Nero Or The Fall Of Rome – Roma brucia ancora
Il 28/07/2020, di Stefano Giorgianni.
Ne è passato di tempo dal 64 d.C., da quando nella notte tra il 16 e il 17 luglio le fiamme hanno avvolto la Città Eterna in un incendio i cui segni sembrano essere rimasti ancora oggi, con l’odore di cenere e carcasse putride a intridere l’aria della nostra capitale. E in questo funesto 2020, un gruppo dalla forma nuova ma dall’essenza antica, ci ha riportato a quasi duemila anni fa, grazie a un primo album di grande pregio. Stiamo parlando dei Nero Or The Fall Of Rome e del disco ‘Beneath The Swaying Fronds Of Elysian Fields’. Abbiamo colto l’occasione per scambiare quattro (un po’ più di quattro, a dir la verità) chiacchiere con il frontman Federico “V.”, spaziando dalla nascita della band al contenuto dei brani, dalle influenze alle grandi passioni per la montagna e il metallo nero…
Ciao ragazzi! Benvenuti su Metal Hammer Italia. È un piacere ospitarvi sulle nostre pagine. Prima di tutto, partiamo con la domanda di rito: come vanno le cose? Data la situazione, non è certo una domanda scontata…
Ciao Stefano, non possiamo e non dobbiamo lamentarci. La situazione è decisamente dura. Tutti i settori sono stati colpiti duramente. Difficile analizzare la situazione oggettivamente e da un punto di vista globale, si rischia di scontrarsi contro un muro di pessimismo e previsioni basate sul fantasma della recessione. Sarebbe bello poter dire che questo avvenimento storico possa portare a sviluppare una coscienza collettiva ma per come siamo abituati a vivere la nostra vita, basata sul consumismo sfrenato e sullo sfruttamento delle risorse in nome di una crescita economica forzata, ne dubito fortemente. Musicalmente, è un cane che si morde la coda. Come il novanta percento delle band che hanno fatto uscire il proprio album in questo periodo o lo faranno nell’immediato futuro, speravamo di poterlo promuovere facendo dei concerti, anche se devo ammettere che siamo molto soddisfatti del lavoro svolto dalla nostra etichetta discografica (la finlandese Naturmacht Productions) e dai riscontri più che positivi con cui l’album è stato accolto dalla stampa specializzata. Ti ringrazio quindi per lo spazio concessoci su Metal Hammer Italia.
Iniziamo dal principio. I Nero Or The Fall Of Rome nascono dai Riul Doamnei, storica band black metal attiva oramai da più di vent’anni. Cosa vi ha spinto a dare vita a questo progetto alternativo? Ammesso che possiamo definirlo tale…
Sebbene nella formazione siano presenti 3/5 dei membri dei Riul Doamnei, possiamo definire questo progetto semplicemente come un’altra band, nata dalla voglia di esprimerci su un fronte totalmente diverso. Le esigenze artistiche si fanno sentire, soprattutto dopo vent’anni di attività. Uno sfogo in cui incanalare tutte quelle influenze che hanno formato la nostra prima formazione musicale. Invecchiando si sente spesso l’esigenza di tornare alle proprie origini, spinti anche dalla nostalgia dei primi ascolti adolescenziali. Il non dover preoccuparsi di sottostare ai dogmi di un genere ben preciso e la libertà di comporre seguendo l’istinto e un’attitudine volta a un diverso scopo.
Vorrei subito concentrarmi sul nome della band: Nero Or The Fall Of Rome. Potete spiegare il motivo della scelta?
Il nome della band si ispira all’omonimo capolavoro del cinema muto diretto da Luigi Maggi nel 1909. Personalmente volevo rappresentasse la decadenza della società contemporanea. Roma intesa come simbolo del potere politico e religioso, oramai triste paragone di corruzione e di una cultura svenduta in nome del consumismo e di valori divenuti obsoleti, calpestati e strappati alla storia. La caduta della società, per come siamo abituati a conoscerla, potrebbe essere vicina o, semplicemente considerando i cicli della storia dell’uomo, prima o poi inevitabile.
Rimanendo sulla figura di Nerone. Vi chiedo cosa rappresenta per voi la figura di questo discusso imperatore, soprattutto alla luce delle numerose controversie che lo vedono protagonista da oramai centinaia di anni…
Chiaramente, è difficile esprimersi sulla figura di Nerone in modo preciso, sappiamo che le fonti storiche non possono essere considerate certe e del tutto affidabili, molto spesso volte alla propaganda politica o, viceversa, edulcorate per scopi ben precisi. Come hai giustamente sottolineato, le controversie sono tutt’altro che risolte e gli storici stessi sono ancora discordi sull’argomento, sebbene in parte abbiano cercato di riabilitarne la figura, tuttavia gli scritti di Seneca offrono certamente una visione chiara sulla natura folle e crudele di questo despota. Tornando alle origini del nostro nome, intendiamo considerare Nerone come l’incarnazione della decadenza e della dissolutezza di Roma, se vogliamo, la personificazione della stessa. Un concetto che ancora una volta ben rappresenta l’epoca in cui viviamo. Ennesimo simbolo di corruzione e distruzione, il fuoco che ha incenerito la città eterna e che tuttora ne minaccia la sopravvivenza. La storia insegna mentre l’uomo non impara mai.
Affondiamo un po’ nella carne viva dei Nero Or The Fall Of Rome. Ascoltando il disco, ho sentito influenze di grandi band, che sicuramente vi accompagnavano già con i Riul Doamnei, ma che qui forse si fanno più robuste. Parlo di Darkthrone, Bathory, ma anche Candlemass, azzarderei anche un po’ i Cirith Ungol, per il versante più epico. C’ho preso, ho sbagliato, c’è dell’altro?
Hai detto il vero, l’influenza dei Cirith Ungol è innegabile. Personalmente sono una band che adoro assieme alle altre influenze citate, Bathory in primis. Mi sento di aggiungere anche band più moderne come Primordial, senza dimenticare l’importanza degli italiani Doomsword. Gli anni Ottanta e Novanta rappresentano ancora una grande forma di ispirazione per noi. Dobbiamo citare sicuramente anche mostri sacri del genere quali Black Sabbath e Iron Maiden. Gli ascolti personali sono molteplici e variegati, la questione fondamentale, in ogni caso, è la libertà di esprimerci secondo il sentimento e la spontaneità. Credo che questo concetto sia esattamente quello che spinga i Nero Or The Fall Of Rome, l’unico modo per noi di far funzionare le cose.
Una domanda che facciamo spesso alle band, e che ritengo pressoché necessaria nel vostro caso, è sapere come nasce un pezzo dei Nero Or The Fall Of Rome… Qual è la scintilla che fa scoccare la composizione?
La scintilla primaria? Un riff! Dal quale poi se ne sviluppano naturalmente altri che portano all’idea dell’arrangiamento, per noi altrettanto fondamentale, assolutamente e unicamente al servizio della canzone e non del singolo musicista. Ti faccio un esempio, l’assolo non è presente in questo pezzo? Che si fotta. La canzone non ne ha bisogno. Mai forzare le cose, ogni passaggio deve essere spontaneo e guidato da quello che la canzone stessa ci suggerisce. Questa è l’unica regola che contraddistingue il nostro modo di comporre. L’essere minimali e non dover per forza aggiungere elementi volti a stupire l’ascoltatore. Non siamo alla ricerca del consenso del virtuoso di turno e non siamo interessati a seguire nessuna regola del moderno mercato, soprattutto quelle che guidano il metal al giorno d’oggi. In effetti, questo album vuole essere uno schiaffo a tutto questo.
Ma soprattutto, (da) dove nasce un pezzo dei Nero Or The Fall Of Rome… Cosa vi ha ispirato nella scrittura dei pezzi? Spesso, se non sempre, dietro tematiche storiche si celano tratti personali dell’autore del brano…
Di solito, anche in questo caso, mi faccio guidare dalla sensazione che il pezzo mi trasmette, l’atmosfera con il quale nasce è fondamentale. Può sembrare incredibile ma un riff trascende la bellezza di “alcune note azzeccate” e può raccontare molto di più. Ti porta a viaggiare nel tempo e nello spazio, ti guida verso sentimenti e vere e proprie “visioni” dalle quali le parole scaturiscono in modo quasi automatico. Ti faccio un esempio che considero molto chiaro, il riff del ritornello della traccia che chiude l’album, ovvero ‘Our Epitaph Shall Be Carved In Stone’, mi ha immediatamente trasportato con la mente e in modo del tutto involontario ad uno schiavo che spinge una ruota. La tematica è quindi la schiavitù, sia riferita a quella del mondo antico, sia al nostro essere schiavi di una falsa libertà che nasconde obblighi e sacrifici. La traccia che ha dato il titolo all’album, ‘Beneath The Swaying Fronds of Elysian Fields’, con il suo intro etereo ma dal sapore di fine amara ma allo stesso tempo liberatoria, mi ha portato letteralmente a vedere le fronde dei Campi Elisi mosse da un vento dolce. L’immagine che ci si augura di vedere prima di chiudere per sempre gli occhi alla fine del viaggio. Di conseguenza, l’ispirazione arriva dalla musica stessa che spinge il mio istinto a portare alla luce parole che si trovavano già scritte da qualche parte nell’oscurità del mio inconscio. Il titolo dell’album rimanda certamente alla storia e alla mitologia dell’antica Roma, ma ritengo che la musica sia lo specchio del tempo in cui viviamo. Quindi, nonostante ci siano dei richiami ben precisi a livello storico, non posso negare che le vicende personali influenzino i testi in modo imprescindibile e concreto.
È inevitabile chiedervi di ‘Graves Above’, la canzone dedicata a Daniele Nardi e Tom Ballard, morti sul temibile Nanga Parbat. Da dove è venuta l’idea di scrivere questo pezzo per i due sfortunati alpinisti?
Nanga Parbat, “la montagna nuda”. Ribattezzata dagli sherpa “la mangiauomini”. Un moderno Capitano Achab che insegue la balena bianca, pronto ad affondare inesorabilmente assieme alla propria nave, senza timore o rimpianto. Possiamo forse definirli degli “antieroi” contemporanei. Questi sono già degli spunti sufficienti da cui prendere ispirazione per un brano dei Nero. Cosa ha spinto questi uomini coraggiosi ad affrontare un mostro del genere sapendo che nella peggiore delle ipotesi avrebbero potuto non fare ritorno? Ci trovavamo a lavorare alla stesura del pezzo nel Gennaio del 2019. In quei giorni stavo seguendo gli aggiornamenti di Daniele e Tom che preparavano il loro tentativo di ascesa. Sono rimasto colpito dalla loro volontà di inseguire il sogno audace, forse impossibile, di violare la via tentata solo da A. F. Mummery più di un secolo prima. Una via insidiosa, definita da molti colleghi dello stesso Nardi come “un suicidio”. Ero già a conoscenza dei suoi tentativi nel corso degli anni di aprire questa via che lui stesso aveva definito “perfetta” nel titolo del suo ultimo libro. In realtà non posso rispondere in modo del tutto razionale a questa domanda, ricordo il momento in cui arrivò la notizia delle loro ricerche e dell’impossibilità di organizzare una missione di soccorso a causa delle condizioni atmosferiche avverse. Ricordo di aver pensato a quell’arpeggio che apre la canzone e il seguente crescendo che ne introduce il climax e ho immediatamente pensato: “Questa è per loro”. Il resto è arrivato, ancora una volta, senza dover chiedere a me stesso cosa fosse giusto fare. Il nostro messaggio, seppur “diretto e senza filtri”, come è stato definito dalla stampa del settore alpinistico (che per la prima volta in assoluto, e con nostra sorpresa, si è accostato alla musica metal) è volto al loro ricordo e ai loro familiari, figli e amici, e a tutti coloro che porteranno per sempre nel loro cuore la fortuna di averli conosciuti e amati. In particolare a Daniela, moglie di Daniele, e a loro figlio che un giorno conoscerà le gesta del proprio padre.
Domanda di tema particolare. Venite da vent’anni di “esperienza”, se vogliamo così chiamarla, sul palco e soprattutto da una scena di provincia, quella veronese, che può essere un esempio per tante altre realtà italiche. Che cambiamenti avete visto in queste due decadi? Premettiamo che il peggioramento è di fronte agli occhi di tutti…
Personalmente ho potuto assistere all’ascesa e alla disfatta della scena. Dai primi anni dove tutto era basato su un passaparola, telefonate, volantini rigorosamente confezionati a mano e affissi nel cuore della notte senza nessun tipo di permesso, all’avvento di Myspace e poi dei social network, che ne hanno decretato la condanna a morte. Non si sente più il bisogno di una scena live, né di dover frequentare i concerti o quel negozio di dischi per poter procurarsi il “pane quotidiano”. Siamo solo dei fottuti “bocconi” (per alcuni avvelenati, mi auguro) nelle mani di consumatori oramai avvezzi al concetto di “usa e getta”. Scarica, ascolta, cestina. Da questo punto di vista ci siamo trovati a rivolgerci a un pubblico fortunatamente ancora fedele al concetto di supporto, e per questo ci sentiamo il dovere di ringraziare quelle persone che hanno creduto in noi, guidate dal sentimento e contro ogni logica e maledetto meccanismo mediatico, a partire dalla nostra etichetta discografica che ci ha fornito un supporto di tutto rispetto.
Rimaniamo nel passato. I Riul Doamnei si sono formati all’incirca alla fine (inoltrata) della seconda ondata black metal. Come vedete questo nostro (sotto)genere oggi? Bistrattato, contaminato, corrotto…
Sicuramente contaminato, non tanto da altri generi ma quanto da esigenze di un mercato oramai morente. I Riul Doamnei non possono definirsi certo oltranzisti del genere, viste le influenze sinfoniche, le incursioni nel death metal e una componente melodica non indifferente. Eppure abbiamo tirato le somme e non vogliamo scendere, ancora una volta, a nessun compromesso di sorta. Ci sono sicuramente dei gruppi che meritano attenzione e rispetto, ma molti altri cercano ancora di cavalcare un’onda che si è infranta parecchi anni fa. Noto la tendenza di osteggiare tematiche sataniche/occulte e del tutto prive di un minimo spessore, adatte forse ai teenager più annoiati, che purtroppo rappresentano il fottuto algoritmo che “regola” il mercato. La ribellione che ha contraddistinto il genere, carica di violenza verbale e senza compromesso è semplicemente diventata immagine. La musica ne ha subito quindi le conseguenze. Le moderne influenze che plasmano le nuove band non sono più arte e letteratura, ma Netflix e serie televisive, tanto è vero che la maggior parte delle band del settore, a livello d’immagine, sembrano uscite da un episodio di Vikings o Games Of Thrones. In definitiva, corrotto.
So che anche voi avete fatto il “pellegrinaggio” nel cuore del metallo nero, in Norvegia, con visita obbligata a Helvete (oggi Neseblod Records). In questi anni ho avuto la possibilità di parlare con appartenenti alla scena da ogni parte del globo, da pionieri a giovani adepti. Secondo molti di loro, l’anima del black metal è ancora tra i fiordi norvegesi. Voi cosa ne pensate, è solo una suggestione o c’è qualcosa di vero? Insomma, che impressioni avete avuto dal vostro viaggio?
Visita obbligata e, sotto certi punti di vista, alquanto deludente. Ridiamo ancora amaramente ricordando l’episodio che vede coinvolto Elia (chitarrista dei Nero e Riul Doamnei, nonché collezionista di vinili dell’epoca) chiedere informazioni su un’edizione di ‘Panzerfaust’ dei Darkthrone del 2002 targata Moonfog, e l’ignorantissima commessa del negozio che sembrava catapultata in una realtà a lei totalmente sconosciuta e priva di significato. Come se le avesse chiesto una formula alchemica. Ancora una volta il business ha semplicemente sostituito l’essenza primaria. Cazzo! Era come parlare a una commessa del Burger King, una di quelle totalmente svogliate e scocciate dalla richiesta di una salsa extra. Dal canto mio ho trovato un’edizione di ‘Nordland I & II’ dei Bathory a un ottimo prezzo, risparmiandomi ulteriori domande imbarazzanti. In sostanza la sensazione che abbiamo avuto è che il Black Metal sia considerato in Norvegia unicamente come un prodotto d’esportazione riguardante le vecchie glorie. Il mito che vuole il norvegese medio come un metallaro accanito è totalmente infondato. Per quanto riguarda la suggestione dei fiordi e l’appartenenza a qualcosa di elitario penso sia andata perduta nel tempo, sicuramente lontana dal 2020. Che i gruppi norvegesi siano stati pionieri del genere e abbiano dato un contributo fondamentale è innegabile, ma dobbiamo ricordarci che in Italia, nello stesso periodo avevamo i Necrodeath! Quindi è il caso di distinguere quella che viene definita “First Wave Of Black Metal” (leggasi Bathory, Celtic Frost e Venom) da quello che poi verrà definito come “True Norwegian Black Metal”, ovvero la seconda ondata, in ogni caso altrettanto fondamentale per l’affermazione del genere stesso. Al giorno d’oggi rivolgerei l’attenzione anche altrove: Finlandia, Russia, Ucraina e America Latina.
Ho avuto il piacere di vedere i Nero Or The Fall Of Rome di spalla ai Rotting Christ a Verona. Devo dire che il vostro show – senza fronzoli e preciso – mi aveva piacevolmente sorpreso. Una domanda un po’ strana. Cosa ritenete importante in un concerto per definirlo “riuscito”?
Penso che in parte tu ti sia già risposto da solo riferendoti al nostro show come “senza fronzoli”. Questo è quello che per noi conta, non una scenografia accattivante o un concerto studiato nei minimi dettagli, ma guidato dall’emozione del momento. Lo stesso concetto che ha caratterizzato la stesura e la produzione del nostro album, ovvero spontaneità e genuina attitudine live. Partendo da questo presupposto, ogni concerto che ci permette di sentirci a proprio agio e liberi di esprimerci senza ricorrere a un meccanismo studiato, è un concerto riuscito. Con tutte quelle piccole imperfezioni e licenze che allo stesso tempo possono risultare un valore aggiunto alla performance. Trasmettere qualcosa al pubblico è sicuramente fondamentale e trainante per il concerto stesso. Sono contento che tu ne abbia colto lo spirito.
Verso la fine è d’obbligo domandarvi se state già lavorando a nuovi pezzi dei Nero Or The Fall Of Rome…
Abbiamo già un sacco di materiale e moltissime idee a riguardo, compreso il titolo dell’album che mi permetto di anticipare avrà un sapore “nautico”, seppur con un significato allegorico. Ma è decisamente presto per scendere in ulteriori dettagli.
Contestualmente, vi chiedo quando e se ascolteremo qualcosa di nuovo dei Riul Doamnei…
Immagino di sì, abbiamo praticamente ultimato già da molto tempo una pre-produzione che vede coinvolti elementi del tutto nuovi e diversi da quelli sfruttati in passato. Stiamo cercando un batterista che possa interpretare questi nuovi elementi. Sarebbe fin troppo facile servirci della programmazione. Vogliamo invece avvalerci di vere dinamiche e di un suono il più naturale possibile. Rivolgo quindi un appello a ogni musicista che consideri questo punto come fondamentale nella produzione di un album. Speriamo vivamente di poter completare quest’opera, altrimenti incompiuta.
Credo di aver parlato troppo. Vi lascio il prossimo spazio per chiudere l’intervista con un messaggio ai nostri lettori. Grazie del vostro tempo. Keep the black metal flame burning!
Come avrai sicuramente capito, i Nero or the Fall of Rome non godono del dono della sintesi. Una grazia che non ci è concessa e di cui non vogliamo servirci forzatamente. Grazie per lo spazio concessoci. Il nostro messaggio? Mai piegarsi a quello che la gente vuole sentire, seguire sempre l’istinto e la vera natura, a prescindere dal tipo di musica, tempo e fottuto vile denaro. We are the Black Metal Resistance. Keep it true until you sink into the abyss.