Il Segno Del Comando – L’incanto dell’oscurità
Il 02/04/2019, di Giuseppe Cassatella.
Il Segno Del Comando è un’entità che si fa desiderare. Con la perizia certosina di certi artigiani, la band genovese rilascia le proprie creazioni senza nessuna fretta. Certo, sono lontani i tempi in cui più che di una band, si parlava de Il Segno come di un semplice progetto collaterale dei mitici Malobra. Da qualche anno la compagine di Diego Banchero produce album e si esibisce dal vivo come un vero e proprio gruppo e fortunatamente questa svolta non ha comportato cali qualitativi. Ed è proprio il bassista-leader de Il Segno che ha risposto alle nostre domande sul nuovo ‘L’Incanto Dello Zero’.
Benvenuto su Metal Hammer Italia, Diego. Inizierei facendo un salto indietro nel tempo, al 22 febbraio 2015, il giorno del vostro esordio dal vivo. Possiamo considerare quella data uno spartiacque nella vostra carriera? Da quel momento avete smesso i panni di progetto estemporaneo e siete diventati una band più canonica, no?
Grazie Giuseppe, è sempre un piacere tornare sulle pagine di Metal Hammer e fare due chiacchiere con te. L’esordio dal vivo del 22 febbraio 2015 ha dato il via a un’attività molto più regolare rispetto al modo con il quale la band era stata gestita dal momento del suo avvio. Prima di allora, senza contare i periodi di vera e propria inattività, si era sempre considerato Il Segno Del Comando come un side project di Malombra. Devo dire che tali limitazioni mi erano sempre state abbastanza strette a causa del forte legame che ho costantemente sentito di avere con questo progetto e, appena ho deciso di ripartire, ho voluto che diventasse il mio impegno principale. Va poi detto che la rinascita de Il Segno Del Comando – dopo il periodo di totale inattività che è andato dall’inizio del nuovo millennio fino al 2013 – ha coinciso con l’interruzione delle attività di Egida Aurea. La squadra di strumentisti che ha militato per diversi anni in quest’ultima band, ha accettato di entrare ne Il Segno Del Comando e di ridisegnarne completamente il suono permettendo a questo progetto un decollo vero e proprio.
Cosa si prova a portare dal vivo dei brani, quelli dei primi due lavori, nati solo per lo studio?
È stato innanzitutto molto emozionante rimpararseli, portarli in sala prove e riarrangiarli. Poterli preparare in previsione di qualche concerto era stato per anni un mio sogno. Oggi che li abbiamo suonati decine e decine di volte dal vivo, restano comunque brani che adoriamo eseguire. Quelli del primo album, in particolare, ci consentono molti spazi di improvvisazione, mentre quelli di ‘DerGolem’ ci danno sempre molta carica con il loro impatto heavy che, spesso, dal vivo fa la differenza.
La vostra attività dal vivo ha influito in qualche modo su questo nuovo ‘L’Incanto Dello Zero’, il primo lavoro composto dopo l’esordio live?
Sicuramente. ‘L’Incanto dello Zero’, nella fase che ha preceduto la registrazione, è stato fortemente influenzato dal nuovo metodo di lavoro che la band ha adottato per arrangiare il materiale che poi esegue dal vivo. Ho scritto i brani di questo album, non più concedendomi la massima libertà, ma pensando alle caratteristiche di ogni membro del gruppo. Per i dischi costruiti in studio, teoricamente, non si hanno limiti e ci si fa spesso prendere la mano anche dalle sovraincisioni. Diventa un problema successivo reperire (in base alle loro caratteristiche) i musicisti che eseguiranno tutte le parti che il compositore ha scritto. Non ci si pone il problema di doverli successivamente preparare per i live. In questo caso, invece, sapevo già in linea di massima come ognuno avrebbe approcciato la propria parte. Ovviamente, ogni membro della band ha avuto massima libertà e ha contribuito agli arrangiamenti apponendo la propria firma sul risultato finale.
Quella che è rimasta una costante, un filo rosso che ha contraddistinto tutti i vostri lavori, è la composizione di un concept album ispirato a un’opera letteraria. In passato, però, i libri scelti erano titoli famosi di autori celebri. Questa volta invece avete puntato su ‘Lo Zero Incantatore’, collaborando attivamente con l’autore Cristian Raimondi. Questo nuovo approccio vi ha condizionato o il vostro modo di lavorare è rimasto lo sempre lo stesso?
Per molti versi è stato usato lo stesso approccio che ha caratterizzato i dischi precedenti; soprattutto dopo che il romanzo è stato concluso. È stato molto più consistente che in passato, invece, il lavoro nella fase preventiva, quella che ha portato alla scrittura de ‘Lo Zero Incantatore’ ad opera di Cristian. Questo libro (pur restando autobiografico) è il frutto di qualche anno di studi e approfondimenti che io e lui abbiamo, in buona parte, condiviso. Anche questa esperienza ha dato il via a un nuovo metodo di lavoro ancora più evoluto dove i concept si costruiscono anche creando la parte tematica che ne sarà alla base e andando a radunare tutti i contenuti che si tratteranno nell’album.
Di solito, mi capita di chiedere agli artisti se a loro farebbe piacere scrivere un giorno un concept album. A te ribalto la domanda: credi che un domani Il Segno possa comporre un disco canonico con canzoni non legate tra loro?
In effetti è una domanda alla quale in questo momento non è semplicissimo rispondere per me. Il fatto di staccarsi dalla formula del concept album potrebbe rappresentare una nuova sfida. Per molti versi è più semplice procedere con una raccolta di canzoni slegate tra loro che sforzarsi di lavorare su un’opera che condiziona tutto lo svolgimento della parte compositiva. Le idee non mancherebbero. Tuttavia, per ora, Il Segno Del Comando sta andando sempre più verso una direzione multimediale che si pone come obiettivo il fatto di proporre lavori che si sviluppino su più canali artistici. Ora abbiamo pubblicato un disco con un libro allegato. Spero tanto di riuscire ad avviare collaborazioni anche con qualche film-maker che realizzi qualcosa di cinematografico da allegare al prossimo album. Non so se riuscirò, ma la mia risposta all’impoverimento che caratterizza la musica ultimamente, è quella di “alzare il tiro” e realizzare lavori sempre più ricchi e articolati. Questo, almeno per il momento, è realizzabile soprattutto mantenendo la formula del concept.
Quali sono i brani de ‘L’Incanto Dello Zero’ che porterete dal vivo?
A parte ‘Al Cospetto dell’Inatteso’, che per ora abbiamo tralasciato, abbiamo preparato e suonato diverse volte tutti gli altri brani del disco, che eseguiremo a rotazione scegliendo di volta in volta in base anche a esigenze, condizioni e possibilità specifiche di ogni futuro evento live.
Ancora una volta nel disco compaiono degli ospiti, ti andrebbe di parlare di queste collaborazioni?
Molto volentieri! Tra gli ospiti abbiamo avuto nuovamente Paul Nash e Maethelyiah che sono la chitarra e la voce degli inglesi The Danse Society. Loro avevano collaborato anche a ‘Il Volto Verde’ e suonato con noi dal vivo nella data di esordio live de Il Segno Del Comando del 22 febbraio 2015, evento di cui abbiamo parlato prima. Compaiono su tre brani: ‘Al Cospetto dell’Inatteso’, ‘Metamorfosi’ e ‘Al Cospetto dell’Inatteso – Paul Nash Reprise’. Quest’ultima traccia è presente esclusivamente nella versione in vinile dell’album.
Abbiamo poi avuto il piacere di ospitare Luca Scherani – conosciuto per essere il tastierista de La Coscienza di Zeno e degli Hostsonaten – che ha scritto un brano strumentale dal titolo ‘Lo Scontro’ e ha suonato le tastiere su quella composizione.
Infine abbiamo ospitato Marina Larcher , seconda voce di Egida Aurea ed ex cantante di Runes Order, che ha eseguito un tema vocale sul brano ‘La Grande Quercia’.
Molto bello l’artwork, chi se n’è occupato?
L’artwork è stato realizzato da Paolo Puppo che, oltre a essere il leader dei Will’o’Wisp, è uno dei soci della Nadir Music, ovvero lo studio in cui abbiamo realizzato l’album. Paolo è un amico di vecchia data ed è anche un appassionato di esoterismo. Si è impegnato molto per fare emergere, anche nella parte grafica, le atmosfere dell’album. Abbiamo anche voluto fare un piccolo omaggio all’approccio grafico di certe band darksound del passato come i Blue Oyster Cult. Il lavoro che ha fatto per l’album mi ha letteralmente impressionato e posso dire di essere pienamente soddisfatto del risultato.
Di solito non amo il cantato in italiano, ma credo che sia una delle caratteristiche migliori della vostra proposta. Hai mai pensato a un disco interamente o parzialmente in inglese?
Ci ho pensato molte volte. Però devo anche ammettere che questa soluzione stravolgerebbe uno degli aspetti cardine su cui la band è stata creata, ovvero la precisa scelta – fatta con lo spirito di attuare una sorta di resistenza culturale – di scrivere testi nella nostra lingua madre. Per tali ragioni, questo, è un altro aspetto che per il momento non è stato mai preso seriamente in considerazione e che richiederebbe una profonda riflessione da parte mia. Ragionarci non è tuttavia tempo sprecato. Quindi ti ringrazio per avermelo chiesto.
L’uso della nostra lingua per Il Segno è un handicap o un bonus in considerazione dei marcati esteri?
Temo che per molti versi sia più un handicap che un punto di forza. Infatti questo, ad oggi, ci ha reso impossibile suonare all’estero. Malgrado ciò, tale aspetto, resta una delle caratteristiche che mantiene vivo l’interesse di molti fans e appassionati che nel cantato in italiano godono a pieno delle tematiche che vengono trattate nei nostri album.
I vostri dischi se non erro, non contengono cover, però partecipate sempre volentieri a tribute album. Qual è il vostro rapporto con le reinterpretazioni di brani altrui?
Noi amiamo reinterpretare brani non nostri, ma viviamo spesso un problema di iperproduzione. Abbiamo sempre difficoltà a contenere i minutaggi, sia dal vivo sia su disco. Questo fa sì che, malgrado ci siano spesso propositi di inserire delle cover, si finisce per desistere, salvo in quelle occasioni in cui si deve partecipare a un tribute album. Al giorno d’oggi, poi, aggiungere una versione personalizzata di un brano amato da chi segue un determinato genere, è sempre di grosso aiuto promozionale per una band, ma anche in questo noi siamo sempre troppo orientati a privilegiare quanto nasce dalla nostra creatività piuttosto che seguire scorciatoie che rendano più facile il percorso. Non so se in questo ci sia più coerenza o più autolesionismo, ma non è facile per noi modificarci. Tuttavia, i brani che sentirei il desiderio di tributare con una cover sono diversi e tra i miei progetti a lungo termine c’è anche quello di fare un Ep di cover. Spero di riuscire in questo intento.
Piani per il futuro? Lo so, te lo chiedo sempre, magari una ristampa dell’esordio?
La ristampa del disco di esordio è un progetto più volte discusso con la Black Widow Records. Fosse per il sottoscritto sarebbe già stata fatta da tempo, ma tutto è nelle mani dei ragazzi di Via del Campo. Sono abbastanza ottimista, però, sul fatto che non passerà molto tempo prima di vederla realizzata. Oltretutto anche la tiratura in CD di ‘DerGolem’ è al momento esaurita.
Circa i nostri piani c’è il fatto di fare crescere Il Segno Del Comando e fare cose sempre più ricche e particolari. Ampliare l’intensità dell’attività live e lavorare su produzioni di qualità sempre più alta. Abbiamo in cantiere un EP, già interamente scritto, dedicato al romanzo di Gustav Meyrink ‘Il Domenicano Bianco’. Lo scopo per cui l’ho progettato è quello di chiudere una trilogia su questo autore che ha ispirato ben due dei nostri album precedenti. Oltre a questo io ho sempre qualche collaborazione attiva anche al di fuori della band. In questo momento sto lavorando a un album molto molto particolare assieme a Paolo Puppo, Tommy Talamanca, il mitico chitarrista e tastierista dei Sadist che oltretutto ha curato l’engineering de ‘L’Incanto dello Zero’, e Cristian Raimondi.
Di carne al fuoco non ne manca, vedo. In attesa di potervi ascoltare con un nuovo prodotto, lascio a te la chiusura.
In conclusione, sento di dovere ringraziare te per questa intervista, poi un ringraziamento va ai ragazzi della band: Fernando Cherchi, Roberto Lucanato, Beppi Menozzi, Davide Bruzzi e Riccardo Morello che sono sempre con me sul campo a combattere, avventura dopo avventura.