saremo tutti distrutti. Ci sbatteremo talmente tanto [tutti ridono, ndr.]! Nel primo concerto dovremo sapere gestirci bene.
La musica non vende da prima del COVID. Pensando alla musica che non vende più, non pensate che il tasso di onestà delle band sia aumentato, non dovendo rincorrere il pezzo di successo?
Dell’Orto: Dipende molto dal genere, perché i generi costruiti esistono sempre, e sempre ci saranno. Non parlo di metal, il nostro è sempre secondo me stato un genere onesto, è un po’ la forza del metal. Lo è sempre di più perché ci sono meno guadagni, meno rincorse ai volumi di vendita, e forse c’è più la passione e fare quello che ci piace fare. Il metal è espressione dei propri gusti, di quello che si è sempre ascoltato, di quello che ci piace ascoltare e ci piace fare.
Beretta: Io non so se sono d’accordo con questa idea, perché secondo me anche adesso la band paracula esiste, ed esisterà sempre. E non è sbagliato che esista secondo me, vorrei chiarire questo punto. Chi ha l’ambizione giusta e legittima di fare qualcosa di più, per viverci di musica, avrà sempre secondo me un po’ l’orecchio ad un certo tipo di produzione e di suono, al capire cosa va o non va. È una cosa normale, l’importante è essere onesto con se stesso e col pubblico. Esiste una fascia di pubblico che apprezza, anche nell’ambito metal, il lavoro costruito a tavolino. Gruppi che pubblicano per etichette come Nuclear Blast, Napalm. Queste semi-major, non major, ma etichette indipendenti molto grosse, hanno sempre dei produttori specializzati in un certo tipo di sound, e tendono sempre a fare quel tipo di sound. Potresti sentire cinque o sei album di un determinato filone, e sentirai che la produzione è simile. Non c’è niente di male in questo. È uno dei modi di esprimere quello che si ha come musicista, cercando al tempo stesso di farne un lavoro vero e proprio. È vero invece che per alcuni gruppi non c’è più l’ansia di raggiungere un certo risultato di vendite; oggi dato che il mercato è cambiato possono starsene magari più tranquille, avendo anche meno paura di sperimentare. Fino all’inizio della pandemia l’aspetto live era diventato estremamente importante, più importante della pubblicazione dei dischi. La gente che fa un ragionamento di tipo commerciale tra virgolette esiste ancora, e sta a noi ascoltatori capire se quella cosa esprima comunque la personalità dei musicisti, o se è una cosa usa e getta.
Avete realizzato l’EP dopo l’album. Quindi magari avete altre canzoni ancora nel cassetto. Non è che per caso state scrivendo il prossimo album?
Beretta: Sì, assolutamente. le canzoni non ci mancano mai.
Dell’Orto: Io e Mattia stiamo lavorando a registrare le pre-produzioni, fai un po’ tu!