Art – L’alieno non troppo alieno
Il 20/01/2020, di Andrea Lami.
Dopo aver ascoltato il secondo lavoro degli Art, ‘Asylum’, visto che il tema trattato dal concept mi ha tanto stupito quanto incuriosito, ho approfittato dell’occasione ed ho contattato la band, in persona di Denis Borgatti per saperne un po’ di più.
E’ bastata la risposta alla prima domanda per aprirmi un mondo ancor più interessante…
Parliamo subito dell’alieno. Cosa rappresenta?
L’alieno per definizione è qualcuno che presenta caratteristiche diverse dalle nostre… non per forza deve trovarsi su una navicella o un pianeta ai confini di una lontana galassia. In ‘Planet Zero’ si descrive questo umanoide seduto su di un trono altissimo che osserva con uno speciale apparecchio tutto quello che succede su un pianeta vicinissimo al suo… studia e osserva le vite e le vicende di chi popola questo mondo ostile.
Ma se vediamo la situazione da un punto di vista psicoanalitico, si crea facilmente il parallelismo tra alieno (il diverso) e una semplice persona con problemi di bipolarismo e sociopatia che attraverso uno strano macchinario (farmaci per condurre una vita pseudo normale e autocontrollo) osserva dal suo trono (un rifugio o una sorta di barriera) la società con la quale non può mischiarsi o interagire.
Nel secondo capitolo ‘Asylum’ questo aspetto viene chiarito anche se non in maniera palese. Il paziente B. o caso bipolare (‘B.Case’) come catalogato dal medico (‘The doctor’) manda una richiesta disperata di aiuto e di asilo per essere accettato come una piccola parte del sistema (‘Asylum’) ma questo tipo di società non prevede l’uso dei veri sentimenti per l’interazione, sono tutti nascosti da una coltre nera che oscura le pulsioni e ogni tipo di verità (‘Black Mist’). Il medico successivamente asporta al paziente B. L’amigdala… ghiandola responsabile di tutte le nostre emozioni… per una perfetta e completa integrazione, sottoponendolo successivamente al test di riuscita dell’intervento (‘Room 46’). La vicenda si conclude con la rassegnazione del paziente… ‘per vivere qui occorre nascondere il proprio io… la propria verità e i propri talenti…’ (‘Hide The Light’)
Quello proposto è un viaggio immaginario attraverso i pensieri di un individuo disturbato… nulla di più..
Avete idea di proseguire il discorso in un terzo capitolo?
Sicuramente ci sarà un terzo capitolo, Art è un progetto ambizioso. Nulla è lasciato al caso, e questo richiede tanta passione tanta ricerca di conseguenza tanto tempo.
Avete mai pensato di rappresentare quest’opera da qualche parte che non sia solo ad un concerto? Tipo teatro o fumetto o altro?
Certo, sarebbe l’ambiente perfetto per rappresentare a potenziale pieno un concept di questo tipo. La scelta è ricaduta sul teatro, una sorta viaggio che ogni spettatore può interpretare con la propria immaginazione e la propria sensibilità. Ma anche per questo occorrerà tempo.
Musicalmente a chi vi ispirate?
Diciamo che gran parte del lavoro nasce dai nostri ascolti d’infanzia: Pink Floyd e Genesis in primis. Con altre influenze più moderne tipo Porcupine Tree Steven Wilson IQ e It Bites…
Come nascono le vostre canzoni?
Le scritture sono tutte sviluppate in quelle notti dove non sai dove vai a finire. Si parte da un’accordo o una sequenza di accordi che ti suonano nel cervello, un piccolo arrangiamento di batterie e bassi… una melodia sommaria e poi perfezioniamo il tutto con ricerca di suoni e campioni ad hoc linee efficaci di basso chitarra e batteria e testi in cui ogni persona può forse vedere una parte di se che ancora non conosce.
A quale brano vi sentite più legati?
Sicuramente ‘Blind Man’, la suite di apertura del primo album. In fondo quando vai in un posto nuovo, rimani legato al primo luogo che vedi: è nato infatti per gioco tutto da lì…