Lionville – La magia dell’AOR
Il 08/09/2020, di Alessandro Ebuli.
I Lionville sono una band in grado di trasportarci alle sonorità AOR e West Coast degli anni Ottanta che con il nuovissimo ‘Magic Is Alive’ giungono al traguardo del secondo album per Frontiers. Un sodalizio tutto italiano che sta riscuotendo un grande successo di pubblico. Scambiamo qualche parola con Stefano Lionetti, deus ex machina del combo genovese.
Ciao Stefano. È evidente il tuo amore per il genere AOR e West Coast, oltre che per il rock melodico. Quando hai capito che questo stile musicale sarebbe diventato il fulcro del tuo futuro come musicista?
Ciao Alessandro, grazie a te! Ascolto questo genere musicale da quando ero un bambino, grazie all’indottrinamento di mio fratello maggiore Alessandro. Già a 12 anni (nel ‘92) iniziavo a scrivere brani ispirati ai Bad English, ai Toto o ad altri artisti del genere. Più avanti ammetto di aver tentato la strada del pop senza però ottenere i riscontri che speravo ed è solo nel 2010 che ho accarezzato l’idea di mettere in gioco la mia vera natura musicale mettendo in piedi un progetto AOR. Devo ringraziare chi mi ha aiutato sia a convincermi che la cosa fosse possibile, sia a concretizzare il piano che avevo in mente credendo nelle mie canzoni e cioè mio fratello, Alessandro Del Vecchio e Pierpaolo “Zorro” Monti.
Il 7 agosto scorso avete pubblicato il nuovo album ‘Magic Is Alive’. Parlami dell’esperienza in studio per le registrazioni dei nuovi brani e quale approccio avete adottato per le sessions…
I brani sono stati scritti tra il 2018 e il 2019. Le registrazioni si sono svolte perlopiù a distanza: dapprima la parte ritmica (basso e batteria) ognuno presso il proprio studio, poi tastiere che erano già state abbozzate in fase di pre-produzione e poi le chitarre. Lars ha registrato buona parte delle parti vocali cantando sui demo, anch’egli nel proprio studio svedese. Successivamente Giulio Dagnino si è occupato della fase di editing e del mix. Il mastering è stata opera dello Zerodieci Studio di Genova. Non sono mancati tuttavia momenti in cui io e Fabrizio Caria (nostro nuovo tastierista) ci siamo trovati a scrivere (‘I’ll Never Give My Heart Away’) o ad arrangiare le parti di piano. La fase di registrazione è sempre particolarmente eccitante, in particolare l’attesa per le voci di Lars (che ha cantato basandosi sulla mia traccia vocale) è sempre qualcosa di speciale.
C’è un album su tutti che ti dona emozioni particolari, quello che vorresti avere scritto tu, quello che ti ha spinto a diventare un musicista?
Difficile menzionarne uno solo. Ma se proprio devo scegliere, opto per ‘The Seventh One’ dei Toto. È quello che più di tutti mi ha avvicinato alla musica anche suonata e che incarna tutte le caratteristiche che un prodotto musicale dovrebbe avere, secondo i miei canoni: melodie top, esecuzioni magistrali, arrangiamenti curati, suoni giusti, classe e gusto. Ma per un fatto affettivo, lasciami dire anche ‘Into The street’ dei ‘Boulevard’. Mi emoziono ancora moltissimo quando lo ascolto, è un disco paragonabile a pochi nel suo genere.
Vivere in una città come Genova ha in qualche modo ostacolato la tua possibilità di dedicarti alla musica?
Milano avrebbe forse offerto di più, in termini magari di collaborazioni. Ma sono cresciuto a Genova (con parentesi universitarie e Firenze e Padova) e non ho colto il gap, non avendo vissuto a Milano. Quindi tutto sommato non so come sarebbe potuto essere, svilupparsi artisticamente in quella città, forse meglio, ma magari no. Uno dei miei principali obiettivi, musicalmente parlando, era costruire un’identità artistica afferente al mondo Melodic Rock/AOR e questo è ormai un traguardo raggiunto, per fortuna.
Nello specifico del nuovo album ho trovato una particolare freschezza nelle composizioni, cosa ormai rara in questo genere musicale fin troppo abusato. Quando hai iniziato la stesura dei nuovi brani, hai volutamente puntato su uno stile che seguisse in qualche modo il tuo scrivere “classico”, passami il termine, oppure ti sei affidato al cosiddetto “stream of consciousness” che poi evidentemente ti ha riportato sempre nei territori dell’AOR?
Grazie Alessandro! Diciamo che quando mi siedo alla tastiera o prendo in mano la chitarra le cose arrivano da sole. Talvolta le idee nascono anche quando sono in macchina, o sto passeggiando e devo “fermarle” prima che sia troppo tardi… Certamente alla fine ricado sempre sul genere che amo e che mi viene più immediato scrivere, in certi casi ho cercato di arricchire i brani con qualcosa di non del tutto convenzionale o inaspettato, con l’obiettivo di non annoiare chi ascolta. Ma sì, credo emerga chiaramente come questo quarto album sia la naturale evoluzione dei precedenti, e che rispetti l’identità dei Lionville, pur nel suo essersi evoluto.
Parlami dei tuoi rapporti con Frontiers, una casa discografica tutta italiana che vanta nomi illustri del panorama musicale internazionale. Come è nata la vostra collaborazione?
Dopo il secondo album c’è stata una lunga pausa di riflessione, in cui mi sono limitato a scrivere brani senza certezze riguardo al futuro artistico di Lionville. Ma, complice l’ormai inaridito rapporto con la precedente etichetta, accarezzavo l’idea di proporre il mio nuovo materiale a Frontiers. Così ho fatto nel 2015, inviando loro due nuovi demo cantati da Lars. Serafino Perugino ha immediatamente accettato di buon grado e nei primi mesi del 2016 abbiamo firmato il contratto. La sensazione è di essere entrato a far parte di un’etichetta seria, professionale, il top per chi ama il nostro genere. Lo considero un altro importante traguardo raggiunto.
Siete arrivati al quarto album in dieci anni. Come ti vedi tra altri dieci?
A dire il vero non so come mi vedo fra un mese, quindi sarà dura rispondere (ride, ndr.). Di certo mi vedo a continuare a scrivere, uno dei miei principali obiettivi è quello di piazzare brani su progetti sempre più importanti, o di produrne di nuovi. Riguardo a Lionville non saprei dire per certo, mi auguro che il progetto continui, dipenderà molto dalla volontà di tutte le parti coinvolte. Mi piacerebbe molto (anche prima di dieci anni) l’idea di un progetto strumentale, è sempre stato il mio sogno!
Come nella maggior parte dei casi fare musica non è la tua attività principale. Se ricordo esattamente tu sei uno psicologo e lavori per l’azienda sanitaria genovese. Mi chiedo come tu riesca a coniugare il tuo delicato lavoro con una parallela attività musicale, peraltro brillante e in crescita…
Sinceramente me lo chiedo anch’io (ride, ndr.). Non è facile. Anche perché se mi occupo di qualcosa cerco sempre di farlo al meglio delle mie possibilità, ma quando il fattore tempo non ti sorride diventa tutto più difficile. Il segreto, oltre alla disponibilità e al supporto dei familiari, sono la grande passione (se non facessi musica probabilmente crollerei…) e la capacità di ottimizzare i tempi; sai che in tre ore devi scrivere e arrangiare un brano: ok, rimbocchiamoci le maniche! A volte penso a quello che avrei realizzato e raggiunto se avessi dedicato la maggior parte del mio tempo interamente alla musica, ma è il prezzo da pagare. In merito al mio lavoro principale, come ho detto altrove, mi piace pensare che in entrambi i casi, da musicista e da psicologo lavoro con le emozioni delle persone…
Sono trascorsi tre anni dalla pubblicazione di ‘A World Of Fools’. Cos’è cambiato da allora?
Intanto abbiamo un nuovo tastierista: Fabrizio Caria, si è inserito alla grande nella band sia come musicista (degna di nota la sua partecipazione al Frontiers Rock Festival del 2017) che come compositore (ha scritto con me il secondo singolo ‘I’ll Never Give My Heart Away’). Poi ho consolidato il rapporto di lavoro con Giulio Dagnino (bassista) il quale per l’ultimo album si è occupato anche del mix, peraltro con ottimi risultati. In generale, direi che la band oggi è più matura sotto vari punti di vista.
Se escludiamo questo annus horribilis dal quale speriamo di uscire presto e tornare alla normalità, avete pensato ad un tour?
Domanda che tocca un nervo scoperto… Dopo l’uscita di ‘A World Of Fools’ abbiamo ricevuto diverse proposte per date, tour, festival, ma per vari motivi non siamo riusciti a partecipare. Io ci penso spesso (al netto del Covid ovviamente) e sarebbe uno dei miei sogni rimasti parzialmente nel cassetto. Molto dipenderà anche dalla disponibilità del nostro cantante Lars.
Nel ringraziarti per il tempo che hai dedicato a Metal Hammer, prima di salutarti un’ultima domanda secca. Qual è il prossimo step?
Correre in studio prendere la chitarra e scrivere al più presto il nuovo pezzo che ho in testa, se no perdo l’ispirazione!
Ciao Stefano, mi auguro di rivederti al più presto on stage!
Grazie a te per l’interessante intervista e un saluto a tutti i lettori di Metal Hammer!