Laetitia in Holocaust – Tra le fauci della Bestia
Il 11/06/2019, di Giuseppe Cassatella.
I Laetitia In Holocaust vivono nella parte più oscura e profonda dell’underground musicale, lontani da quelle che sono le normali logiche del mercato discografico. Ma non solo, alla luce delle dichiarazioni rese da N. e S. in occasione della pubblicazione del nuovo ‘Fauci Tra Fauci’, possiamo affermare che ci troviamo dinnanzi a due personaggi che evitano di far ricorso alle solite scorciatoie – a cui ricorrono normalmente gli artisti – per afferrare e triturare tra le proprie fauci la misera realtà odierna.
Benvenuti su Metal Hammer Italia. Da qualche settimana è fuori il vostro nuovo album ‘Fauci Tra Fauci’. Direi di partire proprio dal titolo dal significato oscuro ed evocativo: cosa significa?
N: Innanzitutto ti ringrazio per il benvenuto su Metal Hammer. L’espressione ‘Fauci Tra Fauci’ è stata utilizzata per sintetizzare lo spirito che abbiamo cercato di imprimere in tutto il disco, quello di conflitto vitalistico che pervade l’esistente, e noi come parte di esso. E’ un concetto che, per quanto espresso con un’immagine proveniente dal regno animale, assume diverse declinazioni nei testi del disco e che si presta a differenti chiavi di lettura.
Il vostro precedente album è uscito più di un lustro fa, come mai questo nuovo capitolo ha avuto una gestazione così lunga?
N.: Pensiamo che non ci sia una tempistica predefinita per incidere un album, non c’è una scadenza, non sentiamo la necessità di pubblicare un lavoro se non guidato da un’ispirazione o da un’urgenza creativa. Questo non significa che siamo stati inattivi in tale periodo – al contrario, abbiamo realizzato altri progetti musicali – ma che abbiamo atteso il tempo propizio per concentrare la creatività e incanalarla nel dovuto modo. In realtà la gestazione del disco è stata tutto sommato abbastanza breve, al netto di tempistiche di pubblicazione.
S.: Probabilmente, il periodo intercorso, in cui abbiamo avuto altre esperienze musicali molto rock-oriented, ha cambiato certe nostre sensibilità, ma non è stato un tempo di vera gestazione del disco: effettivamente a comporre tutto ci avremo messo un anno, non di più. Molto spontaneo.
Cosa lo differenzia dai suoi predecessori?
N.: Anche in virtù della tempistica intercorsa col precedente lavoro le differenze sono nette e svariate. Parlando della forma c’è stato un ritorno alle chitarre distorte, accantonate negli ultimi lavori, l’introduzione di un batterista in sostituzione alla drum machine, l’adozione di un basso fretless, una registrazione più professionale rispetto al passato, una composizione un po’ meno ancorata agli stilemi classici ad esempio. Tuttavia penso che la differenza principale risieda in uno spirito diverso, che si è in buona parte scrollato di dosso le suggestioni legate ai precedenti album, per assumere una veste più feroce, vitalistica e legata ad una sorta di misticismo guerriero in contrapposizione allo zeitgeist della nostra epoca. Il motto inserito all’interno del libretto esplicita questo concetto e penso che sia la migliore descrizione degli intenti dell’album.
Ha ancora senso nell’epoca dello streaming e dei video su Youtube fare uscire un disco?
N.: Eccome se lo ha, soprattutto per chi non si accontenta di vivere la musica unicamente passando tramite questi canali, ma che ha interesse a interagire con una creazione che è suono, testo, immagine, senza parlare della qualità della riproduzione. E posso assicurarti che, soprattutto in questo genere, questo tipo di pubblico esiste. Youtube, ma anche altre piattaforme, sono un mezzo potentissimo per avere un primo contatto con innumerevoli realtà musicali, ma come ogni mezzo andrebbe riposto una volta assolta la sua funzione. Se un ascoltatore non riesce andare oltre allo streaming e si limita a questo livello (infimo) di ascolto, il problema non è della piattaforma, è dell’ascoltatore.
Qual è il vostro rapporto coi social? Non avete, per esempio una pagina Facebook, non credete che questa scelta possa penalizzare la diffusione della vostra musica?
N.: Certo che lo pensiamo, ma d’altronde siamo anche convinti del fatto che gli ascoltatori a cui ci interessa rivolgerci siano abituati a consultare soprattutto altre piattaforme, che preferiamo nettamente, piuttosto che Facebook.
In generale, come se la passa la scena black metal? E nello specifico, cosa ne pensate di quella italiana?
N.: A livello generale pensiamo che sia in forte crescita e che all’interno di tale sviluppo ci siano progetti di grandissimo valore. E’ chiaro che le produzioni veramente meritevoli sono limitate e che trovare queste gemme è sempre entusiasmante. La scena italiana non è altro che un suo microcosmo che ne condivide le dinamiche.
Avete visto ‘Lords Of Chaos’?
N.: Io l’ho guardato, un po’ per curiosità ma soprattutto per potermi permettere di avere un giudizio con cognizione di causa: non mi è piaciuto, ma mi ha fatto ridere.
S.: Romanzare certi fatti e certi contesti mi infastidisce, ho preferito glissare.
Torniamo a ‘Fauci Tra Fauci’, in fase di recensione ho indicato quasi una doppia anima, una più tradizionalista e cruda e una più atmosferica e attuale. Come riuscite a far convivere queste due componenti nel vostro sound?
N.: Non sono sicuro che a monte ci sia un “tentativo” di farle convivere, semplicemente sono diverse modalità di espressione che confluiscono nello stesso sound. Non vi è una presa di posizione vera e propria in tale senso, ispirazione e intento vengono prima della forma.
L’artwork del disco è minimale, sin dalla copertina. A cosa si deve questa scelta?
N.: Tutti i nostri album hanno sempre avuto una veste grafica minimale, ma probabilmente con questo album abbiamo utilizzato un’iconografia più ricca rispetto al passato, se pensi ad esempio a ‘Lacra Ebenei’ o ‘The Tortoise Boat’. Le immagini contenute nel libretto contestualizzano lo spirito dell’album e lo ripropongono sotto diverse vesti e sono state scelte con questa finalità piuttosto che con intento puramente estetico. Tuttavia durante il processo di selezione del materiale ci siamo accorti che tali immagini esulavano dal classico immaginario black metal, convincendoci ulteriormente a procedere su tale strada.
In veste di ospite, sull’album appare, Dark Shaman. Come è nata questa collaborazione?
S.: Ho conosciuto questo incredibile pianista al pub, mentre ero in trasferta per lavoro. Un’anima affine, mistica e ribelle. Viene dalla scuola jazz, con una conoscenza impressionante anche del repertorio classico. Gli parlai del testo di ‘Exile’, e gli diedi una demo con alcune idee per il piano. Poi ha cancellato quasi tutto e creato un brano eccezionale, provandolo a casa sua insieme: lui al piano e io a cantare. Ricordo con affetto quei momenti, molto creativi, catartici. Credo che l’intensità sia quasi tangibile.