Windir – The Legacy Of Valfar
Il 21/01/2021, di Nick Guglielmi.
Nel nostro fantastico mondo del metal ogni tanto si aprono delle finestre magiche sul passato, che ci danno l’opportunità di rivivere momenti speciali, oppure di dare l’opportunità a chi non c’era allora di recuperare qualche gemma preziosa. Perché la musica, soprattutto la nostra, vive in eterno. E così, in questo maledetto 2020, ci troviamo improvvisamente a (ri)parlare di una band e di una persona molto speciali, che probabilmente risulteranno sconosciuti o quasi per gran parte di voi. Questa storia inizia in Norvegia nel lontano 1994, quando Terje Bakken, nome d’arte Valfar, all’età di sedici anni, decide di fondare i Windir, one man band che si cimenta in uno stile molto particolare di black metal pesantemente contaminato da elementi folk, melodie, atmosfere ed epicità. Al giorno d’oggi questo genere è stato saturato da innumerevoli band più o meno autorevoli o degne, ma in quegli anni eravamo agli albori; altri nomi di band associabili allo stile dei Windir sono i Borknagar e i Vintersorg, ovviamente norvegesi anche loro, oppure gli svedesi Mithotyn. Dopo un paio di demo, seguirono due album magnifici, ‘Sóknardalr’ e ‘Arntor’, composti ed eseguiti per intero da Valfar. Poi la svolta: Valfar decide che è giunto il momento di allargare gli orizzonti della sua creazione e portare a bordo altri musicisti, tutti suoi amici storici, per proseguire il viaggio. Nasce così nel 2001 il vero capolavoro della band: ‘1184’, seguito da un’altra pietra preziosissima, ‘Likferd’.
Poi succede l’imponderabile, un evento inconcepibile per persone come noi ma che in Norvegia, una terra dove uomo e natura convivono a contatto diretto e continuo, diventa la normalità. Un giorno Valfar decide di fare una lunga passeggiata per recarsi a un rifugio di famiglia in montagna… e viene sorpreso da una bufera di neve. Verrà trovato tre giorni dopo lungo il percorso. E così muore prematuramente un ragazzo di appena venticinque anni, genio musicale, e con lui tutte le promesse e la magia di un gruppo che aveva appena cominciato un percorso, già grandioso, che chissà dove avrebbe portato…
Come spesso accade, a noi resta il dubbio di cosa avrebbe potuto creare Valfar negli anni a venire, dove l’avrebbe condotto la sua arte, e cosa ci siamo persi tutti. Domande che rimarranno ovviamente senza risposta, però oggi è il momento di riscoprire quello che Valfar ci ha lasciato in eredità, la sua “legacy”. La Season Of Mist ha voluto rendere omaggio a Valfar e i Windir pubblicando un cofanetto in legno super esclusivo disponibile in 1.184 copie (che peraltro mi risulta sia andato sold out in poche ore…) contenente i 4 album, per la prima volta stampati in vinile.
Di questa triste e magnifica storia ne parliamo con Jarle Kvåle, nome d’arte Hváll, ora membro dei Vreid, band norvegese fondata dagli altri membri dei Windir dopo l’improvvisa morte di Valfar.
Allora Jarle, è bello poter parlare ancora dei Windir dopo tutti questi anni! Tu, insieme agli altri, sei entrato nei Windir a ridosso del terzo album. Com’è nata l’idea o l’esigenza di trasformare Windir in una band completa rispetto alla one man band dei primi due album? Tu già conoscevi Valfar?
“Quelli che non conoscono la nostra storia potrebbero pensare che un giorno si è deciso di trasformare i Windir in una band completa, ma l’evoluzione è stata molto diversa. Vedi, Terje era il mio vicino di casa quando eravamo bambini, e il nostro batterista abitava a 100 metri da noi, tutti nello stesso paesino. Ci conoscevamo da quando avevamo due anni! Siamo sempre stati amici, quasi come parenti, dato che abitavamo tutti così vicini. Negli anni Ottanta siamo stati introdotti dai nostri familiari più grandi al fantastico mondo del rock’n’roll, così abbiamo cominciato a fare cover dei Kiss e degli altri gruppi storici. Poi, finalmente nel 1993 abbiamo deciso che era ora di comporre la nostra musica. Io, Steingrim (batteria) e Sture (chitarra) (ndr: Steingrim e Sture successivamente hanno suonato nei Windir e oggi sono membri dei Vreid) abbiamo fondato gli Ulcus, ma collaboravamo continuamente con Valfar, eravamo come un gruppo unito di persone che sperimentava e collaborava insieme. Però lui aveva il suo approccio, sentiva fortemente la necessità della presenza di elementi folk norvegese nella sua musica, ed era sicuramente il musicista più evoluto di tutti noi, nonostante fosse il più giovane. Ma lui non era tanto per il discorso di stare in una band, lui privilegiava starsene a casa, chiuso nella sua stanza a comporre, da solo. Mi ricordo essere stato con lui a casa a fargli sentire il materiale per l’album degli Ulcus, e di aver ricevuto da lui vari input, che sono stati incorporati nella musica dell’album. Al tempo stesso Valfar aveva pubblicato i primi due album dei Windir, ma era insoddisfatto perché aveva la sensazione che i dischi non avessero ricevuto l’attenzione e il riconoscimento che secondo lui meritavano. Ed essendo l’unico membro, ovviamente mancava totalmente l’elemento del potersi esibire dal vivo. Così una sera ne abbiamo parlato io e lui e abbiamo deciso di unire le forze e scrivere musica insieme. L’idea originale era quella di accantonare entrambe le band e cominciare qualcosa di nuovo da zero, ma poi io per primo mi sono reso conto che la direzione che stavamo intraprendendo era l’onda lunga di quello che lui aveva già cominciato con Windir, quindi gli ho proposto di continuare insieme come Windir.”
A proposito di cultura musicale, sento molte influenze anche classiche nei Windir, è una mia impressione sbagliata?
“Assolutamente, infatti Valfar era grande estimatore di musicisti come Prokof’ev (compositore russo) e Grieg (compositore norvegese), quindi c’era quell’elemento, e poi c’erano le canzoni folk antiche, le hymns, non quelle allegre, ma quelle che venivano cantate nelle chiese. Il primo strumento con cui si è cimentato era l’accordion, questa cosa da sola fa capire quale fosse la sua attrazione per la musica folk.”
Quindi gli piaceva comporre da solo da quanto capisco.
“Sì, lui scriveva musica in camera sua, utilizzando un vecchio computer e un software assurdo limitatissimo. La prima incarnazione di tutte le sue composizioni era al 100% elettronica, poi eravamo noi a dover trasformare le sue creazioni in musica metal. Ma tutti questi elementi strani e particolari hanno comunque contribuito a far sì che la musica venisse fuori così com’è venuta.”
Certo non proprio la standard black metal band di quell’epoca! Altro elemento distintivo era il fatto che spesso i testi facessero riferimento ad eventi della storia norvegese, argomenti diciamo più impegnativi e ragionati rispetto al solito satanismo ed esoterismo tanto battuto a quei tempi.
“Devi capire che noi facevamo una vita semplice, siamo cresciuti in fattorie, e abbiamo assorbito tutte le storie che ci hanno raccontato i nostri genitori e i nostri nonni, e siamo sempre stati affascinati dai loro racconti. Per noi è stato molto naturale incorporare tutto questo nella nostra musica ed anche nei testi, perché queste sono le cose a noi care, sarebbe stato impossibile per noi parlare di storie fantastiche o di Satana…”
Tu mi racconti tutte queste cose e mi viene in mente una canzone in particolare, ‘Journey To The End’, che parte in classico stile black metal melodico e finisce con una lunga sezione esclusivamente elettronica…
“Valfar scriveva tantissimo, aveva un sacco di progetti e pezzi di canzoni partoriti in camera sua e non buttava nulla, conservava tutto, con l’obiettivo di farne uso un giorno. E così è stato per quella canzone. Lui si ispirava a quell’elemento ripetitivo e atmosferico tipico di Burzum e Bathory, ma con l’aggiunta di una componente totalmente unica della musica elettronica.”
Al di là della musica, che tipo era Valfar? Sembrerebbe emergere un personaggio unico.
“Era una persona molto divertente! Riusciva sempre a tirarti fuori un sorriso. Gli piaceva fare casino, come a tutti noi. Eravamo una piccola comunità di otto o nove ragazzi molto uniti. Come ti dicevo prima, io e lui eravamo vicini di casa quindi stavamo letteralmente sempre insieme. La musica lo stressava, perché sentiva la necessità di produrre sempre. Ma per il resto era una persona piena di gioia e di voglia di vivere. Dal vivo era imprevedibile, la musica era importante per lui ma si rendeva conto anche che quando suoni dal vivo devi poter accompagnarla con un po’ di spettacolo e divertimento. Noi ammiravamo gente come Kiss e Alice Cooper e il nostro approccio alla musica era ispirato da gente come loro.”
Come sono stati i giorni dopo che è morto Valfar?
“È stato uno shock terribile, ovviamente, per tutti noi, per i primi 2 o 3 anni non riuscivo neanche ad accettare il fatto che fosse morto. Per 4 o 5 anni non sono neanche riuscito a guardare indietro a tutte le cose belle che avevamo fatto, avevo solo pensieri e sensazioni orribili. Ma col passare del tempo sono riuscito finalmente a girare l’angolo, diciamo così, e apprezzare il tempo trascorso insieme. Sento la sua presenza e la sua influenza sulla mia vita. Col passare degli anni ho sofferto altre perdite di familiari e in un certo senso impari a conviverci e ti rendi conto che è una parte della vita. Ma ho anche imparato che queste persone ti accompagnano nel tuo cammino fintanto che esercitano un’influenza su quello che fai e come vivi. Il fatto che Terje non abbia potuto vivere una vita più lunga è una cosa che mi riempie di tristezza. Lui avrebbe vissuto una vita fantastica e avrebbe rappresentato per tanti anni un punto di riferimento per la sua famiglia e per la sua cerchia ristretta di amici. Queste sono le tragedie della vita e purtroppo dobbiamo imparare ad accettarle e andare avanti…
Però, come dicevo, allo stesso tempo ho imparato a essere grato per tutto il tempo che ho potuto trascorrere con Terje e per il fatto che mi ha aiutato a trovare la strada giusta ed il modo di creare musica. Tutto questo mi dà grande forza e ispirazione e ho capito che ogni giorno va valorizzato ed usato per continuare a creare ed a progredire nelle cose che vogliamo fare.”
Parliamo di cose allegre: incredibilmente, voi avete partecipato al Milwaukee Deathfest tanti anni fa: cosa ricordi di quell’esperienza?
“Fu un’esperienza strana, bizzarra, divertente e bellissima al tempo stesso! Non saprei da dove cominciare, forse dall’episodio più importante: la settimana prima di partire Valfar si ruppe la mandibola e quindi non potette venire con noi! Così dovette cantare Sture. Prima del festival abbiamo fatto un concerto di riscaldamento in un pub di Milwaukee, fu un’esperienza agghiacciante! Chissà cosa ci aspettavamo, ricordo solo che ci siamo ritrovati a cambiarci nei bagni anziché avere un camerino e poi abbiamo suonato davanti a 200 americani completamente ubriachi che avrebbero reagito nello stesso identico modo se avessimo suonato cover dei Beatles tutta la sera! Comunque ci siamo adeguati al contesto e ci siamo ubriacati pure noi. Poi il Deathfest, anche lì, bella esperienza, ma non senza problemi. Ci hanno tagliato corto quando mancavano ancora due brani alla fine del nostro set, e poi non ci volevano pagare per qualche motivo buttato lì. Insomma una bella introduzione al fantastico mondo del rock’n’roll negli USA…”
Invece cosa ricordi del famoso ultimo show, quello che avete suonato dopo la morte di Valfar?
“Del giorno vero e proprio non ricordo assolutamente nulla, completamente sparito dai miei ricordi. Certo, quando vedo i filmati mi ricordo, ma per il resto per me è come se non ci fosse mai stato. Mi ricordo che eravamo molto contenti di fare lo show, contenti di onorare Valfar, contenti che il fratello Vegard avesse deciso di cantare al posto di Valfar, nella convinzione che lui avrebbe apprezzato tutto quello che stavamo facendo, e la preparazione è stata molto positiva. Il locale era sold-out, quindi i presupposti per una bella festa c’erano tutti e così è stato, ma io personalmente sono entrato in uno stato di blackout tale per cui non mi è rimasto niente di quel giorno. Credo che sia una sorta di spirito di sopravvivenza che entra in gioco…”
Veniamo ai giorni nostri. C’è qualcosa altro che bolle in pentola oltre all’uscita del cofanetto di vinili?
“Chiaramente quando sono usciti gli album dei Windir non si usava pubblicare su vinile, quindi era da qualche anno che stavamo esplorando l’idea di fare qualcosa di speciale. Nel 2021 si celebrano i venti anni dell’uscita di ‘1184’ e allora ci sembrava che i tempi fossero quelli giusti. Abbiamo parlato con parecchie etichette che erano interessate al progetto, ma noi abbiamo un ottimo rapporto con la Season Of Mist, e quindi ci è sembrato naturale farlo con loro.
Oltre al discorso dei vinili, stiamo pensando di fare uno o due concerti come Windir la prossima estate, di nuovo insieme al fratello di Valfar, Vegard. Siamo già in parola con il Karmageddon Fest, che COVID permettendo dovrebbe svolgersi a inizio maggio 2021 in Norvegia, e l’idea è quella di eseguire per intero ‘1184’. Probabilmente vorremo fare magari un altro paio di date, ma per adesso l’unica sicura è questa.”
Good news! Allora speriamo di vederci nel 2021, magari finalmente senza mascherine!