Chris Catena – Italian War Machine
Il 02/11/2020, di Andrea Lami.
Come sempre, approfittiamo dell’ultima uscita discografica (‘Truth In Unity’) per fare due chiacchiere con Chris Catena, autore di un album decisamente di livello, non solo per la nutritissima lista di ospiti che lo arricchiscono, ma per la qualità e la ricerca musicale che Chris ha fatto.
Come e dove è nata l’idea di questo progetto…
“‘Truth In Unity’ è nato con l’intenzione di essere il mio nuovo album solista e mantiene un fil rouge con ‘Freak Out’, il debut album del 2004, sia per il sound di matrice hard classico, sia per l’idea di coinvolgere parecchi guests come era già avvenuto in passato. ‘Freak Out’ vanta un numero nutrito di ospiti come Eric Singer, Glenn Hughes, John Taylor, Al Kooper, Bernie Marsden, Tommy Aldridge, Virgil Donati, Doug Wimbish, Bruce Kulick, Chester Thompson, Stevie Salas, Mickey Moody, Jeff Scott Soto, e molti altri.”
Sappiamo che questo album ha avuto una gestazione lunga dieci anni. Ci racconti cosa è successo in questi anni?
“Tornando a ‘Truth In Unity’, avendo iniziato a registrare alcune demo già durante la gestazione di ‘Discovery’, il mio secondo album, alcuni eventi importanti come la nascita di mio figlio Joshua, hanno fatto si che per qualche tempo accantonassi la pre-produzione dello stesso, anche perché, all’epoca ero ancora nei Pavic e stavo realizzando il mio album con la mia band di rock italiano, i Dr.U, poi uscito nel 2012. Non sono mai stato fermo dividendomi tra la mia attività di manager di musica classica e opera lirica, il mio lavoro di regista ed infine la realizzazione del come back della prog band italiana, ‘Rovescio della Medaglia’ con Tribal Domestic. Janne Stark, chitarrista svedese di grande esperienza e capacità, ha avuto un ruolo molto importante nella realizzazione di questo album, perché durante i miei periodi di gap creativo, avendo però sempre ben in mente la visione del progetto, il sound, il genere e come procedere nel songwriting, chiedevo lui se poteva scrivere un brano che si rifacesse a questo o quell’artista che volevo tributare con i Rock City Tribe. Lui non ha mai fallito…Siamo riusciti a lavorare in osmosi con grande entusiasmo. È stata un’ esperienza esaltante e stimolante. Ho anche scritto qualcosa da solo o coadiuvato da altri talenti quali Francesco Marras e Antonio Aronne, poi c’è la chicca ossia un brano donatomi dal mio carissimo amico Kee Marcello, intitolato ‘Still A Fool'”.
C’è qualche canzone alla quale sei più legato? Sia di questo album che di quelli del passato.
“Del passato dovrei dire ‘I Found A Woman’, una cover da ‘Play Me Out’, primo album solista di Glenn Hughes. Con questa canzone ho conquistato il cuore di quella che sarebbe divenuta la mia compagna per ben quattordici anni, mia moglie Katiuscia. Per quanto riguarda questo nuovo album, sono molto legato al brano di apertura ‘Angel City’ e a quello di chiusura ‘Riding Freebird Highway’ in quanto tracce totalmente differenti tra loro. La prima, un hard funk che vuole essere la gemella moderna della mia ‘Freak Out Tonight’, quindi una party song dal groove molto accattivante e cori anthem-oriented molto vicini al sound della black exploitation anni Settanta, e l’ultima ‘Freebird’, una cavalcata southern epica che tributa le grandi band del genere come Lynyrd Skynyrd, Outlaws o Blackfoot e chiude l’album con una gara di assoli al fulmicotone di Tracii Guns, Freddy Salem e Janne Stark. Come a significare l’apertura e la chiusura di un cerchio. Ne vado fiero.”
Come fai a riuscire a coinvolgere tutti questi artisti super noti?
“Non lo so. Frequento Los Angeles, Las Vegas (dove mi sono sposato la prima volta e ho celebrato almeno due rinnovi della promessa), e li mi sento a casa. Vado nei club, incontro persone, ci parlo, da cosa nasce cosa. Ma immagino ci sia anche una stima e rispetto di base affinché una collaborazione possa concretizzarsi. Ho avuto anche dei rifiuti che mi hanno fatto male, ma fa parte del gioco e della vita. Non si può avere tutto. Morirei dalla voglia di avere su un mio brano il solo di Ace Frehley, ma pur avendolo incontrato, so in cuor mio che non avrebbe accettato e se lo avesse fatto, sarebbe stato in cambio di un conto salatissimo. E ovviamente devo pensare in primis al bilancio familiare.”
C’è qualche musicista al quale sei più legato e perché?
“Devo dire che voglio bene a parecchi musicisti ma un posto privilegiato nel mio cuore lo hanno tre persone, Kee Marcello. Chitarrista pazzesco! Con lui ho condiviso tanto, esperienze particolari, conversazioni sulla vita e sulla morte, sul passato, il presente e come migliorare il futuro. Kee è una persona con una sensibilità unica, con una emotività grandissima. Lui con un sorriso è come se ti abbracciasse. Vitalij Kuprij, un ragazzo d’oro. Ero con lui quando ho dato il primo bacio a mia moglie. Ricordo che in quei giorni era ospite in casa mia e stava realizzando il suo bellissimo album ‘Revenge’ cui ho lavorato come executive producer e guest in un brano, ‘Let The Future Unfold’. Infine Janne è un ragazzo molto disponibile, ci si lavora bene e sa leggere nella tua mente, nelle tue intenzioni, capisce cosa cerchi di creare e sa come aiutarti. Infine Davide Spurio, un ragazzo unico. Registro le voci da lui da quando ero un ragazzo pieno di sogni e obiettivi. Non potrei non registrare da lui, mi verrebbe una condizione di ansia. Lui mi conosce meglio di me stesso e sa tirare fuori il meglio da me.”
Raccontaci qualche aneddoto di qualche musicista che ha collaborato con te.
“Ricordo quando invitai Bernie Marsden a registrare a Roma. Eravamo in studio da Davide Spurio e Bernie aveva appena finito di registrare le sue chitarre sul brano ‘Lady Starlight’. Eravamo cotti e pronti per andarcene quando Bernie iniziò a ripulire lo studio. Prese un sacchetto e ci mise bottiglie, bottigliette, carte, rifiuti. Noi rimanemmo tutti esterrefatti alla vista di tutto ciò e gli dissi: ‘ma Bernie cosa fai, andiamo non ti preoccupare’. Il chitarrista storico degli Whitesnake, l’autore di ‘Here I Go Again’ che ripulisce lo studio alla fine di una session? Con il suo accento tipico inglese, ci spiegò che per lui era cosa normalissima lasciare lo studio come lo aveva trovato. Questo fa capire l’umiltà e la signorilità di certi personaggi. E noi che ce ne stavamo andando lasciando lo studio nel caos, rimanemmo di cacca.”
Come hai vissuto il lockdown?
“Che vuoi che ti dica… non è stato certo il periodo migliore della mia vita. Una macchina da guerra come me, se la rinchiudi, rischia di impazzire. Erano decenni che non mi fermavo, che la mia agenda era piena di impegni. Poi all’improvviso… bam! Tutti a casa. La mia ora di libertà era, andare a fare la spesa. Ho riscoperto la mia vecchia passione per la pittura e ho incominciato ad acquistare tele, anche molto grandi e da fine febbraio a maggio ho realizzato almeno trenta quadri. Non mi chiedere come e perché, ma l’artista trova ispirazione molto spesso quando nella sua vita accadono cose che ne modificano le abitudini, mettono a rischio le sue certezze, alimentano la frustrazione. Sai qual’è la cosa che ho apprezzato di più in questo periodo? Ho passato tanto tempo con mio figlio e mi sono reso conto di tante cose e molte sfumature che i troppi impegni mi avevano portato a trascurare. Ah sono anche riuscito a sistemare il giardino di casa, una cosa che volevo fare da 10 anni ma da cui rifuggivo volentieri. Pennello e vernice a rifare le ringhiere, a passare l’impregnante sul legno etc. Insomma, uomo di casa.”
Ultime domande le più cattive. Nel 2020 il mercato discografico è cambiato molto. Tutti possono incidere un album. Tu come ti organizzi per promuovere la tua arte musicale?
“Si oggi tutti possono fare un disco e tutti in pratica lo fanno. Ma ho le mie idee. Penso che se il mercato è saturo di musica in parte è anche perché le produzioni oggi sono concepite e realizzate velocemente. Per come la vedo io, il mercato che rischia di implodere. Troppa digitalizzazione, troppa musica di facile fruizione e spesso a discapito della qualità. Troppi singoli di cui non rimane nulla. Musica ‘on the go’, veloce, superficiale. Oggi si ha accesso a cataloghi infiniti pagando una quota minima su Spotify o piattaforme simili. Pensi sia giusto? Pensi sia rispettoso verso i musicisti? Produrre un album fatto bene non è un gioco. È un lavoro molto duro. I media e il mercato stanno sparando gli ultimi disperati colpi, ma sono colpi a salve! Non rimarrà nulla, perché l’unica cosa che non morirà mai è proprio il Rock! Credo che questa crisi dovuta al Covid porterà in futuro ad alcuni cambiamenti. Lo voglio sperare con tutto me stesso. Nel mentre chi, come me coltiva la passione vera verso la musica senza compromessi, senza se e senza ma, si avvale di quello strumento che lo può rendere unico, la voce fuori dal coro. Il Coraggio delle nostre scelte! Io sono un perfezionista e ho provato sulla mia pelle cosa vuol dire, realizzare qualcosa solo per rispettare una scadenza, senza la pazienza e la mente libera che genera la giusta creatività. A fare le cose per far piacere agli altri e non a sé stessi avrai un risultato non eccellente. Bisogna cercare la Bellezza e l’Eccellenza in ciò che si fa, in qualunque cosa si faccia. Nella mia arte musicale questo è il target che provo a perseguire.”
E infine una nota spinosa. Le recensioni. Mi dici cosa ne pensi in totale libertà? Così finalmente abbiamo un parere anche di un musicista e non solo dei vari lettori.
“La qualità delle recensioni dipendono dai recensori, dal loro livello di cultura ed esperienza musicale, da quante volte, prima di scrivere un giudizio e decretare il destino (a parer loro) di un lavoro, abbiano ascoltato un album (ci sono album che crescono nell’ascoltatore ascoltandoli più volte, il vino rosso è più buono se lo si fa decantare). C’è chi copia ed incolla le altrui recensioni e questa è una cosa che mi è capitato di sperimentare alcune volte. Cosa si può dire? Poi c’è tanta gente competente il cui punto di vista va rispettato perché nella vita esistono le idee, c’è il confronto tra persone differenti con diversi approcci e con un pensiero originale. In passato a volte, soffrivo le cattive recensioni, oggi non più. C’è sempre un minimo di reazione ma se poi penso che anche le più grandi band di sempre, vedi i Kiss o i Queen, sono state spesso tartassate da blasonate riviste e oggi sono considerate band di rilevanza planetaria, posso anche sentirmi più tranquillo e lasciar andare.”