Coffin Birth – Nati sotto il segno del serpente

Il 06/01/2019, di .

Coffin Birth – Nati sotto il segno del serpente

Come un fulmine a ciel sereno, sulla scena italiana hanno fatto la propria apparizione i Coffin Birth. Moniker che può dire poco ad alcuni di voi, poiché si tratta di un gruppo all’esordio, ma se si spulcia per un attimo la line up di questa nuova creatura, si scopre che al proprio interno raccoglie gente che è attiva con alcune delle realtà più interessanti della scena nostrana:  Hour Of Penance, Buffalo Grillz, Fleshgod Apocalypse e Beheaded. Abbiamo contattato il gruppo per farci raccontare qualcosa del più che convincente ‘The Serpent Insignia’, Giulio Moschini e Frank Calleja, hanno risposto al nostro appello.

Benvenuti su Metal Hammer Italia. Innanzitutto, complimenti per il vostro esordio, ‘The Serpent Insignia’! Da alcune dichiarazioni ho appreso che la nascita della band è avvenuta a seguito di un ritrovamento alquanto casuale: galeotto fu un pedale. Vi va di raccontare l’aneddoto ai nostri lettori?
Giulio: Grazie mille! Durante la pre-produzione dell’ultimo disco degli Hour of Penance, ‘Cast the First Stone, io e Marco volevamo sperimentare soluzioni “nuove” partendo proprio dal suono delle chitarre. Fortuna o sfortuna ha voluto che ci imbattessimo nel leggendario HM2, pedale che ha reso famoso il timbro di alcune band come Entombed/Dismember e compagnia bella. Il risultato non è stato purtroppo quello che speravamo: il suono si confondeva troppo per il riffing più intricato e veloce degli Hour of Penance. Allo stesso tempo, ci siamo ritrovati a giocare con il pedale e a registrare alcuni riff che, nel giro di qualche settimana, sono diventati veri e proprio brani. Niente a che vedere con l’obiettivo che ci eravamo proposti all’inizio. Abbiamo deciso di continuare a scrivere, principalmente per divertimento e per vedere dove saremmo andati a finire, in poco tempo ci siamo ritrovati con 10 pezzi che abbiamo ascoltato con piacere per mesi e mesi – parliamo dell’estate 2016 – fino a quando non ci siamo decisi e abbiamo contattato Francesco (Fleshgod Apocalypse ed ex Hour of Penance), Frank e Davide (Beheaded e Hour of Penance) per completare la line-up e registrare ‘The Serpent Insignia’.

Durante l’ascolto pare subito evidente che vi rifate alla vecchia scuola, ma nel dettaglio quali sono le vostre influenze?
Giulio: Abbiamo influenze abbastanza diverse ma complementari: io vengo da ascolti più Death Metal, mentre Marco è un drogato di Grind e roba più marcia. In tutta onestà, non ci siamo posti limiti durante il songwriting del disco, abbiamo buttato giù le idee con l’unica intenzione comune di fare del male al prossimo.

In fase di recensione vi ho definito la risposta italiana ai Bloodbath. Come accade nel caso degli svedesi, la vostra line-up raccogliete artisti attivi in altre realtà note e anche voi, come loro, vi dedicate a un death metal di stampo classico. Questo paragone vi garba o non lo ritenete pertinente?
Giulio: Ti ringraziamo, i Bloodbath sono uno dei gruppi che adoriamo! Ovviamente, parliamo di gente che sta molti scalini più in alto di noi.

Oggi l’ascoltatore medio è abituato a un tipo di death metal più tecnico e ‘pulito’, credete che ci possa essere una buona risposta al vostro stile marcio e mortifero tra i più giovani?
Giulio: Non saprei, onestamente non mi relaziono molto con la musica che ascoltano i giovani di oggi e le nuove leve, diciamo che ‘The Serpent Insignia’ è un disco abbastanza groovy, diametralmente opposto al death più tecnico. Onestamente – ma questa è puramente una mia opinione – non ho mai sopportato l’accostamento Tech-Death Metal. Nella maggior parte dei casi, secondo me, si svilisce proprio l’essenza del genere con una conseguente carenza di attitudine nelle band odierne. Manca la violenza, la voglia di far male all’ascoltatore. Speriamo di riportarli sulla giusta strada!

Strada facendo, vi va di raccontarmi di cosa parlano i vostri testi?
Frank: Gli argomenti in sostanza sono diversi e, per la maggior parte, dipingono scenari surreali. ‘Red Sky Season’, ‘Throne of Skulls’, ‘Godless Wasteland’, in qualche modo rispecchiano un po’ la realtà nella quale ci troviamo a vivere. Altri, come la title track e ‘Christ Infection Jesus Disease’, sono più’ filosofici e religiosi. Mentre ‘Sanguinary’ e ‘The 13th Apostle’ raccontano delle storie.

Mentre il titolo del disco a cosa si riferisce?
Frank: Quando scrivo i testi di un album, provo sempre ad inquadrare tutto in un tema principale. In questo caso, ho scelto il segno del serpente, che nella bibbia è associato al male. Ed è quest’ultimo il tema che unisce i testi tra di loro.

Dal punto di vista pratico, è stato difficile far coesistere in sala di registrazione musicisti abituati ad altre realtà o il vostro è stato un cammino abbastanza agevole?
Giulio: Beh, in realtà Francesco ha militato negli Hour of Penance fino al 2010, Davide suona con me e Marco da ormai quattro anni.  Frank è con Davide nei Beheaded da tempo. Diciamo che ci conosciamo tutti e che in un modo o nell’altro abbiamo avuto modo di lavorare insieme. Abbiamo inciso tutto nello studio di Marco (Kick Recording Studios), mentre Frank registrava le voci nel suo studio a Malta. In definitiva, è stato tutto molto veloce, abbiamo finito in una manciata di giorni.

Alla luce di questa esperienza, i Coffin Birth resteranno un progetto estemporaneo o prevedete un futuro per loro? E, soprattutto, vi esibirete dal vivo?
Giulio: Si, abbiamo già qualche data programmata per il 2019: una a Roma al Defrag, una ad Amsterdam e una a Malta. Diciamo che non sarà facile incastrare gli impegni che abbiamo già con le nostre band principali, ma cercheremo di portare dal vivo i Coffin Birth il più possibile.  Al momento della sua creazione, il fine della band era quello di divertirsi. Quindi, fino a quando ci divertiremo, continueremo ad andare avanti.

Quali sono i pezzi che maggiormente rappresentano il disco e credete che alcuni di essi potranno magari diventare dei singoli o dei video?
Giulio: Abbiamo già girato un video di “presentazione” della band con ‘The 13th Apostle’, penso sia una delle canzoni più rappresentative del disco, quella che racchiude al meglio le nostre varie influenze musicali.

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