Labyrinth – Welcome To The Absurd Interview
Il 01/02/2021, di Gianfranco Monese.
In occasione dell’uscita del nuovo album dei Labyrinth ‘Welcome To The Absurd Circus’, abbiamo avuto l’onore di intervistare il chitarrista e cofondatore della band Olaf Thorsen, facendoci rivelare alcune curiosità riguardo la nuova release e non solo…
Ciao Olaf e grazie per la tua disponibilità. Prima di parlare del nuovo album, partiamo da una domanda doverosa di questi tempi: che 2020 è stato per te e che 2021 ti aspetti?
Innanzitutto grazie a voi, per me è un piacere! Ovviamente, purtroppo, il 2020 è stato un disastro come per il 90% della popolazione. È un peccato, perché nonostante io abbia fatto alcune cose, tra le quali il disco uscito il 22 gennaio, ci ricorderemo di questo come di un anno che ci ha limitato nella libertà “di movimento”, come banalmente poter uscire una sera o andare a trovare degli amici. Insomma, quelle cose che ritenevamo scontate e poi abbiamo scoperto non esserlo più. Temo che il 2021 sia sulla stessa scia dell’anno appena concluso: penso che almeno metà anno ce lo bruceremo completamente, dopodiché bisognerà vedere come e quando potremo tornare alla normalità, e parlando del mio settore vedere come si ripristinerà la questione concerti. Non credo si potrà schioccare le dita e ripartire da dove eravamo rimasti.
Meglio passare al nuovo album, che personalmente ho molto apprezzato, ritenendolo al passo con i tempi e non ripetitivo nonostante non siate una novità in ambito Metal italiano e mondiale.
Ti ringrazio davvero. Di tutte le cose che potevi dire hai detto quella meno scontata e che ci fa molto piacere. Dire ad una band come la nostra che ancora riesce a fare uscite di livello mi riempie d’orgoglio. Sono molto contento perché guardando al gruppo, in primis di amici, sono quasi più orgoglioso adesso rispetto a vent’anni fa in quanto se allora poteva essere una concomitanza di fattori legati alla fortuna, alla passione, all’esplosione di un genere avvenuta nello stesso momento in cui noi si usciva con un nuovo album, quindi diciamo un qualcosa di incalcolabile e fortuito, sapere che ancora oggi facciamo dischi come quello in uscita mi rende molto orgoglioso.
Com’è stato lavorare al disco nonostante il Coronavirus? Più difficile? Diverso?
È stato sicuramente difficile perché, banalmente parlando, abitiamo tutti in città differenti, e il fatto di non poterci spostare ci ha bloccato per un mese e mezzo, tanto è vero che ‘Welcome To The Absurd Circus’ lo avremo dovuto completare prima. Chiaro che fisicamente non potevamo, nonostante la tecnologia di cui disponiamo oggigiorno, anche perché non veniamo da questo mondo: noi ci dobbiamo incontrare. Come da titolo di un brano su ‘Architecture Of A God’, ‘We Belong To Yesterday’, noi per scrivere abbiamo bisogno di trovarci e di buttare via, anche in senso buono, del tempo. Alle volte può capitare che, non essendo ispirati, da un incontro non venga fuori nulla, e va bene così. Al contrario, grazie ad internet il sottoscritto può buttar giù ed inviare dieci pezzi o dieci idee, scambiarle con gli altri, ma non è più una condivisione di momenti, di idee, e quindi un nostro disco non uscirebbe allo stesso modo.
Qual è il significato del titolo dell’album? Cos’è questo circo dell’assurdo?
Be’, innanzitutto questa è una risposta che mi piacerebbe farti avere da Roberto Tiranti, in quanto è stato lui a occuparsi dei testi. Sicuramente è legato alla condizione che stiamo vivendo, che vede nel Coronavirus la ciliegina sulla torta. È il mondo in cui viviamo che è un circo folle, assurdo: un mondo digitale, velocissimo, usa e getta, consumista, e questo vale per le amicizie, per le cose che più ci piacciono. Per quanto concerne la fruizione musicale, alle volte non sappiamo nemmeno cosa stiamo ascoltando, e questo vale in primis per me. Il mondo di internet, come Roberto canta in ‘Den Of Snakes’, è un mondo di serpenti: credo che il novanta percento della gente che lo frequenta siano hater professionisti. Noi, quando abbiamo iniziato nel 1995, sognavamo un mondo fatto di tecnologia che ci avrebbe unito tutti, con la possibilità di connettersi con persone da ogni parte del mondo, ma l’abbiamo trasformato in un sistema dove il novanta percento è porno, ed il rimanente dieci percento sono social in cui il novanta percento è popolato da messaggi di odio e disprezzo. Per me, l’assurdo oggi è questo: più persone che perdono tempo entrando in pagine di qualcosa che non gli piace per sputarci sopra, piuttosto di visitare le cose che piacciono loro ed interagire con persone con cui si potrebbe condividere una passione. E non ne faccio una colpa a chi si comporta in questo modo, credo che questo sia un sintomo di malessere generale che stiamo vivendo un po’ tutti.
A proposito di ‘Den Of Snakes’, personalmente lo ritengo uno tra i brani più vari dell’album, sia per la sua struttura che per l’attuale argomento di cui tratta, e proprio per questo credo sia un ottimo biglietto da visita di ‘Welcome To The Absurd Circus’. Sei d’accordo? Per te c’è un brano portabandiera?
Non credo, anzi penso che i Labyrinth stessi siano un biglietto da visita. Questo perché, negli anni, abbiamo sempre cercato una nostra identità. Ti dirò una frase scontata: a noi piace il Metal. E il Metal è un genere ben definito come lo sono il Blues, il Jazz, il Rock ‘n Roll… Ma perché se una band fa Blues può fare sempre il giro in dodici battute e risultare “figa”, mentre se una band suona Metal è ripetitiva? È una domanda a cui non abbiamo mai trovato risposta, però negli anni abbiamo preso coscienza e deciso che i Labyrinth non avrebbero mai, nei limiti del possibile, ripetuto esattamente lo stesso disco. Lo avrai notato con ‘Sons Of Thunder’, e addirittura successivamente la band ha proseguito secondo la propria visione. Se io, ad oggi, avessi fatto otto dischi tutti uguali a ‘Return To Heaven Denied’ magari avrei venduto qualcosa di più, potrei avere più fan, ma sarei contento come persona? Mi sentirei realizzato? Forse no. Soddisfazioni ne abbiamo avute ugualmente, anche perché queste non si misurano in soldi o in copie vendute: le soddisfazioni le abbiamo tutt’oggi grazie a tutte quelle persone che ci vogliono bene in giro per il mondo, e noi siamo molto soddisfatti così, al punto che non ripeterci è la chiave del nostro divertimento. Quindi, quanto a questa domanda, non posso risponderti su quale sia un brano “biglietto da visita”. Certamente ‘Den Of Snakes’ raccoglie un po’ tutto, però ce ne sono tanti di brani così, anche nei dischi passati.
Passiamo alla cover degli Ultravox presente nell’album: com’è lavorare su una cover? Come vi approcciate?
Ci approcciamo esattamente da fan. Per noi la cover è solo e soltanto l’ultimo ed unico momento che abbiamo da musicisti di poter ancora fare i fan, ovvero scegliere una band che per vari motivi ha regalato qualcosa a noi ed alla nostra formazione musicale. Gli Ultravox, da me proposti sapendo già di incontrare i favori di tutti gli altri membri, sono stati una band che mi ha influenzato tantissimo a livello melodico. Brani come quello presente nell’album, ovvero ‘Dancing With Tears In My Eyes’, ma anche ‘Hymn’, ‘The Voice’ o ‘Vienna’ li ritengo, come ritengo la band stessa, sperimentali: in un periodo in cui tutti suonavano più o meno in una certa maniera, loro sono riusciti a fare cose molto differenti, inculcandomi da ragazzino questo senso della melodia. ‘Dancing With Tears In My Eyes’, personalmente, è stata scelta per un motivo semplicissimo: io vengo dalla Versilia, quindi ho vissuto le classiche estati in spiaggia. Da noi c’era un locale famosissimo che si chiamava Baraonda, e quello era uno dei brani che il dj passava in chiusura della nottata, verso le due/tre di mattina. Ogni volta che lo ascolto, mi riporta a quei bellissimi momenti di fine anni ottanta. Rimetterla su disco non ha nessuna pretesa né di migliorarla né tantomeno, termine che odio, di rivisitarla: noi non abbiamo le capacità per migliorare o rivisitare quello che è già un capolavoro, quindi l’abbiamo risuonata da fan come a dire “grazie”.
Ad avermi colpito nella cover come su tutto l’album sono le soluzioni elettroniche di Oleg Smirnoff. Senza snaturare il vostro trademark, pensi che in futuro ci possa essere più spazio per l’elettronica?
Questo è un dilemma che abbiamo fin dal primo minuto in cui Oleg è entrato nella band. Per me, e non vorrei passare per megalomane, lui è veramente uno dei più grandi tastieristi che abbiamo mai avuto in Italia. È sempre stato un piccolo genio, ha suonato in band come Eldritch, Death SS, poi con me nei Vision Divine. È una persona lunatica, in senso buono: non è interessato all’esibizione della tecnica, per quanto sia un musicista con la M maiuscola, ma si punta sulla ricerca dei suoni. Faccio un esempio per far capire il livello del personaggio: su ‘Stream Of Consciousness’ dei Vision Divine c’è un suo suono che è la sigla di ‘Ballarò’ campionata e rovesciata. I Labyrinth, però, sono sempre stati una band più “chitarristica”: le tastiere sono spesso state più un supporto ai riff di chitarra, per noi molto importanti. Quindi inserirlo in una band come la nostra è più complicato di quanto si possa pensare, perché come lo si inserisce? O si snatura il sound della band, o si rischia di mortificare un musicista che giustamente ha le sue necessità. Devo dire che le cose, come sempre, si risolvono da sole: lui è entrato consapevolmente in una band che ha una certa storia e, quindi, un certo sound, e si è adattato naturalmente. Allo stato attuale delle cose, non per fare mea culpa, ammetto che non gli abbiamo ancora dato tutto lo spazio che meriterebbe, ma ogni volta ci promettiamo di trovare la maniera di integrarlo per bene. C’è anche da aggiungere che, come già detto precedentemente, facciamo sempre dischi diversi: su ‘Architecture Of A God’, per esempio, ha avuto un po’ più di spazio rispetto a questo nuovo lavoro, che tutti noi, lui compreso, volevamo fosse più massiccio, quindi più “chitarristico”, un po’ per tornare e inchiodarci alle nostre origini. Tuttavia ci sarà sempre spazio per Oleg, un po’ come Baggio ebbe carta bianca da Mazzone ai tempi del Brescia.
Domanda secca: la conclusiva ‘Finally Free’ è, sia per titolo che per struttura, il prosieguo di ‘Die For Freedom’, ultimo tassello di ‘Return To Heaven Denied’?
Bravo, ti sei meritato la medaglietta di “fan accanito”! Sicuramente è un brano che, mentre lo scrivevamo, ci ha riportato a ‘Die For Freedom’, infatti ti rivelo un segreto: come forse sai, quando si scrivono le canzoni non si ha subito in mente un titolo, e queste le si salvano sotto ‘Song 1’, ‘Song 2’, ecc… Ecco: nel caso di ‘Finally Free’, inizialmente l’abbiamo chiamata ‘New Freedom’, quindi è assolutamente così, non a caso anche questa è stata volutamente messa in fondo o, ad esempio, contiene un assolo di basso.
Ultima domanda: citando un brano dei Vision Divine siamo nel 6048 e Olaf Thorsen ha purtroppo appeso la chitarra al chiodo. Ho citato apposta una data impensabile o inimmaginabile perché spero, come molti, che quel momento arrivi il più tardi possibile. Una volta appesa la chitarra al chiodo, cosa ti piacerebbe leggere riguardo a quello che è stato il tuo apporto alla scena Metal mondiale?
Innanzitutto non sarà il 6048 ma molto prima. Finché riuscirò a fare dischi di un certo livello e, al tempo stesso, a divertirmi, ok. Ma nel momento in cui non riuscirò più a divertirmi, non suonerò più. Ed in realtà, ci sono già stati degli anni nei quali non ho pubblicato niente, quindi per me non vi è un esatto inizio ed un’esatta fine delle cose, vi sono delle situazioni che cambiano nella vita e se dovessero cambiare in un certo modo semplicemente mi accorgerei che non sto più suonando. Continuerei comunque a suonare con i miei vecchi amici nel mio vecchio garage come accaduto agli inizi perché la musica l’ho sempre suonata per me e non per gli altri, ma non ai livelli di adesso. Tornando alla tua domanda, di quello che dirà la gente non saprei, perché non ho mai ritenuto di aver fatto cose molto importanti: non sono mai riuscito ad avere un’opinione alta di me. Chiaro che mi piacerebbe leggere più complimenti che critiche e/o offese, ed ovviamente chiunque ti direbbe altrettanto, ma allo stesso tempo i complimenti mi hanno sempre un po’ imbarazzato, facendomi sentire un po’ fuori luogo. Non penso di aver fatto niente di particolare, e più che umiltà penso si tratti di obiettività: credo di aver fatto quello che, nella vita, auguro a tutti, ovvero ciò che mi ha divertito e che mi ha fatto passare tutti questi begli anni pieni di ricordi, ed in questo mi ritengo molto fortunato e privilegiato. Detto ciò, dell’opinione altrui non posso dire che non mi interessi nulla, perché in primis le critiche, le offese ad esempio degli hater di cui parlavamo prima fanno comunque male, perché quando uno fa le cose per sé non cerca obbligatoriamente l’approvazione degli altri. Quindi se non ti piace, passa oltre. Ecco: questo, nel tempo, mi piacerebbe che scemasse, e che in conclusione certamente si dica che probabilmente ho fatto qualcosa che inspiegabilmente è rimasto nei ricordi delle persone. Questo mi colpisce come mi colpisce, ad esempio, aver pubblicato un DVD nel quale noto persone venute a vedere la band dal Brasile, dal Giappone, dalla Polonia, dalla Russia, quando insomma vedo persone che si muovono dagli angoli del mondo. Mettiamola così: mi piacerebbe leggere qualcosa del tipo: “era un po’ un deficiente, ma qualcosa di buono ha fatto.” (ride, ndr.) Chiuderei quest’intervista dicendoti qualcosa che ho già detto all’inizio: ritengo veramente che faccia tutto parte di un gioco che mescola abilità e fortuna. Avere la fortuna di essere lì in quel momento, e nel momento in cui si ha avuto fortuna, avere anche le capacità di poter dire qualcosa. Per me, l’elemento della fortuna ha sempre contato molto, perché mi ha sempre evitato di prendere megalomanie o manie di onnipotenza. Ho visto, conosciuto e sono ancora amico di tantissime band e musicisti che per me valevano tanto quanto o anche più di me, ma che purtroppo non hanno avuto la fortuna di beccare quel disco in quel momento. A voi di Metal Hammer Italia vi amerò per sempre perché siete stati il primo giornale che ci diede pagine di interviste, speciali… Ma se quel mese Metal Hammer avesse scelto un’altra band, ora al posto mio ci sarebbe quella band, altrettanto valida e meritevole. Quindi se da un lato mi fa sempre piacere ricevere complimenti, dall’altro mi sento di avere derubato qualcun altro. Sicuramente non ho rimpianti, non sarebbe giusto averne: uno che nella mia posizione si lamenta di non aver raggiunto il successo, ad esempio, dei Metallica è un ingrato, perché credo che non sia solo attore quello che fa i film da un miliardo di dollari, ma anche quello di teatro e che magari è più talentuoso di quello hollywoodiano. Uno deve essere a posto con sé stesso, ed io devo dire che non solo lo sono, ma ho avuto più di quello che le mie capacità pensavo mi avrebbero potuto consentire, soprattutto da giovane, in quanto sicuramente non avevo le ambizioni di creare una band di cui tutt’oggi si parla. Se mi avessero detto, nel 1995, che non nel 6048 ma nel 2021 io avrei fatto ancora dischi e interviste non ci avrei creduto, per me era già un periodo incalcolabile…
…e invece siete ancora qua…
E invece siamo ancora qua, certo!