Shining Black – La musica per sé stessi
Il 24/08/2020, di Dario Cattaneo.
Con ventiquattro anni di carriera alle spalle, Olaf Thorsen può a ragione essere considerato come una delle figure più pioneristiche del metal italiano. Forte del ruolo di principale compositore per realtà affermate come Labyrinth e Vision Divine, ed adesso al timone anche dei nuovi Shining Black, il bravo chitarrista può veramente dirsi soddisfatto di quanto fatto in due decenni e mezzo di militanza sulla nostra scena preferita. Scopriamo quindi con lui qualche retroscena sul nuovo progetto targato Frontiers, per poi arrivare a discutere anche di una scena – quella metal italiana – che in 24 anni si è stravolta al punto da essere quasi irriconoscibile…
Be’, vista questa situazione di lock-down da poco finita… cominciamo col fare il punto della situazione. Come hai vissuto tu personalmente questo periodo di merda? Il blocco delle attività live, l’impossibilità a trovarsi… ha avuto impatti sulle tue band?
“Che devo dirti.. l’ho vissuto di merda, penso come tutti. Rimanendo sul discorso delle band, ovviamente è saltato tutto. Tutto quello che era organizzato per il 2020 è stato cancellato come col panno sulla lavagna, e anche fare discorsi per il 2021 adesso come adesso è un azzardo perché non sapremo assolutamente che cosa succederà. Siamo fuori, ma sul futuro c’è nebbia fonda, quindi non so nemmeno dirti quando inizieremo anche solo a pensare a qualcosa per quanto riguarda la promozione o l’attività live. Ma, ovviamente, non è solo un discorso musicale o professionale questo della pandemia… c’è gente che ci è morta, e in tanti sono vivi ma hanno subito perdite e lutti gravissimi. Anche gente che conosco, te lo dico subito, e quindi non posso sottovalutare la gravità di tutto questo dal punto di vista umano. So che gente che magari non è stata toccata, che non ha perso ‘niente’ diciamo, sbuffa per via delle date o dei concerti annullati, ma per chi è stato toccato chiaramente è peggio…”
Chiaramente sulla questione personale non indago, ma sulla questione diciamo economica credo che siamo concordi che l’industria musicale è stata tra le categorie più colpite…
“La più colpita, mi sento di dire. E non solo musicisti che – oramai lo sappiamo – dei proventi dei tour oramai ci campano. C’è tutto quello che ci gira intorno da considerare. I promoter, gli organizzatori, gli addetti ai lavori… gli stessi proprietari dei locali! Gente che hanno solo il locale, il ristorante, e che devono fare? Non ci sono prospettive nel futuro visibile… possiamo solo aspettare. Posso solo dirti che la ‘normalità’, per quello che vorrà dire questa parola in seguito, per noi è ancora molto lontana…”
Non posso che concordare con te. Ma passiamo al motivo che ci vede qui al telefono in questa serata… gli Shining Black. Un nuovo nome di band per due nomi d’artista che tanto nuovi non sono! Come è nata questa collaborazione tra pezzi da novanta come te e Boals?
“Guarda, anche se in tanti pensano che le radici – o addirittura le canzoni – di questo progetto affondino nel periodo di instabilità dei Labyrinth, quando nel 2014si presero contatti appunto con Mark per sostituire Roberto (Tiranti, ndr.); be’, posso dirti che questa cosa è sbagliata. Shining Black è nato in maniera molto più casuale. Io in realtà stavo lavorando a un progetto solista. Già, proprio così, avevo sentito Elio di Frontiers per parlare con lui della possibilità di uscire con un disco che riportasse il mio nome, e che fosse totalmente, o almeno in predominanza, strumentale. Quindi sulla base di questa mia intenzione, Elio e gli altri alla label ascoltarono il materiale che gli mandai e gli piacque, ma mi chiesero come mai avessi deciso di lavorare senza cantanti. Boh, avendo già due band con vocalist grandissimi sul momento non mi era sembrato necessario… ma la domanda di Elio mi mise la pulce nell’orecchio. Siccome anche Mark era un artista Frontiers, mi vene proposto di inserire anche lui nel quadro che si stava delineando… e ci pensai seriamente. Se hai in mano il disco, hai capito come è andata a finire, no?”
Già! E quindi hai riadattato i tupi pezzi inizialmente strumentali trasformandoli in brani che invece prevedessero delle linee melodiche e avessero una struttura più adatta a brani cantati?
“No. In realtà, dopo aver ricontattato Mark per sentire se aveva voglia di fare qualcosa con me sotto Frontiers e aver ricevuto il suo assenso, abbiamo riscritto tutti i brani assolutamente da zero. Mark non ha una voce che si può adattare a brani già scritti, la linea melodica deve partire da lui, non ce lo puoi appiccicare sopra. E poi come hai supposto, brani strumentali non presentano una struttura adatta a canzoni appartenenti a un genere come quello che poi abbiamo scelto, quindi non si potevano tenere o riadattare. Le canzoni che ascoltate sono tutte nuove, e non c’è nemmeno un brano che arriva dal 2014 quando si parlò della entrata di Mark nei Labyrinth. Niente, le canzoni di Shining Black sono nate e pubblicate qui.”
Però un po’ di marchio Labyrinth lo si sente…
“Be’, che ti devo dire con Labyrinth e Vision Divine scrivo da vent’anni… volente o nolente, il mio stile si sta un po’ cristallizzando, e quindi è chiaro che senti la mia mano su brani comunque composti da me. Ma sono felice di questo, mi sembra un evoluzione naturale. Però riconoscerai che al di là della mia mano appunto, genere e sonorità sono un po’ diverse. Non abbiamo scelto un genere devo dirti, non abbiamo detto così a tavolino: ‘facciamo un disco melodic metal’, ma quando abbiamo parlato delle coordinate musicali che il progetto avrebbe dovuto seguire eravamo concordi che non si sarebbe dovuto trattare di qualcosa di troppo simile ai Labyrinth. Abbiamo escluso quindi qualcosa che calcasse troppo su quell’incrocio di power metal e neoclassico che potessero ricordare da vicino le mie band o Malmsteen, decidendo di puntare invece sulle melodie. Ecco, abbiamo lavorato abbiamo lavorato molto su quello – sulle melodie – sia vocali che di chitarra. Quello che si è creato è qualcosa di meno veloce, meno basato sulla doppia cassa o sul riffing serrato, e che direi pesca tanto dall’hard rock quando dai lidi metal in cui entrambi noi due siamo nati. Ecco, Shining Black lo vedo un po’ così.”
Ora sei anche tu un compositore Frontiers per così dire… avrai notato che ci sono un manipolo di penne illustri che scrivono le canzoni per progetti con vari cantanti. Mi vengono in mente Mularoni per Lione/Conti, Magnus Karlsson per i primi Allen/Lande, o LoNobile per Sweet Oblivion con Geoff Tate… Pensi che anche tu comporrai qualcosa per un progetto tipo questi, in futuro?
“No. Ti rispondo secco non perché la domanda mi ha fatto incazzare ma perché non mi sento un compositore di quel tipo. Shining Black veniva da me, e sono comunque canzoni che ho scritto per me, così come faccio nei Labyrinth o nei Vision Divine. Non mi sento di poter scrivere brani che poi vadano su un progetto che riguarda altri nomi, non è la mia natura. Magari non si riesce a vedere subito la differenza, ma se ci pensi c’è. Shining Black siamo io e Boals, è stato un onore lavorare con lui, ma in fondo questo disco non è stato scritto per un altro cantante. È stato scritto per una mia band, e poi un bravissimo cantante l’ha cantato. Ma, ecco, non ho scritto dei brani per lui, è stata una collaborazione tra due artisti. È diverso. In realtà in passato ho scritto un paio di brani per qualcun altro, si trattava di qualche canzone per Kiske che poi è finita su un album Place Vendome, ma si trattava di un pugno di pezzi… non certo un album intero.”
Certo, ne capiamo bene la differenza. Visto che siamo su discorsi generali, vorrei rimanerci… Senti, io ti sentito la prima volta nel ’96, 24 anni fa, su ‘No Limits’. Il metal da allora è cambiato tanto, facendo questo lavoro come giornalista l’ho visto cambiare. Tu ti senti cambiato con lui? O per contro hai tenuto il timone dritto e sei sopravvissuto a questo mare in tempesta? Come ti senti nel riguardo a una scena che non ha apparentemente più niente a che spartire con quella con la quale avevi iniziato?
“Che domanda complicata! Ti do ragione sui presupposti, quando dici che è cambiato tutto. È cambiato tutto però soprattutto a livello di percezione, nel fan, nel pubblico. Ora il pubblico ascolta la musica in una maniera completamente diversa da quella che erano gli anni centrali del decennio del Novanta. E di conseguenza è cambiato il motivo per cui si fa musica. Le band dei nostri tempi erano le band che si formavano in sala prove, che macinavano chilometri per suonare in localini, in giro per l’Italia… e lo si è sempre fatto per divertimento. Qualcosa lo guadagnavi dai dischi, il viaggiare, il tour almeno per i miei tempi era in larga parte divertimento… mentre ora l’approcciò è un po’ girato. Non riesco in sincerità ad entrare veramente addentro al mondo totalmente digitale di adesso, proprio perché si sono girate le cose che ritenevo importanti e quelle che ritenevo divertenti. Per me, la figata massima era andare in sala prove, jammare con i compagni, lavorare alle canzoni… il momento del giudizio, dell’album pubblicato, del parere del pubblico era invece la parte che mi piaceva di meno. Necessaria, ma non interessante. Adesso, appena si fa una canzone la si pubblica, tutti la giudicano ti dicono se per loro è bella o no. La gente al concerto è li per vedere come la suoni, mentre per me essere sul palco rappresenta ancora il fatto di divertirmi con il pubblico, non essere li per essere giudicato. Quindi: come sono sopravvissuto a questa scena così mutevole? Sono rimasto me stesso. Ho tirato avanti con quello che credevo, continuano a piacermi le stesse cose e continuo ad essere felice delle mie canzoni. Non cerco molto altro, ed è forse per quello che anche se ora la scena è così diversa sono ancora qui. Almeno, così penso.”