Elvenking – Rune, musica e parole
Il 03/09/2019, di Dario Cattaneo.
Molta curiosità circonda l’uscita di ‘Reader Of The Runes – Divination’, il primo capitolo della trilogia sul Lettore di Rune composta dai nostri connazionali Elvenking. Pieni di quesiti interessanti sull’impatto che un idea così ambiziosa ha avuto sul modo di comporre e lavorare dei Nostri abbiamo raggiunto il singer Damna per telefono, chiedendogli di raccontarci qualcosa di più sull’enigmatico Lettore e cercando anche di rivangare un po’ assieme sul passato ormai più che ventennale della band…
Partiamo subito dal nuovo nato… dalle note promozionali e dalla pubblicità che avete fatto apprendiamo subito che si tratta di un concept album, il vostro primo concept. Ce ne puoi parlare?
Esatto, questo disco è un concept, ed è la prima parte di una trilogia; quindi dopo ‘Divination’, seguiranno altri due capitoli tematicamente collegati e formanti un’unica trama, appunto divisa in tre parti. È qualcosa che volevamo fare da un sacco di anni, anche perché siamo da sempre appassionati di quelle band che riescono a fornire qualcosa di più rispetto alla sola musica. Sto parlando di King Diamond, di menti creative di quel calibro. Chiaramente però per realizzare qualcosa a quel livello devi avere l’idea giusta, cosa che fino a ora non avevamo mai avuto. Quindi, anche se se ne parla da veramente tanti anni, abbiamo sempre preferito non imbarcarci in qualcosa che poi non avremmo concluso con la qualità che volevamo. Semplicemente l’idea ci è venuta adesso. L’abbiamo partorita così per provare, ci è piaciuta, abbiamo cominciato a svilupparla e abbiamo capito di essere sulla strada che sognavamo da tempo. Poi – alla fine – il tutto è diventato anche più grosso di quanto avevamo pensato inizialmente!
Puoi entrare più nel dettaglio della trama? Dirci qualcosa a grandi linee?
Be’, in questa prima parte diciamo che facciamo conoscenza con la figura principale di tutta la storia, il “Lettore delle Rune” del titolo, e cominciamo a fare la conoscenza con gli otto personaggi che compongono l’intera storia. In questo disco, ‘Divination’ appunto, assistiamo alle divinazioni che il Lettore fa a ognuno dei personaggi, venendo così a contatto con ciascuno di loro.
Dalle tue parole emerge l’idea di un processo di genesi dell’intero lavoro molto naturale. Avete avuto un idea, l’avete sviluppata, una cosa segue l’altra e vi siete trovati con la storia finita. Ma quello che vi chiedo è se – a livello di modo di lavorare e comporre – non avete invece dovuto adottare soluzioni e approcci diversi?
Sì, in realtà è proprio come dici. A livello musicale siamo sempre io e Aydan i principali compositori, ma l’interazione tra di noi è stata in qualche modo un po’ diversa. Negli altri album ci trovavamo di solito due volte a settimana davanti al computer per lavorare alle idee al punto di vista musicale e mettere giù le varie canzoni, questa volta è occorsa maggior frequenza perché molto del tempo è stato speso per curare l’aspetto lirico dandogli appunto la continuità richiesta dalla trama e non ragionando su ogni brano singolarmente. Sembra banale ma non è stato così immediato. Abbiamo dovuto anche tenere conto dell’atmosfera, del mood che ogni testo narrava, e adattare la parte musicale di ogni canzone, rallentandola, velocizzandola o variando gli arrangiamenti.
Anche a livello di artwork e copertina immagino abbiate avuto qualche grattacapo… questo non è un disco a se stante, fa parte di una trilogia e dunque possiamo immaginarci che darete una certa continuità ai disegni di copertina, se non proprio a livello di stesso artista su tutte e tre le copertine, almeno a livello di tono generale…
Nemmeno qui ti sbagli, la necessità di mantenere la coerenza tra le tre copertine c’è e abbiamo già parlato con chi ha realizzato questa tavola per appunto tenerci la porta aperta per rimanere aderenti al concept e allo stile usato anche in futuro. A meno che non succederanno cose strane dovremmo avere già coperto questo aspetto… e forse sì, è stato diverso da come lavoriamo di solito. Anche perché come hai visto se ci conosci bene ci è piaciuto molto in carriera cambiare il tono e lo stile delle varie copertine.
Già, è vero! Senti, per tirare una riga su quanto detto fino ad adesso in tema concept. È la musica a ispirare le liriche o sono le liriche a influenzare la musica?
Guarda, fino a un anno fa ti avrei detto che la musica influenzava le liriche. Si sviluppava il pezzo, poi si lavorava a un testo che fosse in linea con l’atmosfera creata dalla parte strumentale. Qui c’è proprio il capovolgimento. Per questo lavoro abbiamo dovuto veramente andare di pari passo. Come sempre assoluta attenzione alle melodie e alla musica perché questo è il nostro modus operandi, ma continuamente feedback e modifiche dettate dalla parte di storia o dal personaggio di cui si stava narrando. È stato un lavoro molto inter-allacciato.
Dal punto di vista dello stage, porterete sul palco riferimenti o parti della storia narrata? Avete in mente qualcosa?
Sulla parte live non mi sbilancio, anche se qualcosa a livello di costumi di scena o allestimento di sicuro ci sarà, dove ne avremo la possibilità. Sulla parte promozionale invece ti rispondo di sì. Abbiamo realizzato un box limitato con all’interno un libricino aggiuntivo che aiuta ad entrare meglio nel mood della storia. In pratica contiene descrizioni più complete sia dei personaggi che della trama, nonché degli aspetti anche grafici che aiutano a spiegare appunto il clima e i temi narrati. Ci sono poi altre piccole cose, una mappa, degli altri disegni… piccole aggiunte che arricchiscono il tutto fornendo un’esperienza più completa.
Vorrei passare adesso un po’ alla band in sé. Ho notato che mentre le varie band power di una ventina di anni fa (Hammerfall, Edguy, Rhapsody) tendono ad avere avuto negli anni diversi “proseliti” che ne portano avanti lo stile, gli Elvenking sono sempre rimasti loro, con praticamente nessuna altra band a portare avanti un mix di folk, power, hard rock e metal a tratti anche estremo come il vostro. Ritieni sia così difficile prendere a modello il vostro stile?
Non è difficile imitare il nostro stile quanto la nostra personalità. Ci abbiamo tenuto sempre a cercare un sound che fosse veramente nostro, quindi non guardando noi verso l’esterno è difficile che dall’esterno si possa guardare dentro. La somma delle influenze presenti all’interno della band ci ha portaot a seguire un percorso tortuoso, dove ogni disco differiva un po’ dal primo. Cercando la nostra dimensione – che crediamo di aver trovato da ‘The Pagan Manifesto’ in avanti – abbiamo sempre sperimentato un po’, cosa che ci ha portato a dare alla luce lavori magari estremi come ‘The Scythe’ o più melodici come ‘Red Silent Tides’, prima di trovare un punto diciamo di equilibrio. Negli ultimi album invece ci sembra di aver definito bene le coordinate del nostro sound, e quindi ora ci stiamo muovendo consolidando le caratteristiche che abbiamo deciso di tenere sperimentando invece un po’ meno.
Tenendo in mano la copia di questo disco e ripensando ai tempi di ‘To Oak Wood Bestowed’, più di venti anni fa. Vi sareste mai immaginati allora di trovarvi a questo punto e con un lavoro del genere?
Ovviamente no. Il desiderio è sempre stato di raggiungere il massimo, di portare la nostra musica al livello sempre più alto, ma non si può prevedere di lavorare in futuro a un concept di questa portata. È sempre stato un sogno, volendo, una possibilità forse, ma come avremmo mai potuto immaginarlo?
Tra tutti i dischi del passato, ce ne è qualcuno di cui hai grandi memorie di averci lavorato? Non necessariamente il migliore o il tuo preferito; quello che ti ricordi con più affetto.
Il primo disco, ‘Hethenreel’. Era una grande esperienza per noi, il primo disco sotto etichetta, un mondo nuovo da scoprire, uno studio mai usato prima, il mixing fatto all’estero, era tutto molto emozionante. Di quel periodo ho bellissimi ricordi.
Parlando di cammini di band con una decina di dischi all’attivo, abbiamo di solito due tipi di percorso: partire da un suono più essenziale per poi arricchirlo e gonfiarlo, oppure partire da qualcosa di più ‘grosso’ e gonfio per poi rifinirlo e trovarne una forma più precisa ed elegante. Voi quale metodo di ‘scultura’ del sound avete seguito?
Tutte le strade e nessuna. Dopo ‘Hethenreel’ è arrivato come ti dicevo prima ‘The Scythe’ in cui abbiamo aggiunto fin troppi elementi estranei al nostro sound. Poi abbiamo spogliato il tutto per un disco solo melodico. Dopo abbiamo riprovato a incorporare altri input, ma senza più calcare così la mano… è stato un continuo sperimentare alla ricerca di un equilibrio, che è arrivato appunto con ‘The Pagan Manifesto’. Da lì non serve più puntare la prua verso nuove direzioni. Abbiamo solo dovuto affinare il sound e renderlo migliore, non più cambiarlo drasticamente.