Falconer – L’addio del Falconiere
Il 06/07/2020, di Dario Cattaneo.
Album, tour, album, tour… non illudiamoci, la cosiddetta vita rock’n’roll, quella che negli anni Ottanta sapeva di tequila, coca e figa al tramonto su macchine lussuose della costa californiana, è un idea in questo decennio quanto meno molto romanzata, se non addirittura estinta. E per quante band continuino (lasciamo a voi dire se disgraziatamente o per fortuna) a tenere stretto il bastone fra i denti e a continuare a portare avanti il sogno di un tempo, ce ne è comunque qualcuna che dopo un po’ riconosce l’instaurarsi di una routine che in qualche modo non gli appartiene, e decide di cambiare rotta. E così hanno fatto i Falconer, che dopo diciannove anni di carriera lasciano il testimone, ammettendo in questa intervista proprio l’instaurarsi di quella routine di cui abbiamo parlato. Sentiamo cosa ha da raccontarci il fondatore Stefan Weinerhall…
Prima di affrontare l’argomento relativo al ritiro della band dalle scene, vorrei dedicare il giusto spazio al nuovo album, comunque davvero un buon lavoro secondo il mio parere. Parlando della sua composizione e registrazione, ti è sembrata in qualche modo diverso dal solito?
“No, diverso direi di no. Anzi, uno dei motivi della decisione di interrompere qui la carriera dei Falconer è proprio legata a questo aspetto, ma ne parleremo dopo. A scrivere ho cominciato come sempre subito dopo le registrazioni dell’album precedente (‘Black Moon Rising’, ndr.) ma quando è maturata l’idea di chiudere con la band, i lavoro si sono diciamo un po’ protratti. Siamo stati in studio per dodici settimane, che è più delle nostre solite quattro o cinque. Ecco, direi che lavorare su ‘From A Dying Ember’ non è stato diverso ma solo più lungo, perché volevo che questo album uscisse il meglio possibile e quindi ci abbiamo messo tutto l’impegno che potevamo profondere su di esso. Ma in generale posso dire che come lavorazione si tratta di un classico album Falconer al 100%.”
Direi che il tempo ha dato i suoi frutti, visto che come ti ho detto l’album l’ho trovato ben fatto… Dal punto di vista tematico però, possiamo pensare che le canzoni abbiamo un filo conduttore unico, una sorta di tema? Visto il periodo in cui è stato composto mi verrebbe da pensarlo…
“Invece no, sono un gruppo di canzoni individuali. Nessun concept dietro dal punto di vista lirico. C’è qualche brano che ho scritto pensando a temi simili, ma di sicuro non c’è un unico tema conduttore per i vari testi.”
Copertina e titolo però sembrano dire il contrario…
“Be’, la copertina è stata sviluppata con lo scioglimento del gruppo in mente, e il titolo è in qualche modo collegato. Avevamo pensato a un addio, ed essendo nordici abbiamo pensato a una sorta di pira funeraria, con la quale il Falconiere partisse per il suo ultimo viaggio. Ci è sembrato adatto, e il risultato è bello. Però non è che questo abbia a che fare con i testi delle canzoni.”
Di sicuro una canzone con un messaggio importante sembra essere ‘Rejoice The Adorned’, una ballad classica ma, lasciami dire, davvero emozionale…
“Mi stanno chiedendo in tanti di ‘Rejoice…’. È davvero un bel pezzo, il mio preferito dell’album e forse anche il pezzo più bello che abbia scritto, se devo dirtela tutta. Mi ha soddisfatto appieno, è una ballad perfetta. Anche se – pensaci – io non suono niente su quel brano; la trovo molto importante per me perché gli composi il testo in un momento particolare della mia vita. La musica oramai era completata, ma mia nonna scomparve poco dopo, e mi trovai a scrivere il testo per la sua morte. Anche se ovviamente ero pervaso di tristezza, pensai che dovevo però anche essere felice che il nostro rapporto fosse stato negli anni così importante per entrambi. E che quindi la tristezza che provavo era indice di qualcosa di importante, di speciale. Da lì ho ripreso in mano la composizione originale e gli ho apportato dei cambiamenti, facendola diventare un vero e proprio brano acustico, col pianoforte, così come lo potete sentire adesso. Ha una storia dolce-amara, ma è una bellissima canzone.”
Rimanendo sul tema delle emozioni, da quel punto di vista è stato più difficile occuparsi di comporre questo album, soprattutto verso la fine?
“Forse, paradossalmente, la parte difficile è stata non mettersi fretta. Prima ti ho detto che i tempi si sono protratti, ma è stata una cosa voluta. Volevo che ci fosse il tempo di fare tutto perfetto su questo album. Quindi mi sono dovuto limitare nella mia fretta di concludere i vari pezzi. Li ho composti, li abbiamo provati, ma poi non sono stati resi definitivi da subito. Mi sono sforzato di lasciarli lì e tornarci sopra più volte, per vedere se col tempo sbucavano nuovi modi di intenderli, realizzarli, completarli”.
Ok, parliamo ora direttamente dell’elefante nella stanza… i Falconer chiudono la propria carriera dopo diciannove anni e nove album. Almeno ai fan dovete una spiegazione, no?
“La decisione chiaramente spettava a noi ma non ne ho problemi a parlarne. Non è stato qualcosa di immediato, che magari ci fa male ancora adesso. Piuttosto una decisione maturata col tempo. Semplicemente… era tutto un po’ semplice. Mancava una molla che spingesse la band oltre a un lavoro diciamo di routine. Era tutto un po’ semplice, scrivere un album, promuoverlo, era diventato un po’ troppo familiare, e quindi non ci sarebbe piaciuto andare avanti troppo per una strada già battuta. Abbiamo preso come sfida di fare quest’album al meglio delle nostre possibilità, e poi seguire altre strade. Vedi che, raccontata così, è stata una cosa piuttosto semplice…”
Niente rimpianti quindi? Sono più le gioie che questo percorso vi ha dato o qualche malumore ve lo siete trascinati dietro?
“Di sicuro più gioie che rimpianti… anche perché non sono una persona da mugugni una volta che le cose sono accadute. Quindi rimpianti veri e propri direi di no… ecco diciamo che posso ammetterti che mi è rimasta qualche curiosità, ecco. La curiosità di dire: ‘dove avremmo potuto essere se avessimo promosso gli album in qualche altro modo?’, oppure ‘che seguito avremmo avuto se avessimo dato più attenzione all’aspetto live?’. I Falconer non sono una band live, non li ho mai considerati tali, la mia tazza di tè per così dire è ovviamente il lavoro in studio, i tour e i concerti li trovavo estenuanti. Ma è indubbio che il mondo della musica si muove grazie a quelli… cosa sarebbe successo se avessi messo da parte questa mia idiosincrasia e avessimo curato più questo aspetto? Sarebbe cambiato qualcosa? Avremmo trovato quegli spunti che ti dicevo prima ora non vediamo? Chi lo sa… Ma, d’altronde, non sono persona da mugugnare troppo su temi come questo.”
Una risposta molto precisa… a questo punto tiriamo le somme sulla vostra carriera, per chiudere questo articolo. Avete lavorato sempre con Andy LaRoque nei suoi studios. Cosa vi ha portato ad andare da lui tutte le volte?
“Beh, voglio dire… È Andy LaRoque! Quando siamo andati ai Sonic Train per la prima volta ero davvero spaventato! Andy è un chitarrista che ho sempre adorato, e io suono proprio la chitarra… come potevo sentirmi a suonare davanti a lui che mi aveva ispirato negli anni? Alla fine questa emozione passò, ma la sua professionalità e anche la sua cordialità e disponibilità ci hanno sempre fatto sentire a casa. Perché cambiare una cosa che ha sempre funzionato?”
Certo, sono d’accordo con te. Siccome prima hai citato la mancanza di stimoli come motivo principale dello scioglimento della band, ti chiedo se hai visto la band maturare nel corso di questo anni oppure no…
“Siamo di sicuro migliori musicisti. L’aspetto del songwriting si è ampliato ed è maturato anch’esso, quindi ti direi di si. Le canzoni più recenti sembrano più studiate, ecco, anche se quelle vecchie diciamo mi saltano all’orecchio per una certa immediatezza e incoscienza giovanile che le rendeva fresche. Mi piacciono tutte le varie fasi della nostra carriera, ma già il fatto che senta una differenza tra canzoni di due diverse decadi vuol dire che la band è cambiata nel frattempo. Direi che siamo maturati, indubbiamente.”
Cosa ne pensi della scena musicale che state lasciando? Tempi bui per il power come dicono in tanti o vedi una luce?
“Conosco così poco di questa scena di cui parli… si certo alcune band recenti ne ho sentite e mi piacciono anche, ma ho troppo amore per gli Anni ’90 per concentrarmi veramente su quello che è arrivato dopo. Il mio periodo d’oro musicalmente parlando è quello con ‘Land Of The Free’ dei Gamma Ray, i primi Helloween di Deris, gli Edguy, gli Iron Savior… quei dischi lì. E anche i primi due Avantasia, pura magia!”
Un ultimo consiglio? Da band uscente a una entrante?
“Non ne ho uno vero… direi di fare sempre la propria musica, non la musica degli altri. A me non è mai venuto spontaneo, ho sempre cercato di avere una mia visione e questo mi ha portato ad essere felice del mio lavoro. Penso possa essere un buon consiglio.”