Derek Sherinian – Un lavoro di squadra
Il 26/10/2020, di Dario Cattaneo.
Lo abbiamo detto anche in fase di recensione… la cosa che ci stupisce più dei dischi solisti di Sherinian è come essi sembrino degli strumentali di un chitarrista anche se sono composti da un notissimo tastierista! Abbiamo sentito l’uomo già dietro ai tasti di Dream Theater, Sons Of Apollo, Black Country Communion e innumerevoli altri su Zoom sul finire dell’estate per promuovere album, ma siamo finiti a parlare dell’incredibile lavoro di squadra e di alchemia che lui ha svolto nell’amalgamare gli stili dei vari partecipanti alla sua idea distintiva di album… Come detto da lui in una delle risposte, un lavoro quasi più da regista che da musicista…
Partiamo dal banale… ‘The Phoenix’ è il tuo ottavo album solista, e segue di ben nove anni ‘Oceana’, del 2011. Qual è il concetto che sta dietro questo nuovo lavoro, e come mai hai pensato che questo disgraziato 2020 fosse il momento giusto di rilasciarlo?
“Non so dirtelo, in realtà dopo nove anni ho pensato che fosse tempo. Mi sono mosso con le case discografiche per pubblicare un disco e una volta avuto in mano un contratto ho contattato Simon Phillips. In una settimana abbiamo scritto il grosso dell’album, almeno dal punto di vista delle idee. Poi c’è stato solo da occuparsi delle registrazioni e di trovare i chitarristi.”
Ecco, appunto. Per essere un disco solista di un tastierista, in ‘The Phoenix’ come negli altri tuoi lavori c’è davvero molta chitarra! Come mai questo fatto?
“Bumblefoot dice che io sono il miglior chitarrista che lui abbia mai avuto in una band… salvo per il fatto che suono le tastiere! Scherzi a parte, se si tratta di assoli, sono da sempre influenzato dai grandi chitarristi del genere, tipo Van Halen (R.I.P.), Allan Holdsworth, Malmsteen, Schenker e Rhoads. In effetti si sentono elementi estrapolati dal loro stile nel mio DNA. Penso di essere riuscito a prendere gli elementi che più mi piacevano dal loro modo di suonare, e averli processati con il mio strumento, creando un approccio abbastanza atipico”.
Penso che tu abbia ragione, ma il risultato alla fine è che come recensore mi sono trovato quasi più a parlare degli ospiti che di te! (ridiamo entrambi, ndr.). Volevo comunque fare una veloce carrellata su di loro, per poi capire come coordini i lavori e come scegli lo stile più adatto ad ogni composizione. Partiamo da Wylde, già presente su altri tuoi lavori… Che mi dici di lui in studio? Qual è la storia della vostra collaborazione?
“Beh, Zakk lo conobbi nel lontano 1989 alla Wembley Arena. Suonavo con Alice Cooper ai tempi, e lui era con Ozzy. Se non mi sbaglio furono loro a venire al nostro show… siamo amici da più di trent’anni! Su di lui posso dire che lo ritengo l’ultimo vero erede dei grandi chitarristi prettamente metal, l’ultimo seguace di quelli che ho citato prima, Van Halen, Rhoads e Malmsteen. Essere sul palco con lui è un esperienza incredibile, ha un suono talmente massiccio da confonderti! In studio è un vero professionista ovviamente, ma quello che stupisce è il modo che ha di preparare i suoi pezzi su tracce di altri… ascolta la traccia diverse volte, la suona, risetta il volume in input quasi al minimo e improvvisa diverse soluzioni. Quando arriva a qualcosa che lo soddisfa, è già pronto, e gli bastano giusto un paio di take! Strabiliante.”
Il vero pezzo da novanta qui è Steve Vai… come nasce questa collaborazione?
“Devo dire di essere felice di avercelo avuto su ‘The Phoenix’. Pensavo da subito che sarebbe stato perfetto per il brano che poi ha suonato effettivamente, ‘Clouds Of Ganimede’. La cosa curiosa che posso raccontarti è che spesso mi chiedono se è stato difficile adattare il mio stile tastieristico alla sua personalità ingombrante e funambolica… ma – ti dirò – per niente. Per me l’obbiettivo è sempre stato quello di essere udibile e riconoscibile con qualsiasi stile musicale, e quindi anche associarmi a un simile ‘guitar master’ per meè parte della mia missione. Semplicemente, era un aggiunta incredibile per un pezzo che adoro tutt’ora.
Degli altri che mi dici? Erano tutte le pedine che cercavi o hai dovuto cambiare i tuoi piani all’ultimo?
“No, direi che è andato tutto bene dal punto d vista delle collaborazioni. Una volta assicuratomi la collaborazione di Phillips alla pari con me sull’album come co-compositore, gli altri sono stati facili da sentire. Con Bonamassa parlavamo da tempo di quella canzone, ‘Them Changes’, e ovviamente è stata assegnata a lui. Anche Kiko lo avevo sentito in precedenza… prima del contratto diciamo. Aveva detto di voler fare qualcosa assieme, quindi sapevo avrebbe accettato. Gli altri come hai detto su sono amici…”.
Da quello che dici sembrerebbe che non sono tutte canzoni nuove, che c’era qualcosa nel cassetto da un po’…
“No, ti sbagli. Sono tutte nuove composizioni. Ok, ‘Them Changes’ no, ma è un cover e appunto ci piaceva da tempo. Per le altre, anche se c’era un idea di collaborazione non avevo ancora scritto nulla… è stato fatto tutto in quelle sessioni con Phillips di cui ti dicevo. Se c’è qualcosa di più ‘vecchio’ non credo che andiamo più indietro di 18 mesi.”
Vorrei chiudere il punto che avevo aperto con una delle mie prime domande però… come scegli lo stile più adatto ad ogni composizione? Come li dirigi, se lo fai? O gli lasci libera interpretazione delle tue idee?
“Direi che dipende da ogni volta. Parto dal concetto di chi suonerà, ma poi vado avanti con la mia idea e il mio stile, confidando che capiranno e si adegueranno. Penso di costruire un album come un film: le canzoni sono le scene. Ogni scena è lavorata a sé, ma c’è una linea comune. Per rispondere più nel dettaglio, io mando la struttura base della canzone e un’idea di melodia portante. Poi il resto è libero, soprattutto le improvvisazioni. Io creo un paesaggio che nella mia testa valorizza i loro elementi caratteristici, cercando magari di variare un po’ il contesto. Ma i dettagli sono in carico a loro”.
Andando verso la conclusione della nostra chiacchierata… mi sembri soddisfatto di quest’album. Eppure, ci hai messo nove anni a deciderti a registrarlo. A parte la politica risposta ‘era tempo’ qualcosa ti tratteneva da fare un simile lavoro? Immagino che comunque la tua agenda sia sempre piena, qundi potrebbe essere questo uno dei motivi…
“Bah, in realtà è anche un discorso economico e di vendite. Con tutto il fatto di scaricare da internet, le vendite sono calate su tutti i tipi di release. Non importa la qualità, se lo puoi scaricare, le vendite diminuiscono e punto. Per un bel po’ ho pensato che non avesse senso proporre una formula, l’album strumentale, che già di suo faceva meno vendite che un album per dire dei Sons Of Apollo. Alla fine ho inghiottito l’amaro boccone e ho registrato questo. Pazienza se ci pagherò a malapena la pizza nel weekend, erano canzoni che dovevano vedere la luce. E ti dico, alla fine sono felice. Posso dire che questo è veramente un lavoro voluto da me, non contaminato da necessità o motivazioni esterne al solo farvi sentire la mia musica.”