Paganizer – C’è qualcosa di morboso in Svezia
Il 16/12/2019, di Giuseppe Cassatella.
Rogga Johansson è un tipo vulcanico. Difficile stargli dietro, mentre sei là a togliere il cellophane dall’ultimo dei suoi dischi, scopri che ne ha tirato fuori uno nuovo con un’altra band o progetto. Lo svedese non si risparmia di certo, non solo in studio o su un palco, ma anche dietro un microfono. Basta dargli uno spunto, e lui parte, entusiasticamente, come un fiume in piena. Così la nostra chiacchierata sull’ultimo stupendo album dei Paganizer, ‘The Tower of the Morbid’, s’è tramuta nell’occasione per fare una panoramica a 360 gradi sulla sua carriera e sulla sua vita privata.
Benvenuto su Metal Hammer, Rogga. Partirei da un confronto con il vostro recente passato: penso che ‘The Tower of the Morbid’ sia un album migliore di ‘Land of Weeping Souls’, la vostra penultima fatica. Potresti spiegarmi le differenze tra queste due opere?
Grazie, e grazie anche per il complimento! È piacevole sapere che pensi che siamo riusciti a fare meglio dell’ultima volta, perché ‘Land of Weeping Souls’ è stata qualcosa di cui andiamo fieri ed è piaciuto a tanti. Per quanto concerne le differenze, credo che siano notevoli: il precedente aveva una produzione più raffinata e pulita e le canzoni erano forse un po’ più omogenee tra loro. Questa volta abbiamo cercato di diversificare ancora di più la nostra proposta, ci sono canzoni brutali, ci sono canzoni epiche e ci sono anche brani più heavy con passaggi infernali. Abbiamo tentato un approccio più camaleontico, e credo che la cosa abbia funzionato alla grande. Inoltre, il suono è più crudo e più diretto, più simile a un pugno in faccia. Ronnie, il nostro produttore, ci è andato giù pesante per comprimere il suono della chitarra, direi che questa è la peculiarità che distingue davvero i nostri due lavori più recenti.
Entrando nel dettaglio, adoro ‘Cannibal Remains’, ‘They Came to Die’ e ‘The Tower of the Morbid’: che mi racconti di queste tre canzoni?
Ecco, mi fa piacere che ha indicato tre brani molto diversi, è stimolante confrontarli. ‘Cannibal Remains’ è la mia canzone preferita dell’album, sicuramente la più pesante: volevamo creare una traccia che fosse perfetta dal vivo. ‘They Came to Die’, al contrario, è forse una delle nostre canzoni più accattivanti e melodiche di sempre! Volevamo scrivere qualcosa che fosse epico e che rimanesse subito ben impresso nella test dell’ascoltatore. La traccia che del titolo è quella che può definirsi una combinazione di elementi: è una canzone pesante e aggressiva, ma poi sfocia in una parte epica, che è davvero grandiosa. So con certezza che questa è la canzone preferita del nostro batterista.
Allarghiamo ora la panoramica, lo scorso luglio hai pubblicato il tuo album solista, ‘Entrance to the Otherwhere’. Hai un mucchio di band, quanto è difficile per te gestire ogni singolo progetto? Come capisci che una canzone è perfetta per quel gruppo e non per un’altro?
Ci sono abituato! Non è molto difficile per me gestire tutti i progetti e le band, anche se effettivamente ho un sacco di carne sul fuoco! Per quanto riguarda il modo in cui una determinata canzone entra nel repertorio di una specifica band, molto volte avverto istintivamente come devo usarla. Non so come, ma lo faccio: ho subito ben chiaro a quale band possa adattarsi meglio. Magari, agli altri forse sembrano tutti simili, ma io ho sempre chiaro nella mia mente le differenze e le peculiarità di ogni singolo progetto.
Dal punto di vista pratico, preferisci lavorare da solo, come nel tuo progetto solista, o collaborare con una vera band come i Paganizer?
Direi entrambe le situazioni, perché sono esperienze diverse, come puoi ben capire. A volte desidero davvero avere la libertà di fare esattamente quello che mi piace; altre volte sento l’esigenza di confrontarmi con altre persone, affinché ci sia un confronto per innescare una sinergia creativa. Scrivo la maggior parte della musica da solo, ma voglio sempre che gli altri ragazzi vengano da me con le loro idee. Capita più o meno lo stesso quando qualcun altro scrive una canzone, avverto sempre l’esigenza di dover dire la mia per cambiare il pezzo!
Parlavi di sinergia, credo che l’equilibrio, almeno in seno ai Paganizer, sia stato raggiunto: questo è il secondo album con gli stessi membri, ritieni che questa sia la vostra migliore formazione?
Una dei migliori, dato che penso che la migliore formazione sia quella dell’EP ‘Cadaver Casket’, ed è praticamente la stessa di ora. Tutto funziona e gira al meglio, il che non è sempre una cosa certa, come ben sai, in una band.
Ciò che funziona veramente bene è la copertina meravigliosa realizzata da Dan Seagrave! Cosa hai provato a lavorare con un mito del Death Metal come lui?
È una delle sue opere migliori degli ultimi anni. Siamo rimasti veramente colpiti quando finalmente abbiamo avuto modo di vedere il risultato finale. È un pezzo fantastico. Ci siamo sentiti molto onorati del fatto che la nostra etichetta l’abbia contattato per questa collaborazione e siamo ulteriormente onorati del fatto che Seagrave fosse disposto a lavorare con noi. Non abbiamo dato delle vere e proprie direttive, l’unica cosa che gli abbiamo detto è stata il titolo. Poi gli ho inviato la musica e ho buttato lì che la copertina di ‘Trascend the Rubicon’ dei Benediction è il suo lavoro che preferisco. Da questi elementi è riuscito a realizzare qualcosa di veramente old school!
Rimanendo in ambito old school, cosa ricordi del tuo primo album, ‘Deadbanger’?
Ricordo che abbiamo rinnegato il Death Metal e che abbiamo scritto alcune canzoni Black\Thrash, il che è stato divertente, ma forse eccessivo per i nostri standard. Comunque mi piace ancora quell’album, ma non appena l’abbiamo registrato, abbiamo fatto un passo indietro e siamo tornati a suonare il Death Metal incontaminato che avevamo proposto dal 94. Tutto sommato, ci sono legato, è stato il nostro primo full-lenght inciso per una vera etichetta, quindi sarà sempre speciale per noi. Inoltre, è l’unico album in cui non ho suonato nessuna chitarra, ma ci ho solo cantato. Se non erro, credo di aver scritto solo una canzone, la traccia più difficile, ‘Into the Catacombs’. Il resto è più orecchiabile, composto da ragazzi più bravi di me!
Continuiamo questo viaggio nel tempo, vorrei tornare al 2005, quando fu annunciato lo split dei Paganizer. Cosa è successo veramente in quei giorni?
Non lo so… I Paganizer sono sempre stati una band turbolenta, con gente che va e viene. Questo è uno dei motivi per cui abbiamo fatto pochi tour e saltato parecchi festival ogni anno. Se ci ripenso, mi vien da dire che forse ne avevo abbastanza, e così ho deciso di fare altre cose, dato che ho molti altri progetti per i quali scrivere musica. Ma non è durato a lungo, visto che siamo tornati inseme già nel 2006 e abbiamo anche fatto un grande tour in Spagna e Portogallo con i leggendari Machetazo.
Sii sincero, dopo 25 anni, ti vedi come un modello per i giovani?
No, non credo di esserlo. Sono sbalordito ogni volta che qualcuno mi manda un messaggio in cui mi dice che sono una persona che ammira. Spero che alla gente piaccia la mia musica e, se la mia musica può fare qualcosa di buono per le persone, è davvero fantastico. Non ci ho mai pensato e ho difficoltà a farlo, nonostante i messaggi che arrivano di volta in volta dai fan. Sono sorpreso e molto felice, ovviamente, perché la mia musica ha un significato importante per qualcuno.
Se dovessimo fare la conta dei tuoi progetti, verrebbe da dire che non hai molto tempo libero. A parte suonare metal, che cosa ti piace fare?
Beh, adoro stare con i miei figli, con la loro madre e con il nostro cane. La famiglia è molto importante per me, passare il tempo con i miei cari è ciò che mi piace di più. Sono anche un fanatico della birra e del barbecue, immagino di essere uno dei pochi idioti che si mettono a fare una grigliata in Svezia già da marzo o aprile, quando non è propriamente estate da queste parti.
A proposito di carne sul fuoco, che mi dici del tuo prossimo album?
Oh, amico mio, dipende da cosa intendi con prossimo! Ne uscirà uno molto presto. Mi va di citarne un paio di cui sono molto entusiasta. Quello di debutto dei To Descend, una band che ho messo su con Jens, conosciuto per i suoi trascorsi con le leggende Megaslaughter. Suonerà crudo e marcio, sono molto eccitato. Poi c’è anche il nuovo album dei Revolting, è stato completato ed è in attesa di pubblicazione. Potrebbe essere il miglior album finora inciso dai Revolting, persino migliore del precedente, di cui sono immensamente soddisfatto. Entrambi gli album usciranno per l’indiana Transcending Obscurity Records.