Necrophobic – In Black Metal We Trust
Il 12/10/2020, di Nick Guglielmi.
In un panorama musicale nel quale a partire dai primi anni Novanta i gruppi death e black metal sono cominciati a moltiplicarsi un po’ ovunque, forse i Necrophobic hanno faticato fin troppo a emergere dalla massa e crearsi uno spazio al sole (o nelle tenebre, a seconda dei punti di vista). Eppure la band svedese, che figura tra le primissime ad attivarsi (il notevole album d’esordio ‘The Nocturnal Silence’ è datato 1993), si distingue eccome dalla massa, principalmente per tre elementi distintivi: capacità compositive non indifferenti, produzioni e suoni brutali ma allo stesso tempo puliti, per non dire della elevatissima coesione degli strumentisti. E poi ci sono gli assoli, ma di quelli parleremo in modo approfondito nell’intervista.
Altra caratteristica moooooolto rara da riscontrare in band con una “storia” così lunga alle spalle è la qualità dell’output musicale, che nel caso dei Necrophobic, tra picchi di eccellenza e qualche (relativo) rallentamento, si è sempre mantenuta a livelli decisamente elevati, se non elevatissimi. Spesso e volentieri abbiamo assistito alla proverbiale parabola di gruppi simili, partiti col botto ed entrati in fase declinante nell’arco di poche release, costretti spesso e volentieri ad auto-clonarsi con release fotocopiate pescando dal proprio catalogo storico, mentre i Necrophobic stanno attraversando una fase di decisa ascesa, alimentata dal ritorno dei due chitarristi Sebastian Ramstedt e Johan Bergeback, entrambi rientrati nella band nel 2016 a seguito di una “pausa di riflessione” di ben cinque anni. Infatti, non casualmente gli ultimi due album, l’ottimo ‘Mark Of The Necrogram’ del 2018 e la nuovissima release ‘Dawn Of The Damned’ rappresentano un deciso ritorno alla migliore forma, dopo il discreto ma in parte deludente ‘Womb Of Lilithu’ del 2013.
Il nostro interlocutore del giorno è Sebastian, autore di gran parte della musica e dei testi di ‘Dawn Of The Damned’, che ci ha tenuto compagnia da una stranamente calda e soleggiante Stoccolma in un giorno di settembre…
Allora Seb, cosa significa portare avanti il lavoro di una band come i Necrophobic nell’era del COVID?
“Mah, a dire il vero siamo stati fortunati perché quando è scoppiata l’emergenza noi avevamo già finito di registrare tutto il materiale, quindi in realtà abbiamo avuto un sacco di tempo in più da dedicare al mixing ed in generale per renderlo esattamente come lo volevamo… In uno scenario normale noi saremmo stati “on the road”, soprattutto nei weekend, quindi il missaggio sarebbe avvenuto durante il tempo rimanente, durante la settimana, ma in questo modo abbiamo potuto fare le cose con calma. Sul piano personale ovviamente non è stato il massimo stare tutto quel tempo a casa, tra l’altro nella mia famiglia abbiamo avuto tutti quanti il COVID, quindi è stato un periodo non facilissimo.”
Parliamo un pochino di musica. La cosa che mi ha sempre colpito dei Necrophobic è che la gente fa sempre fatica a decidere se catalogarvi come death metal oppure come black metal, mentre alle mie orecchie i Necrophobic sono una metal band in primis, con enormi influenze death & black. Quello che voglio dire è che al di là dello stile del singing e dei ritmi velocissimi, i Necrophobic mi ricordano di più i Judas Priest che non gli standard del black metal.
“Questo è verissimo! Non ci sono dubbi che, all’inizio degli anni Novanta, i Necrophobic hanno esordito come una band death metal, poi a partire da ‘Darkside’ nel 1997 sono cominciate a farsi sentire molto di più le influenze black metal. Quando compongo non sono minimamente ispirato dal metal estremo, bensì dall’heavy metal classico, oppure addirittura dal “L.A. metal” e quei fantastici chitarristi. In termini di struttura delle canzoni, noi cerchiamo di applicare sempre la formula “Accept”: verse – bridge – chorus – guitar solo – bridge – chorus, che tra l’altro rende le canzoni appetibili dal vivo anche per ascoltatori non familiari con la nostra musica. Il mio lavoro alla chitarra poi è lontanissimo dai canoni del death e black metal, e molto più allineato allo stile tipico dell’heavy. Noi non inseriamo assoli solo perché lo richiede la struttura del brano, lo facciamo perché l’assolo deve trasportare una certa melodia o un’atmosfera che è importante per il brano considerato. Per noi è importante che l’ascoltatore sappia cosa aspettarsi quando compra un nuovo album dei Necrophobic, non vogliamo deluderli, devono sapere che riceveranno la qualità che ci contraddistingue; allo stesso tempo, man mano che evolvo e cresco come musicista, ci saranno sempre nuovi elementi che entreranno nella musica che facciamo, seppure all’interno della nostra tipica formula. Io personalmente cerco di imparare qualcosa di nuovo ogni giorno e di migliorarmi, e questo poi si riflette nella musica che compongo.”
Certo che il rovescio della medaglia di pubblicare un disco nuovo con tutta calma nell’era COVID è che purtroppo non potete portarlo “on the road”, o almeno non immediatamente.
“Guarda, paradossalmente secondo me è il momento perfetto per pubblicare un album: la gente ha bisogno di sentire qualcosa di nuovo! Quando le frontiere e i locali sono tutti aperti e accessibili il mercato viene inondato di band in giro a fare tour e c’è tanta musica là fuori da andare a vedere. Certo, a noi dispiace non poterlo suonare dal vivo, ma allo stesso tempo riteniamo che la gente sta a casa e ha tempo a disposizione per dedicarsi ad un ascolto attento delle nuove cose che escono, quindi sotto questo aspetto il tempismo è perfetto.”
Alla luce del recente concerto dei Behemoth in streaming live, forse questa potrebbe diventare una nuova formula spero non sostitutiva dei concerti dal vivo, ma magari come elemento di integrazione per situazioni particolari come quella che stiamo vivendo.
“In realtà noi siamo stati tra i primi a fare un concerto in streaming live, a marzo 2020. Avevamo preparato tutto alla perfezione, ma purtroppo a pochi minuti dall’inizio del concerto ha smesso di funzionare un hard drive, quindi è venuto a mancare l’impianto video! Per fortuna invece l’audio non ne ha risentito. Il concerto è andato in onda con le riprese da un telefonino, ma il suono era perfetto, tant’è vero che alcuni dei brani registrati in questa sede sono stati inseriti come extra tracks nell’album nuovo. Chiaramente nessuno sa come si svilupperà la situazione di questa pandemia, certo è che se la situazione rimane critica anche nel 2021, allora dovremo per forza organizzare altri live streaming simili a quello fatto a marzo, sperando che funzioni tutto!”
Parlando del nuovo album ‘Dawn Of The Damned’, mi sembra di capire che il tuo ruolo nel processo compositivo sia di rilevanza, per usare un eufemismo.
“La musica l’ho scritta integralmente io, ad eccezione di cinque riffs di ‘The Infernal Depths Of Eternity’, contribuiti da Anders (Strokirk, vocals) e Johan (Bergeback, guitars). Anche i testi sono tutti miei, a parte una canzone e mezza. Questo era il caso anche per il penultimo album ‘Mark Of The Necrogram’, che ho scritto io quasi per intero. Quando ho del materiale pronto lo condivido via internet con gli altri e da lì avviamo le nostre discussioni interne sugli arrangiamenti, integrazioni e quant’altro; si può quindi dire che io sia l’istigatore che avvia il processo. Per me è molto importante essere da solo nella fase compositiva perché altrimenti rischio di perdere focus e magari comincio a dubitare della bontà di quello che sto facendo. Solo quando ho terminato e sono confidente di avere in mano una creazione che mi soddisfa, mi sento pronto per condividere e discutere con gli altri.”
In relazione ai temi affrontati in ‘Dawn Of The Damned’, ho visto che tu fai spesso riferimento al concetto di “lucid dreaming”, che confesso non sapere cosa sia: di cosa si tratta?
“Questo è un concept album, è un album che affronta il tema del cambiamento, del terminare la vita per come la conosci e di addentrarsi nell’ignoto e nel buio, per vedere cosa si possa trovare dall’altra parte. Ho attraversato una fase molto difficile nella mia vita, caratterizzata da depressione e altri fattori fortemente negativi… Un paio d’anni fa ho dovuto quindi fare dei cambiamenti molto importanti nella mia vita.”
A me non sembri affatto una persona “negativa”…
“Infatti, non lo sono, ma la vita mi ha condotto in un posto dove non volevo più trovarmi, ovviamente in parte è stata colpa mia ma spesso anche le persone che ti circondano e con le quali interagisci ti portano in determinati posti, e ad un certo punto non sapevo più come uscirne. Sentivo che questo mio desiderio di abbandonarmi e di affrontare una volta per tutte l’oscurità e le mie paure poteva rappresentare un concept adatto al nuovo album, ma allo stesso tempo chiaramente non volevo scriver un album che si occupasse di mie esperienze personali. Allora ho fatto riferimento a miei vecchi scritti dai tempi in cui mi esercitavo in “dark magic”, rituali e “lucid dreaming”, che è un tipo di sogno in cui tu riesci a prendere il controllo di quello che succede nel sogno. Quando tu stai sognando, se riesci a prendere coscienza del fatto che stai sognando durante il suo svolgimento, allora puoi prendere il controllo ed agire attivamente nell’ambito del sogno stesso. La capacità di fare questo la puoi acquisire attraverso la meditazione. Chiaramente nel sogno le regole della vita reale non si applicano, quindi tu puoi fare quello che vuoi in questo mondo dei sogni. Prendere controllo del tuo subconscio in questo modo può alterare e migliorare la tua vita perché puoi affrontare problemi e paure nel tuo sonno. Questo fenomeno unito ai recenti cambiamenti della mia vita rappresentavano quindi insieme un concetto molto interessante di come si possa prendere controllo della propria vita, ma allo stesso tempo ci si possa lasciare andare e scendere nel profondo del subconscio, senza sapere come o quando tornare indietro, ma prendendo pieno controllo e possesso della propria vita, dei propri sogni e della propria anima. Ecco, l’album parla di tutto questo.”
Tornando a questioni più terrene, il tuo modo di comporre e suonare è chiaramente fuori dagli schemi quando raffrontato con altri chitarristi di bands death e black metal, molte delle quali peraltro non fanno neanche uso di assoli! Quali sono le tue principali influenze?
“Jake E. Lee, primi Scorpions, Warren De Martini dei Ratt, George Lynch, Eddie Van Halen…”
Chiaramente tutti chitarristi estremi! Probabilmente questo deriva dal fatto che ai tempi nostri non c’erano tutte queste “settorizzazioni” dei diversi generi metal, quello che c’era te lo ascoltavi…
“Esattamente. Nel 1983 e 1984, quando ho scoperto l’hard rock e l’heavy metal, non c’era distinzione tra Motorhead, Ratt, Bathory e Iron Maiden…non mi vergogno di confessare che sono capace di ascoltarmi tutta la discografia dei Dokken un giorno e di fare lo stesso con quella dei Bathory il giorno dopo!”
Okay, siamo agli sgoccioli: altre cose da aggiungere prima che ci congediamo?
“Certo! Spero che la gente che ascolterà il nuovo album gli dedicherà il giusto tempo e la giusta attenzione, perché ogni volta che lo ascolti potrai cogliere nuove cose che ti erano sfuggite la volta precedente, ci sono tante cose da esplorare e trovare in ‘Dawn Of The Damned’…”