Wardruna – L’ascesa del Corvo bianco
Il 25/01/2021, di Maria Teresa Balzano.
Ho avuto l’onore di fare una chiacchierata con Einar Selvik, carismatico mastermind dei norvegesi Wardruna, in occasione della tanto attesa pubblicazione del nuovo album, ‘Kvitravn’ (corvo bianco) prevista per il 22 gennaio 2021 via Columbia/Sony Records e per una manciata di minuti ci siamo immersi in un’atmosfera surreale, fatta di sussurri, percussioni tribali, mitologia norrena, lupi e spiritualità. Buona lettura.
C’è qualcosa nella musica di ‘Kvitravn’ che lo proietta fuori dal tempo e dallo spazio, supera le differenze culturali e i generi musicali puntando i riflettori sull’anima tribale che giace nella parte più profonda di ognuno di noi, una sacra eredità primordiale che l’età moderna nasconde ai nostri sensi. Come bilanci il tuo spiritualismo con questo mondo moderno che corre veloce?
Be’, bella domanda. Personalmente non credo sia salutare evadere la realtà rifugiandosi in un’idea, intendo dire che non credo in una forzatura per cui le cose siano state per forza migliori nel passato, forse alcune cose lo erano davvero, e sicuramente alcune cose sono migliori oggi, in ogni caso è il presente quello che viviamo e credo sia necessario semplicemente adattarsi a quello che ci circonda, penso sia addirittura un approccio pericoloso e negativo quello che molte persone hanno, cioè di pensare che un singolo individuo, me o te, o chiunque, non sia abbastanza grande o importante per fare la differenza. Credo sia un pensiero pericoloso perché in pratica è l’unica cosa che possiamo fare, iniziare a cercare noi stessi e il nostro posto nel mondo, credo l’equilibrio sia tutto qui, l’equilibrio sta nell’essere ispirati da elementi del passato che ritieni possano migliorare il presente. È su questo che mi focalizzo.
Hai trovato il senso della vita?
Credo che il senso della vita sia impegnarsi in attività che hanno un valore e fare cose che ci rendono davvero felici, cose di cui riusciamo davvero a godere, ma ti parlo di una felicità intensa, profonda, non superficiale. In questo momento mi focalizzo sul crescere più che posso come essere umano, imparando il più possibile, sia da me stesso che dagli stimoli esterni.
Cosa cambierà per i Wadruna dopo la firma con Columbia/Sony Music?
Nulla, a livello artistico intendo. Sono molto protettivo nei confronti della mia musica e un aspetto fondamentale quando firmi con una label importante è il sentirsi al sicuro, avere affianco un buon team che ti capisce, per me l’integrità artistica e l’avere l’ultima parola sono imprescindibili quando si tratta della mia arte e, per fortuna, il team alla Columbia/Sony rispetta completamente il mio punto di vista. Sono molto felice di aver firmato, il cambiamento sarà nell’aspetto pratico di tutto quello che gira intorno alla musica, nel rendere la mia vita più facile e permettermi di concentrarmi sull’arte e non sul resto. Avere un buon team intorno, che sia l’etichetta o chi si occupa di management e promozione, avere intorno persone che rispettano e conoscono veramente cosa voglio fare e il modo in cui lo voglio fare è molto importante. Credo che molte persone spesso dimentichino che come artista tu non sei superiore rispetto a chi lavora per te, in qualche modo loro sono una tua estensione.
‘Kvitravn’ è nato come prosieguo naturale della trilogia di ‘Runaljod’ o volge il suo sguardo altrove?
Diciamo che vive di vita propria, ma si può anche dire che sia una continuazione della trilogia perché ne riprende alcuni elementi anche se ne scopre e approfondisce di nuovi, le tematiche, la semantica e anche la musica provengono dallo stesso territorio, il cambiamento è nei dettagli, nel fatto che in questo album abbia approfondito proprio i dettagli, addentrandomi nella sfera umana di queste antiche tradizioni e nella relazione che essa ha con la natura.
Hai descritto ‘Kvitravn’ come un messaggio di speranza, puoi spiegarci qualcosa a riguardo?
Sì, è un messaggio di speranza, o meglio un simbolo di speranza, è quello che rappresenta per me il corvo bianco: il corvo è un simbolo molto forte in molte culture diverse e rappresenta spesso lo stesso concetto, è visto come una sorta di ponte, un collegamento tra questo mondo e l’aldilà, e, allo stesso tempo, è anche considerato l’incarnazione animale della mente e della memoria umana. È un simbolo molto forte e lo diventa ancora di più quando è combinato con il bianco, il sacro e mistico albinismo animale, argomento carissimo e comune a tante culture, non solo a quella nordica, ed esteso anche ad altri tipi di animali, non vale solo per i corvi, questi animali bianchi sono profetici, incarnano il significato del cambiamento, rappresentano un segno di evoluzione o illuminazione. Per me il ritorno del corvo bianco, il suo girovagare per il mondo è una sorta di messaggio di speranza, una speranza di miglioramento. Credo che molte persone stiano cercando e riscoprendo antichi modi di vivere e antiche culture e tradizioni proprio per ispirare e migliorare il presente, perché noi, in quanto specie umana, abbiamo subìto una sorta di rimozione dall’elemento natura, l’abbiamo abbandonata e credo valga la pena ricordare e ristabilire il concetto di sacralità della natura, qualcosa di cui noi facciamo parte, qualcosa imprescindibile che non dobbiamo sovrastare.
Come è stata scritta la musica per quest’album e cosa ti ha ispirato?
Come per i lavori precedenti abbiamo seguito lo stesso percorso creativo, è stato il team stesso a definire e “risolvere” le esigenze dei brani, quali strumenti usare, dove e quando registrare, quali musicisti scritturare, dietro c’è stato molto studio, una ricerca approfondita sui temi che avevamo intenzione di trattare ed approfondire. L’ispirazione può venire fuori da molte cose: gli stessi strumenti e le loro particolarità, la natura e l’immersione in essa, spesso i temi che tratto hanno una identità così forte, così intensa, così ben definita che io semplicemente la percepisco, la ascolto e tiro giù qualcosa. L’album è stato plasmato più o meno con lo stesso modus operandi dei precedenti, ho lavorato con Lindy Fay Hella che ha partecipato al processo creativo di alcuni brani, lei ha uno strumento molto potente ed un approccio unico alla musica, è una grandiosa collaboratrice. Abbiamo collaborato anche con Eilif Gundersen che ha suonato tutti gli strumenti tradizionali che mimano il suono del vento, flauti e corni. Il processo creativo è lo stesso degli album precedenti ma sai, non sono più la persona che ero venti anni fa, qualche differenza è obbligata dalla crescita, la maturazione è un qualcosa di automatico anche in ambito musicale.
Hai registrato tu stesso i suoni degli animali?
Alcune registrazioni sì, le ho fatte io stesso, ho provato a fare tutto da solo ma in alcuni casi ho contattato fotografi professionisti che si occupano di fauna e persone che lavorano con gli animali e fanno delle registrazioni, ne ho acquistato le licenze ma per lo più ho provato a farle da solo. Il suono di un lupo che ulula alla luna è qualcosa di primitivo, sai, una persona che lavora con i lupi selvatici in un parco e organizza escursioni per far ascoltare alle persone i lupi ululare mi ha raccontato che la reazione più comune tra le persone che assistono a questo evento è quella di scoppiare a piangere, soprattutto gli uomini. Credo sia un suono talmente ancestrale che richiama dentro di noi qualcosa di antico e dimenticato che giace sepolto nel subconscio.
Molti fan dei Wardruna riferiscono, durante l’ascolto della tua musica, di sentire una sorta di nostalgia per un tempo e per luoghi che non hanno mai conosciuto, penso che tu faccia con la musica quello che i lupi fanno con l’ululato.
Sì, credo in un certo senso sia lo stesso meccanismo, se torni abbastanza indietro nel tempo ti ritrovi a considerare quanto le culture più lontane geograficamente siano comunque in qualche modo connesse tra loro e questo si riflette anche nella musica, c’è una branca che si chiama musicologia che studia l’evoluzione della musica nel tempo, e se guardi abbastanza indietro nel tempo vedi come i pattern ritmici e le tonalità siano molto simili, anche gli strumenti sono imparentati, è come se qualcosa di ancestrale fosse assopito ma ancora presente nel nostro DNA, forse per questo sembra così familiare, a prescindere dalla latitudine da cui l’ascoltatore proviene.
Scegli un brano di ‘Kvitravn’ e narracene la storia, in una lingua che possiamo capire e non solo sentire nelle viscere…
Ti parlo di ‘Muninn’. Uno dei temi che permea l’album è il corvo, ‘Muninn’ è il nome di uno dei due corvi di Odino e la traduzione della parola Muninn è Memoria. Il mito dei due corvi di Odino lo conosciamo grazie ad un poema molto bello che racconta di come Odino mandasse in giro per il mondo questi due corvi, ogni giorno, e quando essi tornavano gli raccontavano tutto quello che avevano visto. Il secondo corvo è Huginn che sarebbe la Coscienza; ogni giorno Odino teme che uno dei due non faccia ritorno, ma soprattutto teme che Muninn non faccia ritorno. Qui il poema si interrompe e non spiega il perché Odino tema che sia proprio la Memoria a perdersi. Quello che ho voluto fare con questa canzone è proprio cercare di dare una spiegazione a questo quesito, perché l’uccello della memoria è più importante di quello della coscienza? E penso la risposta sia piuttosto semplice, non c’è Pensiero senza Memoria: la memoria ci incastona in una cornice storica precisa, definisce la nostra cultura, ci definisce come esseri umani, il nostro giudizio, quello che ci spaventa, la memoria fondamentalmente definisce tutto quello che facciamo. La memoria in antichità era intesa in modo diverso da come la definiamo oggi, riferito ad un essere umano oggi lo stesso concetto lo definiremmo Anima, una parte dell’anima separata del nostro essere ed è un concetto affascinante. Questa canzone vuole essere uno studio sulla percezione della memoria nelle antiche tradizioni.
Ormai sei diventato un esperto di strumenti musicali antichi, qual è il tuo preferito e come li gestisci?
Be’, non mi sento un esperto, mi sento uno studente e sto ancora imparando tantissimo, ci sono molte cose che ancora non conosciamo sugli strumenti antichi. Non ne preferisco uno in particolare, o meglio, cambia a seconda dell’umore, del periodo, di cosa mi circonda, perché tutti hanno caratteristiche che li rendono speciali in modo diverso, la lira credo che sia lo strumento che uso maggiormente perché è molto pratica nell’accompagnare il canto e io amo cantare, ho bisogno di cantare.
Pensi che i Wadruna abbiano aperto una nuova strada nella musica metal per qualcosa di più intimo e raffinato, una sorta di filone dark folk world music attraversata anche da molte altre band come gli Heilung o i Danheim? Senti il peso e l’onore di essere un pioniere?
Non ne sento il peso, anzi è fantastico vedere che abbiamo spianato la strada ad un nuovo filone musicale e il fatto che riusciamo ad ispirare altre persone, l’aver creato un pubblico per questo stile, rendersi conto che anche l’industria musicale inizia ad accorgersene è assolutamente fantastico. Quando iniziai con i Wardruna la gente non capiva, o meglio, il pubblico ci capiva ma l’industria musicale non riusciva a categorizzarci, non sapeva dove metterci, eravamo qualcosa di nuovo, di diverso. Abbiamo creato il nostro genere ed è meraviglioso vedere come quello che abbiamo costruito abbia creato opportunità anche per altre persone ed essere una fonte di ispirazione è un grande onore
Quello che hai detto mi fa pensare alla fama crescente che sta avendo il Midgardsblot Festival in Norvegia, che tu stesso hai contribuito a fondare…
Sì, ho preso parte all’ideazione del Midgardsblot, ho contribuito a tirarlo su. La prima volta che ci abbiamo suonato, con gli Enslaved, eravamo in un’altra location e il nome del festival era diverso, ma poi divenne Midgardsblot e l’ho sempre avuto nel cuore, è grandioso vedere festival così crescere.
La mia sensazione è che la tua musica non tende a proiettarci nel passato, ma cerca più di portare pezzi di passato nel futuro. Come definiresti questo processo?
È una descrizione molto accurata, sono perfettamente d’accordo, la mia intenzione non è mai stata quella di replicare la musica di un preciso periodo storico, sai gli strumenti che uso risalgono all’età della pietra e del bronzo, a periodi di migrazione, all’epoca vichinga, al medioevo e, pensandoci bene, anche a qualcosa di più moderno. Prendo elementi dal passato per integrarli in creazioni contemporanee, le vecchie canzoni sono andate e dobbiamo crearne di nuove, il mio focus è sul presente, qui e ora, guardo di fronte a me, non solo e sempre alle spalle. Penso questo sia un approccio costruttivo se vuoi vedere le tue cose crescere, ci sono molti aspetti del passato ancora rilevanti, proprio come ce ne sono molti che oggi non hanno più senso di essere, è un mondo diverso, mi concentro sulle cose che ancora conservano un significato, che vale la pena ricordare, da cui vale la pena imparare
La percezione che buona parte del pubblico ha della musica neofolk è che tutte le band siano strettamente legate alla politica di estrema destra e, per questo motivo, molti musicisti hanno preso pubblicamente posizione contro i movimenti politici nazionalisti. Tu, con la tua arte, stai cercando di ripristinare la precisione e l’identità storica della diversità culturale che ha caratterizzato il passato nel popolo nordico. Cosa ne pensi dell’uso politico dell’iconografia neofolk?
Credo sia semplicemente triste e non molto logica. Non rappresenta la cultura norrena in modo accurato e salutare, è qualcosa che mi rende molto triste. La migliore medicina per l’ignoranza è la conoscenza e spero che più conoscenza possa aiutare e far vedere alle persone che ciò non ha senso, dobbiamo superare certi pensieri, essere spaventati dalla multiculturalità non è mai una buona cosa. Sai, la società nordica di oggi è il risultato di molte mescolanze, popoli e tribù hanno viaggiato e migrato per migliaia di anni, incontrandosi, fondendosi e creando nuove culture, lo possiamo vedere chiaramente e continuerà sempre a succedere, è una cosa naturale, non vedo cosa ci sia da temere. Spero la gente smetta di incrociare le nostre credenze spirituali o la nostra eredità culturale con la politica moderna, non ha senso.
Come senti oggi il black metal? Pensi di poterlo suonare di nuovo un giorno?
Non amo chiudere le porte, a questo punto della mia vita diciamo che non mi manca, ma sai, forse mi ricapiterà, non lo so, se avrà senso per me o se sentirò il bisgono di esprimerrmi in quel modo, perché no?
Com’è stato scrivere la musica per ‘Assassin’s Creed-Valhalla‘? Ci hai giocato?
Sfortunatamente non ho avuto il tempo di giocarci, ma spero di farlo appena avrò un po’ di tempo libero. Sembra fantastico, ho visto molto backstage quando ci lavoravo, è stato davvero un bel progetto a cui prendere parte e si, di solito sono abbastanza scettico e selettivo quando si tratta di lavoro, ma con questo ho subito avuto la sensazione di avere la stessa visione di quello che sarebbe stato il mio ruolo nel gioco. Il fatto che potessi dar voce alla tradizione scaldica, quella tradizione che spesso è ignorata nelle moderne rappresentazioni del periodo, come film, serie tv e cose del genere, mi ha fatto felice, è stata una bella esperienza. ‘Assassin’s Creed’ resta comunque un misto di realtà e finzione, questa è la premessa da considerare, è un viking fantasy con tutte le peculiarità che rendono appetibile il prodotto ad un pubblico che si aspetta la classica visione del mondo vichingo ma l’ho apprezzato perché lascia spazio anche a tematiche di solito meno considerate.